Alla fine si sono arresi al segno dei tempi pure in Nba, il regno dei regni dello sport americano. Uffà, questi play-off interminabili, che noia tutti questi verdetti che arrivano solo dopo sette partite. Da qualche decina di brainstorming sono usciti allora con un nuovo torneo, cominciato la notte scorsa e piantato in mezzo al campionato, una Nba Cup a gironi, con semifinali e finali il mese prossimo, ma senza troppe cerimonie e senza appelli, una gara secca, chi vince vince, amen.

Cinque anni fa, abbastanza a sorpresa, sul New York Times apparve un articolo che più o meno diceva: altro che All-Star Game, bisogna copiare la Coppa Italia di basket. Sul serio. C’era scritto: Coppa Italia. L’hanno fatto.

Per amore del drama, come dicono in America. È la nuova legge che lo sport si è dato. Segna il confine tra ciò che funziona e cosa va corretto. È l’ultimo passaggio di una tendenza generale che sta portando quasi tutti gli sport a rivedere regolamenti e formati per essere più seducenti, agli occhi delle televisioni che pagano per i diritti tv chiedendo spettacoli dalla durata gestibile, e agli occhi delle nuove generazioni, i titolari delle carte di credito del futuro.

La cultura digitale

C’è un filo che incolla ogni frammento sparso e unisce i puntini sparsi sulla mappa. Tutto va celebrato nel segno della velocità, dell’esposizione estrema alla tensione, dell’intensità. È che i teenager si sono fatti questa fama di spettatori distratti, di fruitori a spizzichi e bocconi, così il mercato gli va incontro, li asseconda, senza che alla fine sia ben chiaro qual è la causa e quale l’effetto, se l’offerta insegue i bisogni o se invece li ha formati così. La successione di eventi è una catena impressionante.

La Formula Uno ha inventato la gara-sprint prima del gran premio vero e proprio. Le moto sono andate a rimorchio per imitarla. Il tennis ha sperimentato l’accorciamento del punteggio da sei a quattro in ogni set e ha accorciato le partite di Coppa Davis. Ha messo in piedi finanche delle esibizioni nelle quali prima di ogni punto si pesca una carta di imprevisti, come nel Monopoli, così può capitare di avere un solo servizio a disposizione oppure l’obbligo di colpire al volo, cose così. Show. Drama

La pandemia ha dato la spinta finale ai laboratori. Bisognava inventarsi qualcosa per sopravvivere. È stata un’invasione. Non si è salvato nessuno. Gli scacchi, per esempio. Quel posto dove si pensa, si pensa, si pensa. O meglio: si pensava. Ora si va affermando la modalità lampo, la partita blitz in tre minuti, qualche volta cinque, al massimo dieci, non di più. Il cricket era uno sport nel quale le partite potevano durare giorni. Da quando esiste la versione T20, con dei limiti ai lanci e alle battute, le Olimpiadi si sono finalmente decise ad aprirgli le porte: lo vedremo a Los Angeles nel 2028.

I Giochi hanno avuto un ruolo in questa svolta. Durante le Olimpiadi invernali di Torino del 2006, la Nbc scoprì un calo del 32% fra gli spettatori. Il guaio è che avevano in ballo qualche soldino, due miliardi e 300 milioni di dollari spesi per comprarsi i diritti. Anche undici sponsor da 50 milioni di dollari l’uno si inquietarono. L’età media dei telespettatori era salita da 47 a 53 anni. Nella fascia d’età 18-34, gli interessati erano scesi al 28 percento. American Idol era davanti nello share. Analisti, esperti, professoroni universitari immaginarono allora un cambiamento, un futuro con un look da sport-reality. Chi suggerì di microfonare gli atleti, chi pensò una cosa assurda come trasmettere lo sport sui telefonini, chi disse che servivano più corpo a corpo, più eroi ragazzini. Fatto.

È successo tutto. Il nuoto, l’atletica, il biathlon hanno nei loro programmi le staffette miste: uomini e donne in gara insieme. Ai Giochi di Tokyo sono entrati il surf e lo skateboard, con un podio femminile su cui sono salite due dodicenni e una diciannovenne. A Parigi tra un anno vedremo la breakdance.

La transizione sta passando attraverso il modello Netflix, con la produzione di docu-serie pensate per i neofiti, con tanto backstage per catturare un pubblico nuovo. Solo che quello vecchio guarda e resta sconcertato. È andata così per l’automobilismo, il tennis, gli scacchi. Tra poco tocca al ciclismo, lo sport della tradizione, del silenzio e dell’attesa. Non se l’è cavata neppure il pentathlon moderno, lo sport inventato dal barone Pierre de Coubertin in persona. Sono arrivati i raggi laser e al posto dell’equitazione una corsa tipo Takeshi’s Castle. Cosa volete che sia la Coppa Italia giocata in Nba.

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