Donald Trump non ha mai inteso o voluto essere presidente. Voleva correre per la presidenza. La sua corsa è stata una trovata per attirare la pubblicità che bramava, poi creare scompiglio per ottenere ancora più pubblicità e infine capire come trasformare la corsa in un progetto finalizzato a fare soldi - forse un canale televisivo? Quando ha vinto le elezioni, il suo sgomento era evidente mentre si aggirava per la Casa Bianca; si lamentava con gli amici che il lavoro avrebbe interferito con il golf.

Inevitabilmente ha cercato di inventarsi un qualche accordo sotto banco con i russi – magari un hotel a Mosca? – perché why not? Nel corso di questo periodo apparentemente infinito in cui è stato alla Casa Bianca – quasi quattro anni esatti: abbiamo in programma di sbarazzarci di lui allo scoccare di mezzogiorno del 20 gennaio 2021 – ha dimostrato di essere lo stesso Trump che noi newyorchesi conoscevamo abbastanza bene: un delinquente mafioso del settore immobiliare che veniva dalla “periferia”, un truffatore, un bugiardo, un outsider risentito che cerca sempre un modo per entrare nel giro.

In tutti questi anni è stato sempre sulle prime pagine dei tabloid, rappresentato come un playboy appariscente e rozzo e uno spietato uomo d’affari, che ingannava fornitori e creditori ed è anche andato in bancarotta in maniera spettacolare più di una volta. E ha tradito la moglie, un’affascinante immigrata dell’Europa centrale, poi la successiva moglie (americana), e ovviamente la terza moglie, un’immigrata dell’Europa Centrale, meno affascinante, ma giovane e provocante. È apparso regolarmente ospite di un talk show radiofonico volgare ma molto popolare, incentrato sulle donne e sul sesso quando forme insolenti di misoginia erano in crescita. È stato sempre lui a introdurre l’idea che il presidente Barack Obama fosse nato in Kenya, e non alle Hawaii, e perciò non potesse essere eletto.

Lo sbarco populista

Durante la sua corsa per la presidenza, ha adottato i vecchi tropi della destra populista, sotto la tutela del fascisteggiante Steven Bannon. Ha riproposto una frase di Ronald Reagan sul rendere di nuovo grande l’America – cioè di nuovo bianca – e un’altra sul «prosciugare la palude» – ovvero la burocrazia e l’ordine istituzionale di Washington. Guidato da Stephen Miller, un giovane monomaniaco anti-immigrazione, ha offeso i migranti messicani – «stupratori e assassini» – individuandoli come causa principale di tutte le disgrazie, ravvivando un cliché razzista diffuso nella destra europea e non solo. Si è anche vantato dei suoi «buoni geni tedeschi». Una volta al potere, si è concentrato sui musulmani cercando di impedire loro di entrare nel paese, e ha anche scatenato una campagna di terrore contro gli immigrati clandestini latinos, istituendo una politica sadica di separazione dei minori dai genitori che cercavano asilo al confine, segregando centinaia di migliaia di persone in strutture spoglie e fredde, simili a gabbie. In virtù della sua politica insensibili, molti di questi oggi sono ragazzi “perduti”.

Ha messo in scena pubblicamente il suo odio per le donne, gli afroamericani, i latini e tutti gli altri, ed eccezione di alcuni giornalisti servili. Nonostante la sua vittoria a sorpresa, una volta eletto si è reso conto che tirarsi indietro lo avrebbe fatto apparire «debole», la grande paura alla base del suo vanto narcisistico. Mike Pence, l’ambizioso fanatico religioso che gli è stato imposto come compagno di corsa, è diventato il sicofante in capo di Trump (ho fatto anche un video su questo). Trump ha nominato una serie di altri adulatori, soprattutto maschi e generalmente bianchi, opportunisti, razzisti, ex-qualcosa, pazzoidi, evangelici e incompetenti favolosamente ricchi, insieme ad alcuni militari e gente d’azienda, la maggior parte dei quali ha abbandonato l’amministrazione con evidente disgusto e ha scritto libri per denunciarlo. Il suo è stato il gabinetto più ricco a memoria d’uomo.

