Lui è Varenne, “il Capitano”, “il figlio del vento”. “Orgoglio”, lo chiamano a Napoli. Lui è il cavallo che ha portato l’Ippica italiana sul tetto del mondo. Si interrompevano le trasmissioni televisive per mandare in onda le sue vittorie davanti al pubblico in delirio e le bandiere dell’Italia che sventolavano come impazzite.

Trent’anni e Varenne, il più grande trottatore di tutti i tempi, dal suo buen ritiro di Eboli, in Campania, nell’allevamento LJ di Dario De Angelis, dove il suo proprietario Enzo Giordano prima di morire il 2 maggio scorso, ha voluto che approdasse, continua ad emanare forza e bellezza.

Anche ora che il suo muso si è imbiancato ed è arrivato il tempo del meritato riposo dopo vittorie trionfali e stagioni di monta. Perché conserva ancora intatto il suo incedere fiero e gli occhi intensi, che si fa fatica a smettere di guardare. Occhi neri che raccontano la sua storia di campione: sessantadue corse vinte su settantatré disputate in giro per il mondo, un record mai eguagliato da nessun altro atleta, con vincite per 6,3 milioni di euro e oltre 2000 figli.

Nella sua ultima uscita pubblica il Capitano, condotto dalla sua “lady rossa” Daniela Zilli e dal suo storico driver Giampaolo Minnucci, il 4 maggio scorso, così come voleva Giordano, ha fatto il giro d’onore al 76° Premio Lotteria di Agnano a Napoli, mandando in estasi quindicimila persone che al suo passare si sono inchinate come si fa davanti alle divinità. E Varenne non ha deluso le aspettative: la sua straordinaria forma fisica e i nitriti davanti alle Tribune, non hanno fatto altro che alimentare la leggenda.

A partire dalla sua nascita nella tempestosa notte del 19 maggio del 1995 nell’allevamento di Zenzalino a Copparo, in provincia di Ferrara, gestita dal caporazza Alessandro Rondini, che ha dovuto ricacciare indietro l’unica zampa che si intravedeva e afferrarle entrambe. È nato così il cavallo baciato dagli dei, il figlio dello stallone americano Wakiki Beach e della fattrice italiana Ialmaz.

«Vogliamo dire che Varenne è figlio di un fulmine che quella notte attraversò i nostri cieli?». Sorride Antonio Viani, figlio del patron di Zenzalino, Sandro, che aveva in comproprietà con il grande allevatore francese Jean Pierre Dubois, delle fattrici tra cui Ialmaz. «Già la scelta del nome appare come un segno del destino perché tutti i nostri cavalli contengono la Z finale nel loro nome e invece mio padre per lui e solo per lui, pensò a un nome diverso, unico».

Quello di rue de Varenne, il nome della strada di Parigi dove ha sede l’Ambasciata d’Italia in Francia. E anche questo è un segno.

Varenne a sei mesi fu venduto insieme ad altri puledri a Dubois e portato in Normandia.

«L’ho rivisto insieme a mio padre un anno dopo in Francia, e il caporazza di Dubois ce lo indicò. Aveva un’aria da bullo e una copertaccia scucita addosso. Gli chiedemmo chi era e rispose che era Varenne, il figlio di Ialmaz, aggiungendo scherzando, che quel cavallo se lo avessimo voluto, lo avremmo preso per poco».

Perché Varenne a un controllo radiografico svelò un micro distaccamento osseo ad una zampa, in gergo un chip, che avrebbe potuto comprometterne la carriera. E al suo esordio, al Premio Primavalle di Bologna il 6 aprile del 1998, nonostante la squalifica per aver rotto l’andatura, fece una rimonta impressionante. E cominciarono ad arrivare le prime richieste di acquisto, ma il francese chiedeva troppi soldi.

Finché non arrivò il driver Giampaolo Minnucci, romano di Trastevere almeno da 3 generazioni, cresciuto in una famiglia di guidatori professionisti e allevatori di cavalli da corsa, come suo nonno e suo zio da parte di madre, Aurelio e Umberto Francisci. A 18 anni anni prese la licenza di guida e nel 1986 diventò professionista.

