Il filosofo e il critico d’arte hanno scritto due libri intelligenti e densi, molto diversi tra loro ma le cui strade s’incrociano in più punti. Libri che, soprattutto, sanno cogliere, molto più e molto meglio di tanti chierici, il significato essenziale di questa figura, presente nei vangeli ma soltanto sullo sfondo
Ci volevano due intellettuali laici per parlare in modo nuovo di Maria, la donna che i cristiani d’oriente definiscono «madre di Dio», theotókos in greco, un titolo antico e scandaloso che nel 431 viene consacrato dal concilio di Efeso. La novità arriva da due libri intelligenti e densi, molto diversi tra loro ma le cui strade s’incrociano in più punti.
Libri che soprattutto sanno cogliere, molto più e molto meglio di tanti chierici, il significato essenziale di questa figura, presente nei vangeli ma soltanto sullo sfondo. Nonostante la presenza minima nelle Scritture sacre, Maria ha una fortuna iconografica immensa, dagli affreschi nelle catacombe romane all’arte contemporanea.
Proprio le immagini sono il filo conduttore comune dei percorsi ideati da un filosofo, Massimo Cacciari (La passione secondo Maria, il Mulino), e da uno storico dell’arte, Vittorio Sgarbi (Natività. Madre e Figlio nell’arte, La nave di Teseo). Vie diverse, come quelle immaginate dagli apocrifi per i magi, ma che entrambe – sin dai titoli dei due libri – lasciano intravedere il motivo radicale dell’importanza della Madonna nella fede cristiana (cattolica e ortodossa, soprattutto), ma anche la sua risonanza anche oltre i confini religiosi.
Il mistero dell’incarnazione
La madre di Gesù è importante perché rimanda a Cristo e, prima ancora, rende possibile – lei creatura umana – il mistero dell’incarnazione del figlio di Dio, dalla nascita alla sua morte. E i due avvenimenti riguardano e racchiudono la vita di ognuno.
Maria, la ragazza di Nazaret, con la sua accettazione all’annuncio dell’angelo è indispensabile per l’inaudito: il farsi carne del Logos, nella filosofia greca principio creatore dell’universo. Grazie alla sua maternità prodigiosa, eppure così umana: «Dio mandò il suo figlio, nato da donna» scrive sobriamente, senza farne il nome, l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Galati (4,4).
Ed è lei, la madre di Dio, a mostrare il cammino, indicando il suo stesso figlio nel diffusissimo motivo iconografico bizantino della Vergine hodeghétria (letteralmente «guida», Odigitria) che tiene in braccio il suo bambino. Figlio che è «la via», come lo stesso Cristo si definisce durante l’ultima cena (Vangelo secondo Giovanni, 14, 4-6).
La madre rinvia dunque al figlio, ed è questo il motivo della presenza di Maria che resta sullo sfondo delle narrazioni evangeliche, persino in quelle della nascita di Cristo. Che viene al mondo come nasce ogni essere umano. In copertina entrambi i libri – e la coincidenza non può non colpire – hanno la stessa immagine di Maria che si regge il ventre come qualsiasi donna ormai vicina a dare alla luce: è la mirabile Madonna del Parto di Piero della Francesca, affresco eseguito a Monterchi, non lontano da Arezzo, intorno al 1455.
Il capolavoro di Piero della Francesca
Sgarbi sceglie di descrivere il capolavoro con le parole che, nel film La prima notte di quiete, Valerio Zurlini mette in bocca ad Alain Delon. L’attore parla sullo sfondo di questa scena sorprendente, con i due angeli che scostano il pesante broccato di una tenda per svelare Maria.
«Gli autori della commissione non erano papi, né principi né banchieri, e può darsi che all’inizio Piero abbia preso il lavoro un po’ sottogamba. Malgrado questo, ecco il miracolo di questa dolce contadina adolescente, altera come la figlia di un re. Il silenzio della campagna intorno a lei è così compiuto» dice nel film Delon. «Attraverso i secoli il destino ha scelto proprio la sua purezza. Tutto finito. Lei ne sembra compresa, ma non felice, se già sente oscuramente che la vita misteriosa che giorno per giorno cresce in lei finirà su una croce romana, come quella di un malfattore».
Parallela, quasi una meditazione, si svolge la riflessione di Cacciari, sin dall’apertura del singolare sipario: «È un gesto imperioso quello degli Angeli, un potente invito ad aprire gli occhi», per contemplare. «Ciò che ora si rivela era custodito nel silenzio fin dall’Inizio, in luogo sacro. All’interno di un tabernacolo abbiamo finalmente accesso. E scopriamo che esso custodiva il Cielo, l’Aperto stesso dell’azzurro del cielo. Ciò che ci appare non ha nulla di misterioso, ciò che ci viene incontro è alethès, vero nella sua realtà, reale nella sua verità».
