La Pimpa nasce in un pomeriggio di sole, dalla matita di Altan che disegna tenendo la figlia sulle ginocchia – papà, voglio un cane! – ed eccolo che appare sul foglio: orecchie lunghe, bianca a pois rossi. La stessa cagnolina (perché sì, sarà femmina) che da cinquant’anni continua a correre nei prati della nostra immaginazione, ammirata e amata da bambini, adulti e soprattutto ragazze, facendo capolino dalle pagine del suo giornale, dal profilo Instagram, dalla pelle di chi se l’è tatuata, dai meme, dai libri, dai disegni stampati da colorare, dagli stickers, dalle storie animate in tv, senza mai invecchiare mentre i nonni leggono ai nipoti le stesse storie che leggevano ai figli: la Pimpa che si domanda dove finiscono le stelle quando cadono, che ruba il cappello di Armando per scaldare un pupazzo di neve, che porta un computer di nome Nicola a sentire il profumo dei fiori.

La Pimpa continua ad accompagnarci in luoghi incantanti, molti dei quali hanno a che fare con la capacità di stupirsi delle piccole cose, nonostante l’età, la disillusione e la consapevolezza adulta che il mondo fa abbastanza schifo. E così, con i suoi oltre 53mila follower su Instagram, la Pimpa è una influencer disegnata, che strappa sorrisi con post colorati, diventa un’icona della Gen Z, quelli che adesso hanno tra i venti e i trent’anni, che sono nativi digitali, che lanciano campagne come il dry dating – avere un primo appuntamento senza alcol, per i Millennials una cosa inimmaginabile – che si impegnano per la giustizia climatica e per l’autodeterminazione di genere. Che si sentono vicini a lei, a quella cagnolina con i pois rossi uscita da una matita, in un pomeriggio di sole, molto prima che loro nascessero.

Una icona a pois

Qualche tempo fa, alla presentazione di un libro, due ragazze sui vent’anni si avvicinano e mi chiedono: dove hai preso la borsa della Pimpa? L’ho rubata a mia figlia piccola, gliel’ha portata Babbo Natale. Sguardi persi, ricalcolo la risposta: L’ho presa sullo shop online della Panini. Rapido sorriso di ringraziamento, mano sullo smartphone e dita velocissime che scrollano l’home page: «Adoro anche le calze ma c’è solo la taglia da bambini», sussurrano deluse. Torno a casa e mia figlia piccola indica la borsa di tela e mi dice: la Pimpa è mia, mamma.

Gliela restituisco malvolentieri e inizio a interrogarmi sul perché tutti vogliamo la Pimpa: l’artista e attivista Fumettibrutti la scorsa estate girava con la mia stessa (di mia figlia, ok) borsa di tela con disegnata la cagnolina mentre va in skate, la musicista Arianna Poli ci ha costumizzato un pedalino per suonare, l’illustratrice e fumettista Noemi Vola l’ha resa protagonista di una storia in “P.P. - Povere Puttane”, l’autoproduzione a fumetti realizzata nel 2023 con Eliana Albertini, Martina Sarritzu e Ritardo, mentre Blekbord l’ha inserita nel fumetto antologico autoprodotto con le parodie dei capolavori del fumetto mondiale, “Fumettomachìa”.

Per non parlare dei meme: nel profilo Instagram di 50 sfumature di cattiveria troviamo le cover dei libri riadattati con titoli come “La Pimpa si sballa al rave abusivo” ed è subito Pimpabbestia, su quello di Hipster Democratici riceve l’incarico da Mattarella o entra nel simbolo del Pci che diventa Pimpa Comunista Italiana, Sapore di Male reinterpreta il veglione di capodanno: Armando seduto in poltrona, la Pimpa a letto con la febbre, entrambi con una tazze di the fumante. Si contano 159 commenti, che possiamo riassumere in “noi come la Pimpa”. Sul profilo di Fabio Magnasciutti la vediamo sdraiata su un lettino dire al terapista - sempre Armando, ovviamente - «ho un sacco di zone rosse» e sempre a lei viene dedicata una pagina su Nonciclopedia, dove ne annunciano la morte (falsa, ovviamente) per varicella. A marzo 2013 è sulla cover de La Lettura: sta leggendo insieme a Olivia Paperina, seduta su dei libri giganti, in un parco pieno di fiori. Popolare e intellettuale: sarà questo il suo segreto?

