Europa Editions UK. Con un nome così, di questi tempi, l’impresa sarebbe stata abbastanza avventurosa anche senza Covid-19. Nel 2016, dopo il referendum su Brexit e in preda allo shock della propria bolla che scoppia, la dissonanza cognitiva dell’imprevedibile in atto divenuta poi così familiare grazie ai successivi sconvolgimenti internazionali (l’elezione di Donald Trump, il Covid), passavo le giornate inchiodata sui social a leggere i commenti degli inglesi e continuavo a chiedermi, ma davvero non ci vogliono? Chi, cosa pensano che siamo, perché hanno avuto paura? Possono ripensarci? Dobbiamo continuare a parlarne, a parlarci.

Sembra quello che una direbbe al proprio ragazzo per convincerlo a restare con lei, ma invece mi riferisco al compito della sorellina delle edizioni e/o nel Regno Unito, Europa. Una casa editrice nata dieci anni fa per volere degli editori italiani Sandro Ferri e Sandra Ozzola (i miei genitori) con l’auspicio di parlare un’altra lingua e di convincere un altro popolo, non quello di origine, un popolo che forse non capiamo ma che amiamo, che i libri del mondo e i libri scritti in inglese possono coesistere sullo stesso scaffale.

L’idea era fin dall’inizio di tradurre e pubblicare alcuni fra i più grandi autori internazionali in un mercato dove la letteratura in traduzione era il 3 per cento del totale, spingerla fuori dalla sua nicchia, dallo stereotipo della lettura riservata a pochi, colti. Spingerci anche noi, in cerca di aria, fuori da una bolla in cui sentivamo di non poter più crescere, di non poter più incontrare il diverso.

Perché quando cerchiamo un libro in traduzione su un noto sito di commercio online americano lo troviamo quasi sempre abbinato ad altri titoli in traduzione? L’algoritmo, seguendo una regola impartita dagli uomini, aggrega meccanicamente contenuti attraverso i famigerati Bisac (codicilli che catalogano i libri per generi e sottogeneri, fino ad arrivare ad assurdi come Fiction/Science Fiction/Military, o Fiction/Mystery & Detective/Cozy/Culinary) e secondo una logica della somiglianza piuttosto discriminatoria, finché scoprire qualcosa di nuovo diventa quasi impossibile. Per lo stesso motivo per cui se una volta compro online un maglione blu, annunci di maglioni blu mi perseguiteranno per mesi, come se un maglione blu non ce l’avessi già e ora non volessi comprare, per esempio, una gonna.

La letteratura in traduzione

Mi sembra invece che potremmo leggere Elena Ferrante come leggiamo Kazuo Ishiguro, Roberto Bolaño come Margaret Atwood, Han Kang come Colson Whitehead, e così via. Nel senso che la letteratura in traduzione non è un genere, come vorrebbero, per una in qualche modo pigra volontà di semplificazione e di immediatezza comunicativa, certe logiche commerciali soprattutto anglosassoni. La letteratura in traduzione è letteratura.

E infatti è su queste basi, dopo Brexit e prima del Covid, che ho deciso in accordo con i miei capi (sempre i miei genitori) di fare l’editrice frontaliera tra l’Italia e il Regno Unito, scegliendo di passare metà del mio tempo a Londra e investendo in Europa in UK. In una mossa che potrebbe sembrare controintuitiva per un editore famoso per i libri in traduzione, per prima cosa ho assunto Christopher Potter, editor tra gli altri di Annie Proulx, Michael Cunningham, Michel Chabon, Hilary Mantel, insomma una leggenda dell’editoria inglese, affinché si dedicasse agli autori di lingua inglese. In realtà per me era la scelta più coerente, avevamo bisogno di ampliare questa parte del catalogo perché fosse davvero inclusivo, dialogante. A questo punto eravamo in tre, io, Christopher Potter e Daniela Petracco, che si è sempre occupata un po’ di tutto dalla fondazione della casa editrice. Abbiamo preso un piccolo ufficio a Notting Hill, con il giardinetto, abbiamo discusso le nostre ambizioni e la nostra visione, e ci siamo impegnati a crescere.