Non passerò in rassegna gli esorbitanti danni che ha arrecato al suolo pubblico, alle normative ambientali, alle strutture e allo staff del governo, o la sostituzione della diplomazia con iniziative personali, dirette principalmente ai noti dittatori di molti continenti che ha corteggiato e dichiarato di amare, ad eccezione dei «paesi di merda» africani (epiteto suo). Trump ha costruito la sua strategia sulla diffusione della paura e la culturalizzazione della politica (mentre governava come un repubblicano di destra e pro-mercato, come tutti i fascisti) e ha avuto un successo incredibile, visto che nessuna delle sue violazioni della legge, dell’etica, della moralità o del protocollo gli hanno fatto perdere i milioni di sostenitori della sua base e il partito politico che ha trasformato.

Ha graziato condannati noti per il loro razzismo o che hanno agito illegalmente per suo conto. E nonostante il disprezzo espresso privatamente per i militari – «che cos’hanno da guadagnare?», ha chiesto – ha graziato quei pochi condannati e incarcerati dai militari stessi per brutali omicidi di civili in Iraq. Allo stesso tempo, ha ripristinato l’esecuzione, a lungo sospesa, dei prigionieri federali, tutti uomini neri a eccezione di una donna bianca, che continuerà fino a quando non lascerà la presidenza. Ha pensato anche di dare la grazia preventiva a sé stesso e alla sua famiglia.

Lascerò da una parte l’impeachment perfettamente appropriato che è stato presentato contro di lui per aver tentato illegalmente di estorcere menzogne dal nuovo presidente dell’Ucraina, un nostro stato cliente, contro Hunter Biden, il ribelle ma realizzato figlio di Joe.

L’impeachment non è finito con una condanna perché quasi nessun repubblicano ha osato votare a favore.

L’obiettivo del bugiardo

Ma le sue bugie, le sue bugie! Come candidato e come presidente, ha iniziato a mentire da subito: le bugie e la sbruffoneria interiorizzate come un tic dal suo precedente personaggio erano più che scandalose per una figura politica, figurarsi per il presidente. All’inizio l’assurda menzogna sulle dimensioni della folla al suo insediamento, rispetto alla storica folla di Obama, sembrava sconcertante e inutile. Mi siamo arrivati a renderci conto che non è in grado di respirare senza dire una bugia.

La stampa, che finalmente ha usato la parola-tabù “bugia”, è impazzita per elencare e mettere insieme tutte le bugie, finché non si è arresa; le ha però contate: ne ha raccontate a decine di migliaia. L’istituzione di un mondo di »fatti alternativi», in cui tutte le espressioni e la forma della realtà derivano dal Leader, si è dimostrata molto efficace, soprattutto per gli elettori “a bassa informazione”, adepti di Fox e delle radio dell’odio. Il suo concomitante bersaglio, la stampa, qualificata come “stampa menzognera”, segue un copione nazista. Fatta eccezione per Fox e altri media dissimulatori, la stampa è nemica del Leader e quindi del popolo: la vittimizzazione è la base di questa narrazione e solo lui può salvare il popolo. Come ha osservato la filosofa Hannah Arendt, costringere i propri seguaci ad accettare bugie rafforza il loro legame, rendendoli una setta adorante. (Molte delle pulsioni totalitarie a cui ha dato seguito, va detto, erano già attive durante la presidenza di George W. Bush). L’universo di menzogne si è dimostrato letale durante la pandemia. I suoi seguaci hanno etichettato il coronavirus come una bufala, una fake news, una convinzione espressa da alcuni anche quando erano ricoverati in terapia intensiva, in punto di morte.

Le sue bugie sono dunque sterminate e senz a vergogna. Quando però l’ha detto chiaramente, che non si aspettava né intendeva lasciare l’incarico – magari per sempre – abbiamo tutti capito che non si trattava di una menzogna, anche se i suoi servitori hanno spiegato che si trattava di uno scherzo. Era l’espressione diretta del suo insaziabile desiderio di mantenere il potere e l’attenzione a cui si è abituato. Lasciare la presidenza e, in particolar modo, perdere le elezioni può solo essere interpretato come “debolezza”. Il suo nuovo direttore delle Poste ha cercato di bloccare il lavoro del servizio postale, che ha un mandato costituzionale, rendendo impossibile elaborare la marea di schede elettorali inviate durante la pandemia e quindi di favorire i democratici, che credono che la pandemia esista e hanno votato in numero record per corrispondenza.

