Il primo battito di ciglia, col quale si stabilisce il sì o il no – mi piace, non mi piace, lo voglio, non lo voglio, vado oppure resto – è tosto. Dal Seminole Hard Rock Hotel di Hollywood, Florida, l’emittente Espn ha trasmesso al mondo, qualche tempo fa, il Pickleball Slam. Prima inquadratura: Agassi, il Kid di Las Vegas, il punk in jeans che anticipava le risposte coi piedi sulla riga di fondo e randellava le palle con la foga di chi aveva subìto qualcosa di gravissimo e di cui vendicarsi. Agassi con in mano una paletta.

Girovita generoso, piedi convergenti che calcano un campetto che si può definire simile al tennis dopo esser stato ristretto da un lavaggio a temperatura sbagliata – in realtà è un campo con misure da badminton, un terzo di quelle del tennis. Accanto a lui, corpulento e cerottato, un’altra silhouette inconfondibile: l’uomo dal cappellino con visiera che grondava sudore anche da riposato. Un altro ex numero uno del mondo e un altro antico campione degli Us Open. Il Kid del Nebraska: Andy Roddick. Ma che roba è? Una lente della telecamera con la curvatura sballata? È Pickleball, signori.

L’ultima variante delle racchette

Mentre i due soci vip, Andre e Andy, affettano e direzionano con angoli stretti una palla che pare quelle sfere fluorescenti da tirare al golden retriever, di plastica e coi buchi, scorrono grafiche didattiche. Il pickleball è l’ultima variante degli sport di racchetta che, a mo’ di elenco delle subspecie di virus, ha già invaso gli Usa e sta per sbarcare in Italia - anzi, è già arrivata e si sono già isolati casi, pardon, campi che spuntano qua e là, nei cantucci dei circoli, nei parchi e nelle aree sportive.

Non è tennis, non è padel, non è tennis tavolo né squash o badminton. Dei primi tre, ha rubacchiato sequenze di Dna per crearsene uno tutto suo. Alcune di queste mutazioni genetiche non sono andate giù all’anziano moccioso Joh McEnroe, la terza superstar ingaggiata per consacrare il pickleball come sport per tutti, dall’agonista in forze al pensionato: tempo due scambi, un paio di schermaglie al volo e ha già sbraitato. Non digerisce il concetto di kitchen, la cucina, quello spazio colorato in chiaro che delimita un’area vicina al net. In cucina, a pickleball, ci puoi entrare ma non colpire la palla al volo: devi farla rimbalzare. Sennò sarebbe troppo facile: naso sulla rete e una caterva di volée vincenti.

Di volo, invece, ti puoi sbizzarrire in tutte la altre zone del campo e Big Mac lo fa ancora, a sessantaquattro anni, quasi come ai tempi beati del 1984, riuscendo a ricavare traiettorie da urlo anche con quell’attrezzo (materiali ammessi: legno, grafite o metallo, purché liscia e senza fessure) che, all’impatto, produce un greve “tac” che fa subito riviera romagnola, bagnasciuga e e racchettoni. Quarto ospite della serata di lusso è Michael Chang e no, non si può giocare il rovescio a due mani con quell’impugnatura così corta. Ma servire da sotto sì, anzi: è l’unico modo lecito per iniziare il punto e il cinofenomeno di Roland Garros 1989 è il più deputato di tutti a utilizzare quell’escamotage, che fece impazzire i circuiti elettrici logici e militareschi di Ivan Lendl in un ottavo di finale Slam indimenticato.

Negli States, il pickleball ha attecchito da tempo: sempre che non si presenti qualcuno, ex post, per rivendicarne l’invenzione, la vulgata racconta di un membro del congresso di Washington, lo scomparso Joel Pritchard, e di un suo vecchio amico imprenditore, Bill Bell.

