Esilarante e verde, The Toxic Avenger è un remake cult

Domanda: c’è qualcosa di meglio che ridere a crepapelle sentendosi però supercool (o fighi, o ganzi, a scelta, quello è il concetto)? The Toxic Avenger di Macon Blair, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e in sala il 30 ottobre con Eagle Pictures, consente quel genere di esperienza privilegiata: spasso e cinefilia. Basta conoscere, quando ne parli agli amici, l’epica storia della Troma Entertainment, casa statunitense di cinema indipendente low budget fondata nel lontano 1974 da Lloyd Kaufman e Michael Herz. I B movies Troma puntavano inizialmente sulla satira politicamente scorretta, splatter e tette al vento. La consacrazione cult arriva nel 1984 con The Toxic Avenger, firmato dai fondatori della compagnia e costato 500mila dollari. È la storia di un tizio bullizzato che cade in un barile di rifiuti tossici e diventa un mostro-supereroe che combatte il crimine armato di un mocio. Tra gli altri, Tarantino, Joe Dante, Robert Rodriguez, Eli Roth, i fratelli Farrelly si dichiarano “figli” di Troma. Sospetto una derivazione diretta anche per il nostrano Lo chiamavano Jeeg Robot. Bisognerebbe chiedere a Gabriele Mainetti. La “versione lusso” Questione di punti di vista, ma questo remake del classico, a distanza di quarant’anni e di vari reboot, è più comico e più politico. “Papà” Kaufman, che insieme a Herz firma qui da produttore, mi dà ragione: «La sceneggiatura è meglio dell’originale». Bersaglio diretto della Troma è sempre stato il potere, quello delle multinazionali e quello deviato dei governi, con particolare riferimento alle tematiche ecologiste e anti-nucleari. Per questa “versione lusso” però si scomodano – con chiarissimo spasso e altrettanto evidente fervore ambientalista – il “piccolo” Peter Dinklage, Kevin Bacon e Elijah Wood. La villain della cittadina di Saint Rome è la B.T.H., “impero della salute” farmaceutico che inquina a man bassa e vende miracolosi integratori mortiferi: al sangue nelle urine seguono fatalmente i tumori. Bob Garbinger (Kevin Bacon) è il suo executive, osannato come benefattore dell’umanità. Dietro la B.T.H. in realtà ci sono la mafia e la sua mano armata: una rap-band monster core di successo che uccide i «disturbatori» su commissione. Peter Dinklage (Il trono di spade, Cyrano, Tre manifesti a Ebbing, Missouri) è la solita delizia. Il suo Winston Gooze di mestiere “passa il mocio” nei locali della compagnia, e mantiene il figliastro Wade orfano di madre. Quando gli diagnosticano un “qualcosa” di mortale al cervello, che richiederebbe un costosissimo farmaco (il consulto telefonico con l’assicurazione sanitaria è un vero poema e ci riguarda tutti senza eccezione), l’estrema chance è una rapina. L’arma è un mocio letale intinto nei liquami aziendali. Dalla fossa di veleni industriali che dovrebbe sopprimerlo esce un supereroe bitorzoluto, mostruoso e verdastro – ma invulnerabile- che si ribella, semplicemente, alle angherie inflitte alla povera gente. Guarda caso, le sue vittime parlano del nostro presente: i suprematisti del maschilismo bianco anti-woke, che minacciano strage perché un diner “Mr. Meat” è stato ribattezzato “Miss Meat”, i musicisti-sicari, gli sfrattatori di anziane, i nababbi dell’avvelenamento legalizzato. Da spauracchio mediatico, il mostro diventa un mito di massa. E ovviamente la preda che Kevin Bacon deve assicurarsi per distillare l’incidentale siero responsabile della mutazione, il potenziale «integratore del secolo». La beffa dei rapper scozzesi all’industria discografica Autosatira cult Trovate a raffica, da Bacon – digiuno di classici – che confonde il mito di Sisifo con la sifilide e il vaso di Pandora con «quel locale esotico» fino al water di una discarica che è l’arma della congiunturale alleata di Winston (Luisa Guerreiro), pasionaria che indaga per «smascherare gli scellerati» dei farmaci-killer. Elijah Wood, già Frodo de Il Signore degli Anelli, come fratello del Boss è un sosia dell’Igor di Frankenstein. Nessuna morale (apparente) – di Trona si tratta – e l’autosatira ambientalista, serissima nei contenuti, si consuma fino all’ultima goccia. Basta vedere in finale come l’homeless green festeggia l’uccellino mutante sopravvissuto all’estinzione da inquinamento. Da un cult, un remake da culto.