Le corse sono bugiarde, a partire dal nome. Sabato 16 c’è la Milano-Sanremo, prima classica monumento della stagione: inutile cercare la maglia arcobaleno del campione del mondo Mathieu van der Poel o i ciuffetti biondi che escono dal casco del nuovo cannibale Tadej Pogacar per le strade del capoluogo lombardo. La Milano-Sanremo numero 115 parte da piazza Vittoria, nel centro esatto di Pavia, dove si intersecano il cardo e il decumano dell’antica Ticinum dei romani. Niente partenza assonnata dal Castello Sforzesco, niente sfilata fino ai Navigli, per la gioia dei milanesi che ogni anno puntualmente si lamentavano delle strade bloccate il sabato mattina.

Vi sembra assurdo? In realtà è più normale di quanto immaginiate. Mercoledì c’è stata la 105ª edizione della corsa più antica del mondo, la Rho-Salassa, vinta da Alberto Bettiol. La prima volta che la corsero era addirittura il 1876, anno bisestile come questo: si sfidarono in otto in sella a bicicli, quelli con la ruotona davanti, e arrivarono in quattro. Nel tempo l’hanno vinta grandissimi come Girardengo, addirittura cinque volte, e poi Magni, De Vlaeminck, Moser e ovviamente Saronni, e anche Bugno. Il ciclismo vi piace eppure non l’avevate mai sentita nominare? Vi sveliamo il trucco: il nome ufficiale è Milano-Torino. Solo che non si parte più da Milano e non si arriva più a Torino, per non disturbare.

Tra Francia e Belgio

D’altra parte la Parigi-Roubaix a Parigi non ci mette piede dal 1901. Ma già due anni dopo la nascita dell’Inferno del Nord, nel 1898, il prefetto vietò la partenza dalla capitale francese perché era preoccupato dagli ingorghi. Il gruppo traslocò a Chatou, poi toccò a Saint-Germain, Suresnes, Argenteuil, Saint-Denis e Chantilly. Dal 1977 il via è a Compiègne, 85 km a nord di Parigi. Terra ricca di storia: qui fu arrestata Giovanna d'Arco, qui Genova cedette la Corsica alla Francia, qui nel 1918 fu firmato l’armistizio che chiuse la Grande Guerra e sempre qui nel 1940 si incontrarono il maresciallo Pétain e Adolf Hitler. Il nome Compiègne compare spesso nei libri di storia, mai negli albi d’oro del ciclismo.

Anche la Parigi-Tours, corsa di fine stagione che ambirebbe a sottrarre al Lombardia la definizione di classica delle foglie morte, con Parigi c’entra poco: è scattata da Blois, Versailles, Chaville, Montlhéry, Saint-Arnoult-en-Yvelines, addirittura da Tours (in quel caso fu di fatto una Tours-Tours). Dal 2018 il via è a Chartres, città famosa per la sua bella cattedrale di Notre-Dame, che però è a 92 chilometri da quella di Parigi.

La Gand-Wevelgem, la classica fiamminga per i velocisti, dal 2003 Gand non la sfiora neanche: per anni ha preso il via dalla piazza del mercato di Deinze, dal 2019 si parte da Ypres, capitale dei tessuti di Fiandra, addirittura a 77 chilometri da Gand, in direzione sud-ovest. Quello che non cambia è il paesaggio: si costeggiano i cimiteri, le lapidi delle migliaia di giovani soldati venuti a morire nei campi delle Fiandre, lontano da casa, durante la Grande Guerra. Ovunque sia la partenza, il nome ufficiale della corsa è Gent-Wevelgem in Flanders Fields, e riprende il titolo della poesia scritta in memoria di un compagno da John McCrae, tenente colonnello canadese che a Ypres prestò servizio come chirurgo da campo. E il simbolo della corsa è il papavero, il fiore che nasce sulle tombe dei soldati.

