Il villaggio dei dannati. Suscita immagini forti l’Olimpiade di Tokyo che il Comitato olimpico internazionale (Cio) ha voluto tenere a tutti i costi in questa estate 2021, dopo che un anno fa si era dovuto rassegnare a rimandarla. E l’immagine di maggiore impatto viene perfettamente metaforizzata dal villaggio olimpico. Il luogo che in ogni edizione dei Giochi è simbolo territorializzato di un mondo che per poco più di due settimane diventa compatto, si miniaturizza in una minima porzione di sé che ne rappresenta l’intera complessità. La realizzazione più prossima del mito del villaggio globale, un melting pot di lingue e culture come non se ne ritrova in altre circostanze.

E invece stavolta il villaggio dei cinque cerchi somiglierà al luogo immaginato nel romanzo di fantascienza scritto da John Wyndham e pubblicato nel 1957 (The Midwich Cuckoos il titolo originale, trasformato nella versione italiana in I figli dell’invasione), per essere portato sugli schermi cinematografici nel 1960 da Wolf Rilla col titolo, appunto, Il villaggio dei dannati. Un luogo dell’isolamento al quadrato. Isolati gli atleti dal resto del mondo, isolati per quanto possibile fra loro. E chiamati a gareggiare davanti a spalti resi deserti dall’emergenza pandemia. Lo spettacolo più raggelante che si potesse immaginare, per quella che dovrebbe essere la festa quadriennale dello sport globale. «Che senso ha gareggiare davanti a spalti vuoti?» si è chiesto nelle scorse ore Maya Yoshida, difensore della Sampdoria che scenderà in campo con la nazionale olimpica del Giappone. Una sequenza di immagini da distopia. E quella distopia ce la rappresenteranno in mondovisione nel pieno delle notti europee.

Diamo fiducia all’umanità

I Giochi di Tokyo 2020+1 piombano su una metropoli e su un paese in cui il rischio Covid è molto elevato, dove il governo nazionale ha appena esteso al 22 agosto lo stato d’emergenza (le gare olimpiche lo attraverseranno in pieno), dove l’opinione pubblica ha urlato in ogni modo possibile di volere la rinuncia ai Giochi (l’ultimo sondaggio pubblicato dal quotidiano Asahi Shimbun nei giorni scorsi parla di un 55 per cento di giapponesi contrari contro un 33 per cento di favorevoli).

Tutto ciò non è servito per dissuadere i signori dei cinque cerchi. Che hanno deciso di agire come se fossero un’autorità globale dotata di auto-legittimazione e perciò politicamente irresponsabile. In conseguenza di ciò hanno tirato dritto, sposando una filosofia da “andrà tutto bene” e toccando l’apice delle solenni sciocchezze con la frase pronunciata lunedì del presidente del Cio, il tedesco Thomas Bach: «I Giochi di Tokyo 2020 daranno all’umanità fiducia nel futuro». In altri tempi una pernacchia l’avrebbe seppellito. Ma adesso no, non ci si può nemmeno più permettere le reazioni da trivio, al cospetto di un così evidente stato di negazione, di una così palese secessione dalla realtà.

E tuttavia anche nel circolo dell’élite olimpica comincia a serpeggiare preoccupazione. Avranno mica poggiato la testa sul ceppo credendo fosse un cuscino di raso? Di sicuro i signorotti guardano con ansia crescente all’aumento delle cifre sui contagi che colpiscono i componenti delle comitive olimpiche. Il conteggio è in costante aggiornamento, pubblicare l’ultimo significa la certezza di fornire un dato condannato alla caducità. Nella giornata di ieri si è passati da 58 a 71 come se nulla fosse, ma quando starete leggendo quel dato sarà stato oltrepassato.

