The Batman, il film di Matt Reeves nei cinema italiani in queste settimane, è una pellicola che trasuda amore e conoscenza del cavaliere oscuro, come anche viene chiamato l’eroe creato da Bob Kane e Bill Finger nel 1939. Nei suoi ottantatré anni di vita, Batman ha attraversato la cultura popolare diventando una delle icone più dense e stratificate di sempre: in decenni di storie a fumetti e di film (e animazione, videogiochi, Lego e compagnia bella) ha incarnato tante cose, adattandosi a epoche e sensibilità diverse. Eppure ha mantenuto un’identità forte, ben definita, tutt’altro che scontata nei suoi aspetti più ambigui e inquietanti. Proprio perché è un film così fedele al personaggio, The Batman può essere una perfetta via d’accesso per interrogarne l’essenza. 

Nel teatro della mente

Chi è il protagonista di The Batman? È un Batman fatto della stessa sostanza degli incubi. Un cavaliere oscuro come non mai, impasto di buio e terrore che si aggira per le strade della città come se fosse appena uscito da un quadro di un pittore gotico come Füssli.

Lo è fin dal design di questo nuovo costume in cui si sedimentano le tante suggestioni che hanno attraversato il personaggio: le orecchie più a punta sembrano quasi delle corna, come nelle prime versioni degli anni Trenta ma anche in certe riprese neo gotiche degli anni Novanta; l’inquietudine che genera quando attraversa la stanza è quella di un Nosferatu da film espressionista in bianco e nero più che del wrestler fuori forma degli ultimi film di Zack Snyder (il Batman interpretato da Ben Afflek in Justice League); in certi momenti il suo aspetto ricorda addirittura l’infernale Grifis, l’antagonista in Berserk, celebrato manga iperviolento.

La colonna sonora alterna Something in the Way dei Nirvana a musiche originali con bassi martellanti e profondi, da tragedia shakespiriana, un apocalisse musicale incombente. Il risultato finale è un Batman (il personaggio intendo, non il film) quasi horror, incubotico, se non terrorizzante di certo inquietante, disturbante.

Tutto questo serve per dirci una cosa: siamo nel teatro della mente, stiamo osservando una psicologia dal di dentro. La fotografia vira spesso al rosso: come se stessimo osservando tutto attraverso un velo di sangue, ma anche da dentro la testa di qualcuno, o forse direttamente dal fondo dell’inferno. Siamo nell’ora più buia della notte dell’anima. 

Amico fragile

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Ma la psicologia di chi? L’anima di chi? Se non fosse chiaro dal titolo, lo sarà dal minutaggio: questo è un film di Batman, non di Bruce Wayne. Robert Pattinson appare pochissimi minuti senza maschera: e anche in quelle poche scene non c’è il Bruce Wayne playboy milionario, sicuro di sé, strafottente socialite dell’élite di Gotham, ma c’è un giovane sofferente, chiaramente disturbato, instabile emotivamente e psicologicamente.

Pattinson è straordinario nell’infondergli tanta intensità e sfumature nei pochi momenti “in borghese”: con il trucco nero che gli contorna gli occhi – lo utilizza sotto la maschera per mimettizzarsi, ma una volta tolto il cappuccio sembra trucco disfatto dalle lacrime di un pianto isterico – il ciuffo da emo-boy, lo sguardo basso e la mascella contratta quando è in pubblico.

Tiene un diario per appuntarsi le proprie indagini, ma anche per raccontarsi e riconoscersi. Il suo Bruce è fragile, traumatizzato, incapace di una vita sociale e integrata, incapace di sopravvivere alla morte dei genitori, incapace di stare alla luce del sole: incapace di vivere senza maschera

Di cosa è la maschera

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Senza Batman, Bruce Wayne non è nessuno, non riesce a tenersi in piedi. La maschera è ciò che gli impedisce di andare in pezzi, che gli dà un’identità (un simbolo!), un’armatura per un cavaliere (oscuro) inesistente, una corazza che lo protegge: dai colpi di pistola (quanti ne prende in questo film!), certo, ma anche dal dover guardare in faccia la realtà. E anche dallo scopare, sia mai.

Di fronte alla Catwoman più sexy della storia del cinema, a una Zoë Kravitz che l’aveva mandato fuori giri per gli ormoni, Batman giunto al termine delle sue fatiche, quando potrebbe finalmente concedersi e aprirsi all’altro (all’altra in questa caso), alza lo sguardo e vede il “bat segnale” stagliarsi in cielo e tanti saluti.