Grazie alle immagini di Piero della Francesca – soprattutto le Madonne, ma anche il Cristo della Resurrezione conservata a San Sepolcro – il filosofo contempla i volti consanguinei e inseparabili della madre e del figlio. In un percorso punteggiato di allusioni e sprazzi al pensiero dell’occidente: dalle radici classiche, che alimentano il medioevo, fino alla contemporaneità.
«Al di sopra dei vapori e del sudiciume delle bassezze c’è una umanità più alta e più chiara» scrive Nietzsche. Parole che Cacciari legge «“in lode” di questa Donna»: come «i raggi del sole, le gocce di rugiada, i fiocchi di neve», la figura di Maria «scende a noi e ci rivolge il silenzioso invito a partecipare della sua ospitale solitudine.
Ai piedi della croce
Seguendo il cammino dell’incarnazione, il percorso giunge ai piedi della croce, dove sta la madre sconvolta dal dolore. Stabat mater dolorosa iniziano i versi attribuiti a Jacopone da Todi e innumerevoli volte messi in musica per meditare sullo strazio di Maria annunciatole misteriosamente dal vecchio Simeone quando prende tra le braccia il piccolo Gesù che riconosce come il Messia.
«Anche a te una spada trafiggerà l’anima» riferisce l’evangelista Luca (2,35) nell’episodio della presentazione di Cristo al Tempio, ricordata nel calendario cristiano il 2 febbraio. Lo scrittore sacro che più spazio riserva alla madre di Gesù – per questo la tradizione gli attribuisce le più antiche icone della Vergine – riporta una frase che Benedetto XVI (L’infanzia di Gesù, Rizzoli-Lev) suppone «conservata nell’antica comunità giudeo-cristiana come parola tratta dai ricordi personali di Maria».
La madre non abbandona il figlio morto deposto dalla croce. È l’iconografia della Pietà, ricorrente nel cuore dell’Italia rinascimentale ed espressa mirabilmente dalle celeberrime sculture di Michelangelo. In quella di San Pietro la Madonna ha la stessa età di Gesù. «Vergine madre, figlia del tuo figlio» inizia la preghiera che Dante fa recitare a san Bernardo nell’ultimo canto del Paradiso: «Ma il figlio nasce pure dalla sua figlia, e se nel ventre di questa non si fosse riacceso l’Amore, neppure il Figlio sarebbe mai stato» scrive Cacciari osservando che «i due sommi, Dante e Michelangelo, si incontrano nel segno di Maria».
Dentro la storia dell’arte
Centinaia sono le immagini, tra l’altro riprodotte magnificamente, documentate con rigore storico e narrate con piana brillantezza da Sgarbi, che le interpreta in una chiave pertinente e altrettanto convincente. Secondo lo storico dell’arte, «la forza della religione cristiana, il tema dominante della sua proposta» stanno infatti nel «condividere la vita e il destino degli uomini, e questo presuppone un dialogo, un accordo fra l’indefinita realtà che è Dio e la Vergine che diventa madre».
Dal senese bizantino Duccio di Buoninsegna alla rarefatta Mater purissima di Domenico Maria Durante – «pittore tanto luminoso quanto misterioso», nonché portiere della Juventus tra il 1901 e il 1911, che in un autoritratto arriva a firmarsi «campione di calcio» – sono quasi sette i secoli raccontati da Sgarbi, anche se sono definite solo «incursioni» quelle nella contemporaneità. La narrazione dello studioso è ovviamente dentro la storia dell’arte, dove si muove con assoluta padronanza critica, ma nello stesso tempo va al di là di essa.
Tra i quaranta artisti scelti, sono Piero della Francesca, Botticelli, Giovanni Bellini, soprattutto Raffaello con le sue «infinite madri», poi Michelangelo quelli su cui l’autore attira maggiormente l’attenzione. Ricordando con piena ragione che «perfino nel momento più terribile, la passione di Cristo, la morte come atto finale di una vita umana esemplare contiene il tema della maternità, la corrispondenza tra una madre e un figlio».
Rapporto unico è quello tra figlio e madre, evocato da Sgarbi con i versi drammatici di chi gli appare come «la reincarnazione di Caravaggio nel Novecento», Pasolini; versi rivolti alla madre: «Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile». Nel quadro di una ricerca – comune agli autori di questi due libri convergenti – che si propone di «trovare l’uomo attraverso Dio» e di «trovare Dio attraverso l’uomo».
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