Soprattutto c’è che il virus colpisce ovunque e senza guardare alle discipline sportive, ai ruoli, al diverso profilo professionale per il quale si è chiamati a essere sul luogo dei Giochi. Vengono colpiti gli atleti come i componenti degli staff tecnici, persino i giornalisti. Di qualsiasi nazionalità e quale che sia stato il loro grado di promiscuità o il mezzo di trasporto che li ha condotti in Giappone. L’onore di aprire la serie dei contagiati nel villaggio olimpico, predisposto per ospitare 11mila persone e che al picco della capienza ne accoglierà 6.700, è toccato a due calciatori della nazionale sudafricana, Thabiso Monyane e Kamohelo Malathsi. Fin lì i contagi non avevano toccato gli atleti, ma da quel momento in poi la serie si è allungata. A loro si è aggiunto il match analyst, della stessa nazionale sudafricana. Quindi è toccato a una tennista, a due ginnaste Usa e a un giocatore di beach volley ceco. E poi ci sono i casi di contatto con positivi che richiedono le misure di auto-isolamento, come è successo a sei atleti e due componenti dello staff tecnico della squadra britannica di atletica leggera. Un procedere random del virus che difficilmente genererà nell’umanità quella fiducia nel futuro di cui conciona mister Bach e invece parecchio sta minando quella degli organizzatori locali. I cui timori sono stati espressi da Toshiro Muto, presidente del comitato organizzatore locale: «Non possiamo prevedere cosa succederà con il numero di casi. Se ci sarà un picco, ne discuteremo».

Nessuna tregua olimpica

Dunque Muto apre alla prospettiva che i giochi vengano interrotti in corso d’opera, qualora la situazione dei contagi fra gli atleti e nel villaggio olimpico dovesse superare una soglia di sostenibilità (che peraltro non viene indicata). E a quel punto cosa diranno i signori dei cinque cerchi? Pareva loro un vulnus troppo grande il rinvio dei giochi per il secondo anno consecutivo. E quanto alla cancellazione, manco a parlarne. E sai invece che risultato da leggenda sarebbe, quello dei giochi sospesi per impraticabilità sanitaria, resi monchi a un dato momento di svolgimento del programma. La voragine che inghiotte la toppa peggiore del buco.

Per mesi Bach e i suoi sodali hanno ripetuto che i Giochi dovevano essere celebrati, che sarebbero stati sicuri. E a microfoni spenti mandavano a dire che gli interessi economici erano troppo grandi, che i costi affrontati dal governo giapponese non potevano essere vanificati in questo modo, che i contratti firmati con gli sponsor non lasciavano scelta a meno di esporsi a sanguinose penali. E invece proprio dal mondo degli sponsor arriva la risposta più eloquente. Con la Toyota, marchio giapponese globale che ha legato il proprio nome a Tokyo 2020, ma che alla vigilia dell’inaugurazione ha ritirato lo spot promozionale a tema olimpico per non associare troppo la propria immagine a una manifestazione profondamente invisa ai connazionali. Un contrappasso micidiale per chi ancora favoleggia di spirito olimpico ma poi giustifica l’esserci a tutti i costi con l’argomento dell’impossibilità di non compiacere le multinazionali inserzioniste.

E assieme al mito dello spirito olimpico va in pezzi un’altra narrazione di cui finalmente riusciremo a liberarci: quella della tregua olimpica. Il birignao sull’intrinseca forza morale dei Giochi, talmente robusta da fermare le guerre durante la loro celebrazione. In un accesso di hybris i signori dei cinque cerchi hanno provato a decretare la tregua nella guerra globale contro il Covid. Ne sono usciti massacrati. Ne traggano le conseguenze.

Quali verità?

Ma poi, se anche lì si riuscisse davvero a portare in fondo, che diamine di verità possono mai contenere questi Giochi? L’esito del campo è espressione di valori agonistici, certifica risultati che rimarranno scolpiti negli annali e stabiliranno gerarchie mondiali valide per un quadriennio (che in questo caso è triennio). E quale legittimità avrebbero mai, esiti di gare dalle quali causa contagio fossero cancellati atleti di punta? Perché il virus può colpire negli sport di squadra, ma in quel caso e in qualche modo si trova modo di rimediare attingendo al resto del gruppo. Ma se colpisce negli sport individuali, magari tagliando fuori protagonisti annunciati, che credibilità avranno quelle gare e quelle medaglie?

Avremmo un albo d’oro che in molte righe dell’edizione 2020+1 ospiterà figure di secondo o terzo piano, miracolate dal virus. Le medaglie Covid-19, che sarebbe bene fare indossare a mister Bach come se fossero la tempesta di bandierine sul petto di un generale pluri-decorato. Le medaglie dell’infamia, ori argenti e bronzi che sarebbe stato meglio non fossero mai attribuiti anziché essere dispensati con una dinamica che sa tanto di estrazione a sorte. Facciamole indossare almeno un giorno intero a mister Bach, facciamolo andare in giro col peso di quella personale gogna. Forse davvero, come umanità, cominceremmo a riconquistare un po’ di fiducia nel futuro.

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