La differenza tra erotismo e pornografia, a dar retta a una famosa battuta, è tutta nelle luci: l’erotismo di solito ha un direttore della fotografia migliore. È anche la stessa differenza percepita tra le fiction di Rai 1 o Canale 5 – quelle che si rivolgono a chi ha chiesto il reddito di cittadinanza – e quelle che invece soddisfano l’unico feticismo che accomuna orgogliosamente tutti gli altri: la smania per la tv “di qualità”, che di solito include qualunque cosa – anche la più imbarazzante – purché necessiti di sottotitoli. A gennaio arriva in Italia su Sky Atlantic The Undoing, la miniserie della Hbo (la cable tv americana severa dominatrix dei feticisti di cui sopra) che ha intrattenuto il mondo in lockdown voglioso di qualità e belle luci con un thriller che i commentatori più ansiosi di apparire woke hanno letto come una denunzia del marcio dietro la facciata perfetta dell’élite bianca, dell’un per cento, della kasta americana.

Noi che siamo meno pretenziosi sappiamo invece che The Undoing è l’ennesima variazione ad alto budget di Anche i ricchi piangono, telenovela argentina che i fan della Hbo non hanno purtroppo mai visto ma che è opera, come direbbero loro, “seminale”. The Undoing è tratto da un best seller che nessun lettore per bene ha mai sentito nominare (Una famiglia felice, di Jean H. Korelitz), uno di quelli che ti regalano incautamente e di cui ti sbarazzi in fretta perché se ti entrano i ladri in casa e lo vedono, sai che figura: voi avete il feticismo della buona tv, io quello dei buoni libri.

La famiglia felice, e che Tolstoj ci perdoni, è quella di Nicole Kidman, che qui presta i suoi turbamenti al personaggio di Grace Fraser (Nicole Kidman è turbata per contratto da almeno quindici anni, in una lotta estenuante con la progressiva paresi chirurgica del suo volto). Grace è una ricca e bravissima psicologa, moglie di un ricco e bravissimo oncologo (Hugh Grant, costretto pure lui a turbarsi molto, e si vede che non è abituato nonostante la facie ancora mobile) e madre di un ricco e bravissimo dodicenne. Dodicenne che, pur essendo figlio naturale della coppia più anglosassone e avvenente di Manhattan, assomiglia a un bracciante siciliano trentenne brevilineo.

Ma purtroppo non è questo il mistero al centro di The Undoing. Grace è intrigata dalla giovane povera Elena Alves (l’italiana Matilde De Angelis), il cui figlio frequenta la stessa scuola del suo grazie a una borsa di studio. Non capiremo mai se Elena sia italiana o genericamente latina, ed è forse l’unica serie americana di questo decennio nel quale nessuno si sia posto la sempre gravissima questione della cultural appropriation: ci basti sapere che Elena è instabile, sexy e sempre nuda, anche se uno stereotipo full frontal così in una fiction di Canale 5 avrebbe fatto incatenare ai cancelli di Cologno i fan della qualità.

Cu fu?

Come succede sempre alle donne nude nei sottoprodotti culturali Elena viene uccisa a martellate, e si scopre inoltre che era l’amante di Hugh Grant, da cui aveva da poco avuto una bambina. Chi è stato? Whodunit? Cu fu? come si chiederebbe il figlio della Kidman. È stato Hugh Grant per coprire la sua doppia vita? È stato il marito cornuto di Elena? È stato il padre miliardario di Grace (Donald Sutherland) che non si capisce cosa c’entri ma in quanto plutocrate è sicuramente un porco? È stata la sua migliore amica sempre così sollecita, che in quanto migliore amica è sicuramente una stronza? È stato il piccolo bracciante siciliano, irrobustito da tutto quel lavoro nei campi? O è stata addirittura Grace? Perché gli sceneggiatori sono astuti, e hanno costruito una protagonista con la “complessità”, cioè tutta una serie di tratti psicologici che nella vita ci farebbero chiamare la Croce Verde, ma che nelle serie di prestigio americane ti fanno vincere i Golden Globe.

Grace è una psicologa geniale, ma fuori studio avrebbe bisogno dell’accompagno: il suo forte è smascherare i narcisisti tossici (il narcisismo tossico – quasi sempre maschile – è l’ossessione del decennio, neanche il Covid riuscirà a soppiantarlo come diagnosi passepartout anche per quelli che non rispondono ai messaggini nel giro di trenta secondi), ma non sapeva di averne sposato uno. E non ha nemmeno la scusa dell’amnesia, come il medico protagonista di Doc – nelle tue mani, la fiction italiana che non ha una bella fotografia e infatti è amatissima dal pubblico di Raiuno e verrà prodotta anche in America ma sicuramente non dalla Hbo.

Grace è pura, fiduciosa, ma soprattutto tormentata da tutte queste infamate della natura umana nei suoi confronti: per segnalarne il tormento gli sceneggiatori la mandano a rimuginare in interminabili passeggiate solitarie. The Undoing non è un thriller sul narcisismo tossico, è un dramma della dromomania: il minutaggio di Grace che cammina e si strugge, cammina e riflette, cammina e trasecola, cammina e sospira non ha eguali al di fuori dei programmi sportivi. Sempre vestita da ninfa dei boschi o da moglie di Babbo Natale, con un cappotto di velluto verde e i riccioli rossi e le sciarpe artisticamente mosse dal vento e la luce perfetta e il primissimo piano sugli occhi spalancati umidi di glicerina. Quando non cammina per New York – anche di notte, anche a Central Park, anche nei quartieri poveri, sempre senza mai essere scippata o peggio – la nostra eroina si muove in appartamenti di sprocedato metraggio e lusso in una pornografia della location che distrae continuamente lo spettatore più engagée o invidioso: speriamo che Biden faccia una bella patrimoniale a tutti; ma che fine ha fatto Occupy Wall Street?; questi qui saranno old money o frequentano Ivanka Trump?

Licenziare gli sceneggiatori

Qualunque pensiero laterale ha più senso di quello che succede in The Undoing: la privilegiatissima Grace si fa torchiare dai detective che indagano sull’omicidio come l’ultima delle battone, senza nemmeno chiamare il pool legale di famiglia. Quando finalmente lei e il marito si affidano alla solita avvocatessa-squalo delle serie americane, infallibile e spietata, essa ci annuncia che conosce a memoria ogni intimo dettaglio della vita dei giurati, per manipolarli meglio: ma non conosce l’orrendo segreto nel passato di Hugh Grant, quello che farebbe scappare a gambe levate chiunque (non lo sospettava neanche Grace, avranno fatto la stessa università).

La neonata della vittima viene lasciata in custodia al vedovo tradito e furioso, forse gli assistenti sociali erano già in lockdown. La mamma di Hugh Grant corregge la sintassi di Grace, quindi la sua è sicuramente una famiglia di psicopatici. La vittima avrà nemmeno venticinque anni ma ha un figlio dodicenne. Figlio dodicenne a cui in tribunale mostrano gigantografie del corpo martoriato della madre. E perché Donald Sutherland, quando fa il suo obbligatorio monologo da magnate minaccioso, si definisce un “succhiacazzi”? E che dire del finalissimo in elicottero tirato fuori con una nonchalance che nemmeno J.R. di Dallas? E perché Nicole Kidman canta la canzone dei titoli di testa? E la già paventata seconda stagione racconterà il corso di aggiornamento professionale di Grace? O la Hbo si farà finalmente furba, licenzierà il direttore della fotografia e riempirà finalmente di dollari gli onesti sceneggiatori di Rai 1 e Canale 5.

 

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