Il pipistrello è qui letteralmente un simbolo castrante, il nome-del-padre (ricordiamo che è diventato il “crociato incappucciato” per vendicare la morte dei genitori) che incarna una legge assoluta, una legge che gli vieta qualsiasi godimento che non sia la violenza.

Ed ecco allora questo feticista che si infila la sua tuta nera e va a farsi menare nei club più torbidi della città. Essendo, come si dice nei comics, una storia da “Anno due” (cioè non narra le origini vere e proprie, ma un ipotetico “secondo anno di attività”) questo Batman non è imbattibile e fatale come la sua versione più matura: prende un sacco di botte, tanto che a volte viene il dubbio che, be’, un po’ gli piace farsi picchiare.

Riprendendo le intuizioni di autori come Darwyn Cooke (Batman: Ego) e Bryan Talbot (Maschere), The Batman lascia intuire tre delle verità più inquietanti del personaggio, che tanto lo differenziano da tutti gli altri “superuomini di massa”.

Non è Bruce Wayne a nascondersi sotto la maschera di Batman, ma il contrario: Batman è l’identità ”autentica”, è Batman la verità del personaggio. Bruce è solo una finzione, un’illusione tenuta su per la vita di tutti i giorni. La seconda è che Batman non è una reazione ai tanti freaks, ai mostri che popolano Gotham, ma è lui stesso a generarli, a sfidarli, a attirarli!

Batman amico delle guardie

La terza verità è, di primo acchito, più alla luce del sole: Batman «è solo umano». Non è l’unico, ma di certo è il più celebre supereroe senza superpoteri, non c’è niente di sovrannaturale in lui. Il suo unico superpotere sono i soldi.

Come la stessa Catwoman, inconsapevolmente, sottolinea più volte nel film, Batman è un Ceo. Un multimilionario, un membro dell’élite finanziaria, figlio purissimo di quell’1 per cento che drena le ricchezze della popolazione e controlla la città, signori della guerra di un capitalismo tribale e completamente deragliato.

Ma, a differenza degli altri Ceo milionari (che non lo devono fare direttamente), Bruce Wayne la notte si traveste da poliziotto antisommossa con un tocco fetish e scende in strada a pestare i poveracci, i disperati, i reietti costretti al crimine da una società più violenta e più forte di loro.

Batman è amico delle guardie, über-poliziotto che collabora con la polizia e si danna l’anima per mantenere l’ordine borghese. Un ordine castrante fondato su un trauma insuperabile e che genera un godimento osceno di violenza libidinale. Guardiamoci negli occhi: cosa ho fatto fino ad ora se non una buona descrizione del fascismo?

Perché amiamo un “fascista”?

Giunti a questo punto pensereste che ciò che ho scritto è una requisitoria contro Batman, la condanna del Cavaliere oscuro dopo averlo inchiodato al banco dei cattivi, l’abiura di decenni di letture.

Potreste pensare addirittura che chiedo di “cancellare” Batman, di vietarlo perché i nostri giovani non ne vengano traviati. Ebbene, signori della corte, potrebbe esserci qualcosa di più stupido, di più insensato, che muovere tali accuse a un personaggio di invenzione?

Per quanto mi riguarda posso serenamente dire che la lettura delle sue avventure è uno dei pochi piaceri che mi sia rimasto in questi tempi bui.

Noi amiamo Batman. Tutti amano Batman. E non solo perché, be’, perché è il migliore, il più umano, disperato, romantico di tutti. Ma anche perché ci mette ogni volta di fronte a un enigma: perché amiamo un fascista? Come possiamo arrivare a parteggiare per lui, a fare il tifo per lui?

Capire perché cadiamo in questo incantamento davanti a un fumetto o un film, ci può rendere un po’ più disincantanti, meno permeabili alla stessa fascinazione nel mondo reale (l’unico che conti davvero).

Vederlo accadere “in piccolo”, nella finzione di un film o di un comics, ci ricorda di quanto siamo inclini, una volta chiuso l’albo o usciti dal cinema, a scambiare sicurezza con terrore, a imporre l’ordine con la paura, chiedere pace e agognare violenza. Ed è lì che iniziano i problemi.

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