Lo supponevo. Il Pinocchio di Jacovitti mi abbracciò dopo il sillabario. Sento ancora i canti del maestro: «Fu così che con diletto illustrai quel pinocchietto». Non avevo ancora letto Carlo Collodi. Il treno dei miei pensieri aveva fatto un percorso all’incontrario. Prima la parodia fumettata, poi l’originale. E per tanti anni mi sono chiesto perché Collodi non avesse messo nella balena oltre a Geppetto e al burattino un certo Flitt, ai tempi nome di un Ddt ammazza zanzare, la caricatura di Hitler.

Lo supponevo, ma non ne avevo la certezza. Perché quando entri nel «mondo pistola» di uno dei più grandi fumettari italiani non puoi più uscirne, diventi un abitante lucido e surreale di una geografia piena di vermetti che fumano, nasi a forma di pistola, colli senza teste, dita che uscivano dalla terra, dadi volanti, pettini, ossa e, soprattutto, salami, salamini e affini. Un trionfo di matita.

Che parte dal Pinocchio (quasi fu-fumetto d’arte) per attraversare i campi e gli aromi della fantasia con il pasticcione Tom Ficcanaso, detective di successo, con Pippo, Pertica e Palla, gioco a tre P con cane per arrivare sulla luna, con la vecchia energumena Carlomagno che si fa gli affari suoi e, molto volentieri, quelli degli altri, con Cip l’arcipoliziotto, quello del supponevo fuori contesto che con il fido Gallina tenta di acciuffare il criminale Zagar, con il gangster Jac Mandolino che ha sempre al suo fianco il maldestro diavoletto Pop Corn e con il famoso Cocco Bill, sempre pronto a dare la caccia ai banditi bevendo camomilla invece del classico whisky a cavallo del suo Trottalemme.

Un trionfo di personaggi e storie di un divertente «mondo pistola» dove i morti ammazzati fanno un paio di capriole, entrano nella cassa e camminano per il cimitero con mani e piedi che escono dalla bara, come sosteneva lo stesso Jacovitti.

Una biografia romanzata

Il mondo di uno dei più geniali fumettisti italiani viene raccontato da Stefano Milioni e Edgardo Colabelli in un libro (100 anni con Jacovitti, Ballon’s Art, con una prefazione di Vincenzo Mollica) che con disegni inediti e foto passa in rassegna la vita dell’artista e quella del nostro paese, dal Ventennio fascista alla fine della Prima repubblica, passando per la guerra, il Dopoguerra, la difficile fase della ricostruzione, la ripresa, il boom economico, il turbinio degli anni Settanta, gli anni di piombo, e quelli che avrebbero portato a Tangentopoli.

Quasi una biografia romanzata realizzata con pazienza e capacità da Stefano Milioni, come scrive Edgardo Colabelli, coautore e direttore della casa museo Benito Jacovitti. Un libro che va letto in modo sussultorio, saltando da un disegno a un capitolo, da una foto d’archivio a una battuta di Cocco Bill, cercando di afferrare l’immaginazione e la fantasia di Jacovitti e, soprattutto, il suo gusto del gioco.

Da Eia eia baccalà ad Attenti al dromedario per entrare nel suo mondo di salami e lische di pesce nel regno del surreale, vivendo una realtà parallela con la stessa intensità che mettiamo nell’alzarci la mattina presto, nell’andare a lavorare, nell’ascoltare un concerto, nel vedere una partita di calcio, nel pranzo della domenica con amici e parenti, nel leggere un buon libro. Sempre con il gusto del gioco. «Stare nella realtà è possibile solo se riesco a riderne» diceva l’artista. Questo libro, stampato in occasione del suo centesimo compleanno, lo rappresenta. È surreale ma, al tempo stesso, analizza con razionalità i vizi, i difetti e le virtù dei nostri concittadini. Nel rispetto del pensiero dell’artista. Quasi un realismo magico, ossimoro perfetto per la matita di Cocco Bill.

Il francobollo realizzato da Poste in occasione del centenario della nascita di Benito Jacovitti

Il rapporto con il fascismo

Il volume passa in rassegna anche il suo percorso con il fascismo che per tanti anni lo ha ingabbiato nella retorica ideologica di essere al servizio del pensiero mussoliniano. Polemiche sterili per un tipo piuttosto dispettoso. A nove anni, nel 1932, partecipò alla raccolta del grano in presenza di Mussolini. Il duce, con quell’aria che tutti noi conosciamo dai filmati dell’epoca, gli domandò cosa volesse fare da grande. Lui rispose senza peli sulla lingua: «Visto che anch’io mi chiamo Benito alla vostra morte prenderò il vostro posto». Mussolini lo prese per una gamba, lo sollevò, e disse: «Il duce sono solo io. E poi vivrò molto a lungo».