Da quando ha perso le elezioni all’inizio di novembre, ha costretto i suoi legali-minions a intentare un numero esagerato di cause legali senza fondamento per contestare il modo in cui sono state condotte le elezioni. Davanti al tribunale, spesso davanti ai giudici che lui stesso ha nominato, questi casi sono stati archiviati come senza fondamento, ma i suoi seguaci si sono comunque convinti. Gli hanno creduto. Capovolgere le elezioni è diventato il suo chiodo fisso, ha inseguito ogni barlume di speranza di ottenerlo, e ciò richiedeva l’asservimento di un gran numero di funzionari repubblicani, mentre il partito si trasformava nel Partito di Trump. In un’altra telefonata degna di un impeachment ha chiesto a uno stolido repubblicano incaricato di controllare i voti nello stato cruciale della Georgia di “trovare” il numero preciso di voti che gli avrebbero dato i grandi elettori, per gettare le elezioni nel caos.

Tutto questo ha portato ai fatti del 6 gennaio.

Nella sua ultima trovata ha esortato i suoi seguaci a unirsi a lui a Washington per marciare verso il Campidoglio per costringere il Congresso a non certificare la conta elettorale, il passo finale per consolidare l’indiscutibile vittoria di Joe Biden su Donald Trump. Ha detto che il raduno sarebbe stato «selvaggio». (Le sue manifestazioni, crude e terrificanti, sono sempre state «selvagge», dal momento che ha sempre esortato i suoi seguaci alla violenza contro i suoi avversari). «Non ci riprenderemo il nostro paese con la debolezza. Dobbiamo essere forti», ha incitato la folla. «Al duello!» ha urlato Rudy Giuliani. Trump ha promesso ai manifestanti che li avrebbe condotti al Campidoglio e non avrebbe mai ammesso la sconfitta. Gli hanno creduto. I complottisti della alt-right, di QAnon hanno portato le loro figure mascherate e tatuate ma per il resto indegne di nota al Campidoglio, mentre lui è rimasto a casa. Dall’inizio ha coccolato i criminali suprematisti bianchi: «Brave persone», ha chiamato nel 2018 quei branditori di fiaccole che infiammavano una nuova guerra civile cantando “gli ebrei non ci rimpiazzeranno” e marciando a Charlottesville, in Virginia, il cuore della Confederazione.

Un crescente esercito di “incel” antigovernativi e razzisti, specialmente i lettori devoti del romanzo ariano e insurrezionalista The Turner Diaries ha pianificato per anni una invasione di Capitol Hill. Il 6 gennaio siamo finiti con una farsa, un tentativo incerto e pericolosamente eseguito di... di cosa? Lo scopo non era chiaro. Allo sgangherato esercito del Maga, vestito non solo con atavica stupidità ma anche con magliette che celebravano Auschwitz o la Confederazione del Diciannovesimo secolo, è stato inspiegabilmente permesso dalla polizia di entrare nel Campidoglio. Alcuni hanno attaccato la polizia con tubi di piombo e gas lacrimogeni, mentre giornalisti terrorizzati, rappresentanti del Congresso, assistenti e il personale si nascondevano. Molti degli invasori erano storditi come bambini in un negozio di caramelle incustodito.

Hanno vandalizzato e saccheggiato gli uffici e hanno aggredito a favore di telecamera, senza maschera e con fierezza, si sono fatti dei selfie con la polizia del Campidoglio e hanno dimostrato di non avere alcuna idea di cosa fare dopo.

