Dopo il grande “no”, che poi così grande non è stato se non per chi ha voluto costruirci un caso-nazionale, Jannik Sinner ha approfittato del microfono porto al finalista del Masters a Torino per dare appuntamento a tutti a Málaga, questa settimana, per la fase finale di Coppa Davis.

Può darsi che l’annuncio della presenza del numero uno italiano ribadito in quella circostanza sia stato agevolato dalla presenza del presidente della federazione, costretto a incassare il niet estivo post Us Open così come il capitano Filippo Volandri.

Ma la competizione a squadre – che della vecchia Davis conserva giusto il nome, dopo la rivoluzione portata dalla società Kosmos di Gerard Piqué, poi toltasi di mezzo e in causa con la federazione internazionale – rappresenta comunque, per il numero uno italiano candidato a ridisegnare la mappa delle vette nostrane nel globo tennistico, un appuntamento degno di un ultimo sforzo dopo un’annata chiusa da campione.

Di tutte le statistiche che hanno accompagnato la cavalcata trionfale di Sinner alle Atp Finals sotto la Mole, ce n’è una che restituisce appieno lo stato di forma dell’atleta italiano del momento: prima della finale aveva battuto, nell’ultimo scontro diretto, tutti i primi 16 giocatori del mondo.

Compreso il fenomenale e già padrone di due Slam Carlitos Alcaraz, compreso l’enigma Medvedev contro cui aveva sbattuto sei volte su sei. E non escluso il numero uno, il giocatore più vincente di tutti i tempi, Novak Djokovic.

Sconfitto nel girone e poi ritrovato in finale: un cliché del Masters, una situazione che è già capitata venti volte nella storia più che cinquantennale dell’evento. In più della metà delle occasioni, il risultato si è ribaltato, ma chi conosce il tennis lo sa: una finale è un altro tipo di animale, è rognoso e ungulato.

Un match che vale un titolo, così pesante per giunta, va conosciuto in profondità, e il serbo, a segno per la settima volta (un altro record) alle Finals, ormai dà del tu a ogni possibile situazione nella stagione di un atleta e ha una risposta a tutto: alla stanchezza, alla tensione, soprattutto alle prime di servizio a duecentodieci chilometri orari di Sinner e compagnia.

Ma se l’Italia aveva trovato un leader in Matteo Berrettini, apripista di Jannik ai massimi livelli con le due qualificazioni al Masters (2019 e 2021), e poi se ne è dovuta separare – non fisicamente, a Málaga ci sarà per allenarsi e tifare – ora la nazionale ha un numero uno che ha tutto per esserci e restare: è giovane, ha personalità in campo, vince e non ha paura.

Certo, magari non conta su un carisma strabordante. La cultura valligiana dei suoi posti, l’ostacolo della lingua che ha condizionato i primi anni di esposizione al pubblico e i rapporti col resto della truppa non hanno agevolato un clima di cameratismo che, in effetti, Sinner ha creato soltanto con il collega piemontese Lorenzo Sonego, col quale si è creata una affinità testimoniata anche dall’invito nel box privato per l’esordio a Torino, nel match vinto contro Stefanos Tsitsipas.

Ma, dove non c’è il collante dell’amicizia, può sopperire il magnete del successo: ammirazione e spirito di emulazione sono fenomeni noti nelle nazioni in cui sboccia il campione vero e, finalmente, questa volta è toccato all’Italia. Per affrontare l’Olanda, Volandri ha convocato il viceré di Torino e poi l’amico Sonego, Lorenzo Musetti, Matteo Arnaldi e Simone Bolelli, quest’ultimo, esclusivamente per il doppio.

Avversari

Gli avversari di giovedì prossimo non saranno turisti in riva a playa de la Misericordia: se mai il campo di Málaga dovesse essere rapido – per intenderci, veloce come quello sistemato al Pala Alpitour di Torino – allora i singolaristi Botic Van de Zandschulp (numero 51 Atp, ex 22) e Tallon Griekspoor (23 Atp, best ranking 21) potrebbero procurare qualche mal di pancia ai nostri.

Anche perché la formula asciugata dell’Insalatiera prevede solo tre incontri, due singolari e un doppio. E nel match di coppia i nostri avversari (capitanati dall’ex numero uno del mondo di specialità Paul Haarhuis) possono schierare due specialisti di valore: lo “zio” (classe 1981) Jean-Julien Rojer, nato nel protettorato di Curaçao ma olandese all’occorrenza, e Wesley Koolhof, campione di Wimbledon in carica.

Dovesse decidersi tutto nel terzo match, Volandri si troverebbe con una incognita e un retropensiero: la prima, legata alla formazione da schierare. Il secondo si chiama Fabio Fognini, col quale l’attrito ha prodotto scintille dopo la mancata convocazione anche nell’ultima tornata.

Grande talento dal temperamento selvatico, reduce da una stagione mesta ma indiscutibile uomo-Davis e giocatore prezioso anche per l’intesa con Bolelli, col quale vinse pure uno Slam in Australia qualche stagione fa, Fognini non ci sarà e toccherà improvvisare un’altra coppia. Sinner, nonostante i tentativi, non ha la stoffa del doppista naturale: serve bene e risponde meglio, ma la transizione verso rete e le esecuzioni di volo più complicate, quando la palla scende sotto il livello del nastro, non gli appartengono ancora nonostante i progressi.

In stagione Bolelli ha fatto coppia sia con Fognini sia con Andrea Vavassori, ma è un professionista di mondo: il suo ultimo partner è stato proprio l’olandese Middelkoop, escluso a sorpresa dai convocati per la fase finale. La speranza del team Italia è che non ci si debba arrovellare alla ricerca del mix più competitivo, e che possano bastare i match di singolare per passare in semifinale.

Nel caso, è in vista un altro incrocio tremebondo: la Davis è obiettivo dichiarato del multicampione e iper patriota Novak Djokovic, in testa alla sua Serbia con i sodali Kecmanovic, Djere, Lajovic e il ventenne Hamad Medjedovic, esordiente nel 2023.

Non una one-man band, ma neppure uno squadrone galattico: il primo giocatore serbo dopo il re di ventiquattro Slam è numero 41, gli altri sono ancora più indietro. Con questa formula, conta ogni punto, e anche l’ipotesi di una terza battaglia ravvicinata tra Sinner e il più forte di tutti, almeno da Torino in poi, non fa più troppa paura.

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