Fu il suo primo incontro con il fascismo, con l’arroganza e la violenza di un modo di essere e pensare che non amava e che rifiutava con forza. Tanti anni dopo confessò a Oreste Del Buono, mitico direttore di Linus, l’amarezza di essere scambiato per fascista. «Quello che penso del fascismo l’ho già raccontato chiaramente in alcune mie storie. Ha fatto tanti danni. Io poi ero poco più che un ragazzino, cosa vuoi che capissi. Ma pensa a mio padre: era un fascista molto convinto, ma dopo le leggi razziali, dopo aver capito l’orrore che era, ha aiutato diversi ebrei a fuggire per evitare che finissero nei campi di concentramento».

Sempre nel 1932 fece un ritratto di Cesare Balbo, uno dei comandanti della Marcia su Roma. Il padre con orgoglio portò il disegno alla sede cittadina del partito fascista, senza accorgersi che il figlio sulle mostrine della divisa di Balbo aveva disegnato due falce e martello, un’immagine che, senza che ne conoscesse il significato, Benito aveva copiato dalla rivista satirica fascista 420.

Un anarchico di centro

Camerati sbeffeggiati da un ragazzino. In realtà Jacovitti era un convinto anticomunista e questo ha creato a lungo l’equivoco che fosse fascista. Lo è stato nei primi anni della sua vita. Ma si allontanò presto dal fascismo al punto che decise a un certo punto di non farsi più chiamare Benito ma Franco, suo secondo nome. Era un artista e uno spirito libero. Nella sua vita ha subito censure da tutti: cattolici, fascisti, sul finire degli anni '40 Togliatti lo dichiarò «nemico del popolo» per la rappresentazione che aveva dato dei comunisti in alcuni suoi disegni.

Ha sempre votato Democrazia cristiana, Partito liberale, socialdemocratico. Si definiva un anarchico di centro. Nel 1979 venne invitato dalla redazione della rivista satirica Il Male, la cosa più a sinistra che si potesse immaginare in quel periodo, a disegnare un omaggio a John Wayne, scomparso nel giugno di quell’anno.

Jacovitti amava sicuramente lo spirito ribelle della rivista (da quell’esperienza nacque poi Frigidaire, da cui sarebbero emersi disegnatori eccelsi come Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, Stefano Tamburini, Filippo Scozzari). Jacovitti andò a disegnare il suo omaggio nella redazione della rivista che si trovava a Roma nel quartiere di Monteverde Vecchio. Fece un disegno in bianco e nero in un silenzio quasi mistico, mentre tutti gli altri fumettisti lo guardavano all’opera, ammirati. Alla fine Jacovitti salutò regalando a ognuno un suo disegno.

La copertina del libro realizzato da Stefano Milioni ed Edgardo Colabelli edito da Balloon's Art

Diario Vitt

I disegni di Jacovitti hanno accarezzato le menti fertili di bambini e giovanotti per diverse generazioni con il Diario Vitt. Dal 1949 al 1980. Trentuno anni di strisce semplici e ingarbugliate che illustravano un diario scolastico, nato con l’intento di educare gli studenti. C’è la fotografia del costume e della cultura italiana dell’epoca. Non solo.

Le storie e il contesto immaginario creato da Jacovitti sono stati, per numerosi studenti, la possibilità di perdersi in campi inesplorati e affascinanti, come un’astronave in grado di attraversare i bastioni della fantasia. Da una parte le guerre di Achille e i viaggi di Ulisse dall’altra una pistola velocissima e tanto sale in zucca del più pigro cowboy della storia, Cocco Bill.

Un abbraccio tra la migliore cultura ufficiale insegnata nella scuola e quella segreta, rubata alle ore di lezione, che, come una camomilla, rasserenava e arricchiva la voglia d’evasione mentale e fisica. Sul Diario Vitt non si scrivevano solo i compiti da fare e le poesie da dedicare alle/ai compagni di scuola, ma si consultava cosa pensasse Cip l’arcipoliziotto del professore d’italiano. Si sfogliava, si riconosceva il pensiero e poi si concludeva sempre allo stesso modo: lo supponevo.

Dal 1980 il Diario Vitt uscì dalle scuole all’improvviso. Non se ne conoscono le ragioni. Tuttavia Goffredo Fofi, nel suo libro Gli anni d’oro del Diario Vitt, sostiene che la scelta di chiudere fu conseguente alla pubblicazione da parte di Jacovitti del suo Kamasultra di tre anni prima. L’imbarazzo per la vicenda spinse la casa editrice dell’Azione cattolica a chiudere la collaborazione col disegnatore. Il Kamasultra fu lo Jacovitti proibito, preso d’assalto dagli stessi studenti del Diario, divertiti dalle tavole erotiche e dalla gioia di un sesso senza tabù. Lo supponevo, dissero in coro gli studenti di quegli anni.

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