Lo scontro

Scontri più seri si sono verificati quando alcuni hanno cercato di irrompere nella principale camera del Congresso in cui molti erano barricati. Una donna è stata calpestata a morte, un poliziotto del Campidoglio è stato ucciso dagli invasori e una sostenitrice di QAnon è stata ucciso dalla polizia. La veterana dell’aeronautica aveva promosso con entusiasmo l’idea di QAnon che il 6 gennaio sarebbe stato il giorno della «tempesta», quando Trump, il loro salvatore, avrebbe giustiziato le élite pedofile e mangia-bambini che sono i democratici (questa accusa, che conosciamo come “Pizzagate”, era già stata mossa contro la cerchia di Hillary Clinton nel 2016). Prima dell’insurrezione del 6 gennaio, questa donna ha postato: «Possono provare e riprovare e riprovare, ma la tempesta è qui e sta scendendo su Washington in meno di ventiquattr’ore ... dal buio alla luce!» Contemporaneamente, le folle di seguaci di Trump protestavano e si agitavano davanti ai campidogli locali in molti stati che hanno votato per Biden.

Qualche mese fa alcuni membri delle milizie sono stati arrestati mentre tentavano di occupare il Campidoglio del Michigan, con l’intenzione di rapire la governatrice democratica e sottoporla a processo ed esecuzione – se non altro per l’obbligo di indossare la mascherina che aveva imposto – e se non fossero riusciti, di sequestrare i rappresentanti, lasciare andare i repubblicani e mettere a morte i democratici.

Un piano simile, prendere in ostaggio il Congresso e condurre processi ed esecuzioni, era in programma per il 6 gennaio. Per qualche ragione niente di tutto ciò è accaduto, anche se sono state trovate alcune bombe a tubo e qualche molotov, e qualcuno ha installato un cappio davanti al palazzo. Nessuna molotov è stata accesa e nessuna bomba esplosa. Il presidente ha rifiutato le richieste di ulteriori truppe della National Guard, finché il vicepresidente non ha dato l’ordine.

Nessun osservatore può non aver notato che la polizia del Campidoglio all’interno era troppo poca e fin troppo accomodante – il Secret Service invece non lo è stato – e all’esterno, la polizia di Washington era in numero non sufficiente ed è stata colta di sorpresa. Tutto ciò era in ovvio e inequivocabile contrasto con l’insistenza di Trump su una presenza militare, non di polizia, durante le proteste quasi del tutto pacifiche e multirazziali del Black lives matter di questa estate, che sono scoppiate nelle città e nei paesi che Trump ha insensatamente soprannominato «giurisdizioni anarchiche».

La gente usciva dal lockdown, a Washington e nelle città di tutto il mondo, riunendosi nell’indignazione per lo scioccante omicidio, un lento strangolamento sotto il ginocchio di un poliziotto, di George Floyd, lui stesso del tutto pacifico. (Floyd è stato allora l’ultimo, ma forse uno dei più flagranti, di una serie apparentemente infinita di morti di persone di colore per mano di poliziotti bianchi, con poca provocazione e generalmente senza pena per la polizia). Alcuni hanno saccheggiato e bruciato negozi con il calare della notte. Allora Trump ha twittato: «Quando inizia il saccheggio, inizia la sparatoria».

Come qualcuno ha detto scherzando, quando i neri protestano li chiamano violenti, ma quando i bianchi sono violenti, li chiamano manifestanti. Nel raduno estivo di Washington i manifestanti sono stati inseguiti con i manganelli da poliziotti pesantemente armati e sgomberati in modo tragicamente memorabile da un parco, in modo che il presidente potesse stare davanti alle telecamere, di fronte a una chiesa, tenendo ridicolmente in mano una Bibbia, un libro che, come tutti i libri, i memo e i briefing possiamo tranquillamente presumere non abbia mai letto.

Raccogliere una tradizione

Washington è piena di strutture iconiche che rappresentano l’unione americana. Il Campidoglio, che era ancora in costruzione durante la presidenza di Lincoln negli anni Sessanta dell’Ottocento, mentre un gruppo di schiavisti resisteva e minacciava la secessione, è la casa del Congresso, il ramo legislativo, mentre la Casa Bianca è la sede del potere esecutivo e la Corte suprema di quello giudiziario nel nostro sistema tripartito. Quando era una dodicenne in gita scolastica, mi sono sporta dalla balaustra della rotunda del Campidoglo per sentire la famosa eco. Ho fatto esperienza della vertigine e ho contemplato la concretezza della presenza storica e dei suoi fantasmi. Quell’edificio è fondamentale nella nostra narrazione nazionale; è dove vengono fatte le nostre leggi e diciamo di essere - ed evidentemente è solo un’aspirazione - di essere un governo di leggi, non di uomini.