La Pimpa fa cucù

Come dicevamo, la Pimpa fa cucù per la prima volta un pomeriggio dei primi anni Settanta, quando Francesco Tullio-Altan risponde al desiderio di sua figlia Kika di avere un cane disegnandone uno, senza immaginare che lei, la Pimpa, avrebbe tenuto compagnia alla figlia e ad altri milioni di bambini, e non solo, per intere generazioni. A raccontarlo è lo stesso Altan in una intervista alla Rai: «Stavo disegnando con mia figlia in braccio ed è uscito questo personaggio, abbiamo rubato il nome dal soprannome di un’amica. Era un gioco».

Poi nel 1975 la Pimpa esce di casa per finire sulle pagine del Corriere dei Piccoli, nella prima storia che la vede protagonista: “Pimpa e la luna”. Da qui inizia a delinearsi il carattere del personaggio: «La Pimpa è amica del mondo: di Armando, del sole, della luna. È una condizione insita nel personaggio. Il mondo in cui vive è senza conflitti, da scoprire e l’unico adulto che incontriamo è Armando, che è una garanzia per la sua libertà: non dice mai di non andare ma solo di non tornare troppo tardi. Lui la aspetta a casa per farsi raccontare le sue avventure, è il suo posto sicuro alla fine della giornata. Rappresenta quello che avrei voluto essere come padre e spero che anche le mamme si sentano coinvolte dalla sua figura».

Da lì è tutta un’ascesa: nel 1982 la Rai e Quipos producono i cartoni animati, diretti da Osvaldo Cavandoli; l’anno successivo viene pubblicata la prima edizione di “Arriva la Pimpa” che racconta l’incontro tra lei e Armando, un signore con i baffi e il cappello che spesso indossa una cravatta rosa; nel 1987 debutta il mensile dedicato (che continua a uscire in edicola) e nel 1994 Franco Cosimo Panini ne diventa l’editore ufficiale. Nel 2007, arriva Olivia Paperina, personaggio che Altan dedica alla nipotina e che accompagnerà la Pimpa, come una sorella minore, in tante avventure. In mezzo, spettacoli a teatro, tantissimi libri, un premio Andersen, il restilyng del logo, edizioni con la Pimpa che ci accompagna nei musei o a scoprire le città, gadget e social network. Lei continua a fare cucù, mentre ci guarda diventare grandi.

La più amata (e inclusiva)

Perché la Pimpa è la più amata? Perché è presa bene, nell’interpretazione più intelligente che possiamo dare a questa definizione: è amica del mondo (come spiega Altan), curiosa, divertente, mai spaventata dalla diversità, capace di condividere, esplorare, porsi domande, costruire relazioni senza pregiudizi, trovare il coraggio per superare le paure (perché, diciamocelo, se affronti una ciotola di spinaci e scopri che sono buoni, il resto è una discesa).

Inoltre, la Pimpa decostruisce (da cinquant’anni) l’idea di famiglia tradizionale, regalando ai lettori, piccoli o grandi che siano, una lente diversa con cui interpretare il mondo: persone che si prendono cura l’una dell’altra per elezione e non per biologia, qualcosa che richiama l’idea di sfamiglia teorizzata e praticata dal transfemminismo e quella di famiglia queer, che Michela Murgia ci ha fatto conoscere sia rendendo pubblica la propria esperienza personale che con il suo libro postumo, Dare la vita (Rizzoli).

Armando trova la Pimpa e la accoglie in casa, è un papà, una mamma, un amico. Con loro vivono una lampada di nome Lucia, una paperina di nome Olivia accudita come una sorellina e un’entità scura che si fa chiamare buio ma non fa paura.

Una casa aperta, accogliente, dove esseri viventi e oggetti si trattano con rispetto e costruiscono una rete di affetti. Qualcosa che ci ricorda come la letteratura e l’arte siano in grado di anticipare le istanze della contemporaneità, offrendoci gli strumenti per comprenderla. In maniera semplice, immediata, colorata. Come una vignetta della Pimpa. E poi, come mi scrive Arianna Poli, «è dolcissima, ti fa pensare alla bellezza delle piccole cose». Forse, in questi tempi drammatici, ne abbiamo davvero tanto bisogno.

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