La Kuurne-Bruxelles-Kuurne, il secondo appuntamento del calendario delle Fiandre, dalla fine degli anni Sessanta non ha più il giro di boa promesso dal nome, per non affliggere la capitale belga con divieti e blocchi stradali: il punto della corsa più vicino a Bruxelles è ora la più snella Ninove, 23 chilometri a ovest, poco più di 30mila abitanti. Se è per questo non si parte neanche più da Kuurne, la città che ha come simbolo un asino: quella vinta quest’anno da Wout van Aert è stata in realtà una Kortrjik-Ninove-Kuurne, che per una corsa che ha come slogan «dove nascono le leggende» non è proprio il massimo.

La folla, le bici, le città

È l’eterno guaio del ciclismo: quando passano i corridori bisogna bloccare le strade, spostare le macchine parcheggiate, organizzarsi prima se si ha intenzione di lasciare il garage. Altrimenti succede come al Lombardia del 2020, quando una signora di Como decise di uscire comunque sul suo Suv nero e prese in pieno il campione tedesco Maximilian Schachmann, che stava correndo verso il traguardo. O come alla Milano-Torino del 1995 (quella volta in effetti partì da Milano e arrivò a Torino, al parco del Valentino) che non è tanto ricordata per il successo di Stefano Zanini quanto per il frontale tra una Jeep e tre corridori: Davide Dall’Olio, Francesco Secchiari e Marco Pantani, che veniva dal bronzo mondiale in Colombia ed ebbe come al solito la peggio, frattura scomposta di tibia e perone. Si temette addirittura che la sua carriera fosse finita lì: non avrebbe vinto Giro e Tour nel ‘98, e chissà come sarebbe andato il resto.

I cittadini, state sicuri, si lamentano: anche quelli che sarebbero stati tutta la domenica stravaccati sul divano a guardare Mara Venier, potete scommetterci che se quel giorno passa una corsa vengono presi da un’irresistibile voglia di andarsi a fare una gita fuori porta. Ovviamente in macchina. Ecco perché gli amministratori delle grandi città non fanno la fila per avere le gare ciclistiche nel loro territorio comunale. Neanche quando si tratta di pezzi di leggenda. Neanche quando la diretta tivù porta le immagini in tutto il mondo. Un po’ perché la partenza di solito viene tagliata, un po’ perché ci sono metropoli - come Milano, appunto, o Parigi - che non sentono il bisogno di farsi conoscere ulteriormente.

Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia e delle corse organizzate da RCS Sport, è l’uomo che ha osato spostare la partenza della Sanremo l’anno scorso ad Abbiategrasso e quest’anno addirittura a Pavia. Spiegando che le grandi città hanno tanti eventi, e «quando una cosa diventa un’abitudine non le si dà più il giusto peso. C’era bisogno di dare un segnale. È successo con la partenza ma in futuro potrebbe accadere pure con l’arrivo». Praticamente una minaccia verso chi dà tutto troppo per scontato, «se non viene data la giusta attenzione da tutti gli enti coinvolti, Comuni ma anche Regioni, proporremo cose diverse».

La giusta attenzione reclamata da Vegni è un supporto economico a un evento che promuove nel mondo il territorio delle regioni attraversate, Lombardia e Liguria. Sembra che Pavia abbia speso una cifra sui 100mila euro per ospitare la partenza della Sanremo senza minimamente darle il nome. Dopo i primi chilometri, a Casteggio il gruppo riprenderà il percorso classico e Pavia sarà soltanto statistica. Come l’altra volta: nel 1965 il patron della corsa Vincenzo Torriani sfruttò alcuni lavori sull’Aurelia per modificare il percorso, per evitare che finisse sempre in volata e che vincessero tutte le volte i belgi. Inserì una salita, il Melogno, ma per mantenere la lunghezza di 290 chilometri da Sanremo doveva allontanarsi da Milano, e scelse la Certosa di Pavia. Risultato: corsa più dura e vittoria del primo olandese della storia, Arie den Hartog. La seconda volta in cui non si è partiti da Milano era l’anno scorso: ha vinto ancora un olandese, Mathieu van der Poel. La terza volta è sabato.

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