Questo periodo di tumulti non è ancora finito. E non è iniziato con Trump. Da bambina nella New York del Dopoguerra ho visto i ritratti di Mussolini esposti con orgoglio nella nostra Little Italy ed ero ben consapevole dei nazisti che avevamo combattuto e sconfitto, ma non prima che la mia comunità fosse decimata, mentre i simpatizzanti nazisti continuavano ad esserci negli Stati Uniti. L’eco del fascismo ci ha sempre inseguiti e mi sono sempre chiesta se il fascismo potesse tornare in vita.

Dalla metà degli anni Sessanta, l’autoritarismo si è unito a un razzismo appena velato come strategia elettorale e culturale favorita dei repubblicani, una strategia chiarissima sotto Nixon, Reagan e sotto il patrizio George H. W. Bush, e poi riemersa al centro della scena con Donald Trump. C’è stata una iniziativa clandestina eppure ben documentata di limitare la partecipazione pubblica delle persone di colore, dei giovani, degli studenti e della sinistra, tutto per istituire il controllo permanente del governo e della magistratura da parte dei repubblicani. Come ha blaterato Trump quest’estate sulla questione del voto per corrispondenza, nessun repubblicano sarà più eletto. La conclusione ovvia è che se perderanno le elezioni, potrebbe scatenarsi un’insurrezione. Nell’aprile del 1995 il veterano della guerra in Iraq Timothy McVeigh, influenzato dai movimenti delle milizie, ha fatto saltare in aria un edificio federale a Oklahoma City, uccidendo 168 persone tra cui 19 neonati e bambini. Questo è stato l’attacco terroristico con più vittime nella storia degli Stati Uniti fino agli attentati del Trade Center, ma è ancora l’atto di terrorismo interno che ha causato più morti. Mentre guidava verso il suo bersaglio, McVeigh aveva con sé le pagine del The Turner Diaries.

L’Fbi ha detto che il terrorismo interno degli estremisti bianchi è la minaccia più grave in circolazione, mentre i politici di destra hanno sottolineato i pericoli che vengono da Black lives matter e altri gruppi afroamericani, la gang salvadoregna del Ms-13, misteriosi “anarchici” e “antifa”, uno spauracchio della destra, qualunque cosa significhi.

Il fallimento dell’impeachment di un anno fa sembra aver lasciato Trump senza vincoli e per questo motivo metterlo in stato d’accusa di nuovo, ora, è una buona idea. Almeno, se lo sforzo avesse successo, non potrebbe candidarsi di nuovo (la sua cacciata da Twitter e Facebook potrà aiutare a contenerlo).

Ma questo potrebbe non porre fine al nostro pericolo. Il negazionismo rimane potente; licenziare le crisi come bufale rimane forte anche se il 6 gennaio abbiamo raggiunto il più alto numero di morti nella pandemia di coronavirus. Le folle continuano a radunarsi e a minacciare i politici che hanno abbandonato Trump. Trump, la sua famiglia e il suo clan mediatico affermano che gli invasori non erano trumpiani ma “antifa”. I membri della famiglia di Trump e i politici fedeli (o almeno fedeli fino al 6 gennaio) stanno pianificando le prossime mosse della loro carriera, nel governo e nei media. Molti sono molto più competenti e presentabili di lui. I trumpiani e i devoti dell’universo controfattuale sono millenaristi religiosi. Poche ore dopo la fine dell’insurrezione, 139 deputati e 8 senatori hanno votato contro la certificazione dei risultati elettorali. E molti milioni di elettori continuano a credere che le elezioni siano state rubate. Chiamato a fermare la folla il 6 gennaio, Trump ha detto: «Vi amo, siete speciali», e poi ha proclamato: «Questo è il genere di cose che succedono quando una sacra vittoria elettorale a valanga viene strappata in modo così sgarbato e maligno a grandi patrioti che sono stati trattati male e ingiustamente per così tanto tempo. Ora andate a casa con amore e in pace. Ricordate questo giorno per sempre». Lo ricorderanno.

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