«Guidare un cavallo, stare su un sulky, significa mettere d’accordo due cervelli pensanti. Lui deve correre e io devo fare in modo che si fidi di me e faccia tutto ciò che gli chiedo. Dobbiamo essere collegati. Sempre».

Minnucci conobbe Enzo Giordano venticinque anni fa tramite un amico. Era un appassionato alla ricerca di un cavallo forte da comprare e andò nella sua scuderia. «Certo – sorride Giampaolo – non si sarebbe mai aspettato di acquistare il più forte di tutti, il cavallo per eccellenza. Fui io a segnalarglielo dopo averlo visto correre. Con me c’era l’allenatore finlandese Jori Turja e un veterinario, Pio Iannarelli. Chiesi di provarlo ma Dubois rifiutò. Chiamai subito Enzo Giordano e gli dissi che secondo me quello che stavo vedendo era un grande cavallo.

Ciò che mi colpì di Varenne fu la sua andatura, diversa da tutti gli altri. Ma c’era quel problema del chip che sicuramente rappresentava un fattore di rischio. Razionalmente quel cavallo non era un acquisto da fare o almeno andava preso ad una cifra inferiore rispetto a quella che chiedeva Dubois, centottanta milioni di vecchie lire. Ma arrivò il cocomero di turno, io, e lo prese anche pagandolo tanto. Quando gli diedi i soldi che mi aveva affidato Enzo –  ne sono certo – fu Dubois a pensare di aver fatto l’affare e non io».

«Papà comprò Varenne di nascosto», rivela Daniele Giordano, trent’anni come il Capitano, cresciuto nella sua ombra e con un padre da condividere con quel fratello dallo sguardo ipnotico, umano. «Negli anni ’90 con la cifra che è costato Varenne, compravi un appartamento, è chiaro che mio padre ce lo ha tenuto nascosto. Nessuno di noi in famiglia ne sapeva qualcosa. Poi, quando è esploso il fenomeno, ci ha detto la verità». È grato Daniele a Varenne, per tutto ciò che ha portato nelle loro vite e per le grandi emozioni che ha regalato a suo padre. Gli bastava guardarlo per commuoversi fino alle lacrime.

La prima volta che Varenne vinse ad Agnano, ebbe addirittura un malore. Si risvegliò in ospedale con la maschera dell’ossigeno.

«Mio padre ha amato il suo cavallo sopra ogni cosa. Gli sono state offerte cifre da capogiro che lui ha sempre rifiutato perché diceva che Varenne apparteneva all’Italia. Il loro è stato un rapporto pieno di pathos perché papà era molto sensibile, per questo stava in disparte, dietro le quinte. L’unica cosa che si concedeva con i tifosi, era la cena che offriva dopo ogni vittoria di Varenne da “Mimì alla ferrovia” dove invitava un numero incredibile di persone. Riempiva il locale».

Giordano ha appena fatto in tempo a scrivere il suo libro. Ci penserà Daniele, ora, a curarne la pubblicazione e a custodire la storia di Varenne. Una storia segnata anche da vicende giudiziarie ma soprattutto da persone che si prendono cura ogni giorno del campione. Come Daniela Zilli, la sua lad. Ha studiato Scenografia all’Accademia di Brera ma poi la passione per i cavalli ha avuto il sopravvento. Ha lavorato per le più importanti scuderie italiane ed estere e nel 2021 le è stato affidato Varenne dopo il suo trasferimento nella Tenuta “il Cigno” di Villanterio, alle porte di Pavia. Ora, per il suo Capitano, trascorre molto tempo ad Eboli dove De Angelis vorrebbe si fermasse. E lei, capelli rossi, e piglio sicuro, lo protegge dall’entusiasmo dei tifosi che vorrebbero, almeno per una volta, sfiorare quel cavallo alato che continua a farli sognare.

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