Un giorno del 1965, nel grande giardino della tenuta del politico a Bainbridge Island, tentarono di ripristinare un campo da badminton dismesso, senza però trovare l’attrezzatura in cantina. Per coinvolgere mogli e amici in un passatempo ibrido e accessibile, pensarono di usare il campo armati di racchette da ping pong e di una palla di plastica dura, forata, ricavata chissà dove. Forse proprio dalla cuccia del cane, vai a vedere. Piazzando la rete a terra e non per aria, venne fuori una specie di minitennis. Più facile, però, perché la velocità degli scambi era minore (un terzo rispetto al tennis, come le dimensioni del perimetro). Alla fine della giornata, si accorsero che si erano divertiti tutti, anche chi non avrebbe saputo impugnare una racchetta da tennis né sostenere uno scambio da tennis tavolo.

La prima associazione nazionale (UsaPa) è nata nel 2005; nel 2010, è stata fondata la Ifp, la federazione internazionale. Sede in Arizona, ha raccolto consensi e adesioni per il mondo fino a quando – è una storia che si ricicla, l’hanno vissuta anche il tennis e, recentemente, il golf – una fronda non ha costituito un ente concorrente, la Wpf, World Pickleball Federation, che lo scorso anno ha inglobato il piatto di portata con l’iscrizione di Usa e Canada e una serie di altri fuoriusciti. Come l’Italia, che ha la sua associazione (Aip) e, dallo scorso anno, la Fipick, primo passo per ottenere, dopo cinque anni di attività controllata sotto egida Coni, i riconoscimento di disciplina associata. La Fitp, la federazione italiana tennis (e padel, dal primo gennaio di quest’anno) ha messo gli occhi su questo nuovo spin-off della racchetta e, proprio in questi giorni, si sono esaurite riunioni tecniche federali e dei partner del Professional Tennis Registry italiano, gestito storicamente dal valente Luciano Botti, per inserire la didattica del pickleball nella formazione dei maestri di tennis italiani.

Negli ambienti Fitp e Ptr sono sicuri: questo Frankenstein racchettoso farà il botto come il padel, perché è ancora più facile da giocarsi, è sociale, familiare e supera l’obiezione, etica o sostanziale che sia, del rifiuto di giocare uno sport chiusi dentro una scatola con le pareti come parte del gioco.

Le statistiche in arrivo da oltremare raccontano di un gioco che piace agli over cinquanta (il 52% dei tesserati ha già passato la boa), con più di cinque milioni di iscritti.

Anche se l’anima della neonata federazione italiana, il presidete Zelindo Di Giulio, rileva che in Italia l’età media sarà più bassa e che il pickleball farà breccia in tanti trentenni e quarantenni con stile di vita sportivo. Gente che, probabilmente, arriva o rimane nell’amato tennis, del quale peraltro il pickleball eredita la superficie: si gioca su resine come il GreenSet, le stesse utilizzate nel circuito professionistico del tennis e in tanti circoli. Si può disputare il singolare, piuttosto faticoso, o più facilmente il doppio.

Il fenomeno italiano è ai primi vagiti, nei numeri: una quarantina di campi, qualche altra decina di rettangoli multisportivi adattabili anche a questa disciplina. Ma con l’interessamento della Fitp è pressoché certo che spunteranno nuovi court un po’ dappertutto: anche perché non esistendo, sostanzialmente, il pallonetto, non sarà necessario ospitare campi in strutture dai soffitti alti nelle regioni a clima più rigido – Milano è già candidata a diventarne patria economica, come nel padel - e questo incoraggerà chi vorrà investire nella pratica indoor.

Dalle parti federali ci si crede al punto tale che, durante le prossime Atp Finals di Torino, accanto ad Alcaraz, Djokovic, Sinner e compagnia il PalaAlpitour ospiterà l’edizione 2023 dei campionati italiani di pickleball, ritenuta anche una scuola propedeutica al tennis, ideale da presentare anche nelle scuole perché poco traumatico e con caratteristiche motorie multidisciplinari.

Mentre qui il gioco germoglia, gli americani sono avanti: festeggiato il primo torneo non statunitense con più di mille iscritti, l’English Open di quest’estate, il progetto in fieri è l’aggancio dei Giochi. Il pickleball alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. E a chi storce il naso: perché, il curling?

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