Ma «il capitalismo inglese fa impallidire quello americano», per citare un amico editore di qui, «e se vuoi crescere, per non affondare devi nuotare molto velocemente». In questo mercato, la polarizzazione fra grandi bestseller e libri che vendono poche centinaia di copie, se non poche decine, è molto più forte che in Italia. Anche perché rispetto all’Italia nel Regno Unito ci sono più lettori che però leggono di meno, spesso solo i libri al centro dell’attenzione mediatica o ai primissimi posti delle classifiche. Questo crea una certa stagnazione nelle strategie editoriali e allo stesso tempo fa sì che la competizione fra editori per l’acquisizione di “bestseller annunciati” si faccia sempre più spietata.

In un mercato dove Amazon ha una quota gigantesca, complice l’assenza di una legge sul prezzo del libro, le librerie indipendenti soffrono degli affitti stellari e sono costrette alla cautela e a fare scelte più conservatrici.

In questo mercato, abbiamo regalato molte bottiglie di limoncello. Ho parlato allo sfinimento di cosa per noi significa tradurre, sia tecnicamente che idealmente, e di quanto più un progetto è difficile, tanto più vuol dire che forse è necessario. Abbiamo accompagnato autori di tutto il mondo a festival e premi che non abbiamo vinto, ma ci siamo emozionati della platea inglese che veniva ad ascoltare un autore che veniva da lontano.

Penso spesso ai navigatori, ai mercanti che per secoli hanno fatto la spola fra paesi portando carichi di meraviglie e contaminazioni, a coloro che non hanno mai avuto l’interesse a colonizzare, ma solo a esplorare e scambiare. È su di loro che fantastico ed è a loro che mi ispiro quando finisco la sesta videoconferenza del giorno in cui mi sono persa dei pezzi ma ho fatto finta di capirli e fuori piove a dirotto. Ed è a loro che penso ogni volta che vedo sulla faccia di uno dei miei collaboratori o dei miei lettori lo sguardo acceso del riconoscimento, siamo diversi ma riusciamo a parlarci, e ci parliamo perché amiamo i libri, e amiamo i libri perché i libri sono il nostro desiderio di comunicare l’uno con l’altro.

Convincere il governo

In questo mercato siamo stati flessibili, siamo stati aperti, convinti delle nostre idee ma curiosi di ascoltare quelle degli altri e felici di trovare un punto d’incontro.

In questo mercato, dopo mesi in cui la radicale e generalizzata confusione provocata dalla combo Brexit+Covid ha devastato i canali di vendita e arricchito solo Amazon, e nonostante la speranza che pubblicare in inglese l’ultimo libro di Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, ci traghettasse attraverso la crisi, abbiamo infine dovuto fare domanda per dei fondi governativi. Il governo inglese in un suo raro momento muscolare ha infatti deciso di stanziare una cifra enorme, 1,57 miliardi di sterline, in investimenti a fondo perduto nel settore culturale, che si spera dovrebbe restare un settore trainante per il Regno Unito anche dopo l’uscita dall’Unione europea.

Poiché mio padre si era rotto una spalla all’inizio delle vacanze, l’ho costretto a passare un paio di settimane ad agosto chiuso in casa con me a mettere insieme paginate di conti economici e proiezioni per richiedere il finanziamento. Con poche speranze di ottenerlo, visto che fra le altre cose avremmo dovuto convincere il governo inglese di tutto questo, che un’impresa culturale come Europa è vitale per il suo ecosistema. È di pochi giorni fa la notizia che il finanziamento ci è stato accordato. Festeggiamo comprando subito un nuovo aspirapolvere per l’ufficio, visto che di questi tempi per continuare a mandare avanti la baracca bisogna tenere tutto molto pulito. Scegliamone uno buono, uno che pulisca davvero bene, mi sprona Daniela Petracco. Il giorno successivo l’aspirapolvere arriva e io sono felice come una bambina. Mentre lo sto scartando Daniela si alza, fa una smorfia buffa e dice – mi sa che dovevo avvisarti prima, James Dyson è stato uno dei più grandi sostenitori della Brexit. Anche se poi ha spostato il suo quartier generale a Singapore.

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