Mi sono spesso domandato che cosa avrebbe detto Jean Baudrillard, se fosse ancora qui, di fronte ai clamorosi eventi che si sono presentati negli ultimi anni.

Che cosa avrebbe scritto, ad esempio, il sociologo francese sugli attentati che sono stati compiuti da al Qaida nella redazione della rivista satirica Charlie Hebdo o da Isis nel Bataclan e in vari luoghi di Parigi? Oppure, che cosa avrebbe scritto sulle due sanguinose guerre in corso tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas?

Perché Baudrillard si è occupato di molti temi, ma ha cercato di fornire delle interpretazioni originali anche su eventi drammatici e complessi come le guerre, gli attentati terroristici o l’attacco dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers di New York.

È scomparso una quindicina di anni fa, ma le sue idee possono ancora fornirci dei potenti strumenti per comprendere quello che sta accadendo nel mondo contemporaneo.

Il ritorno del Male

Il Male è uno dei temi di cui Baudrillard si è più frequentemente occupato. Lo scriveva con la “m” maiuscola per enfatizzarne la potenza distruttiva e, d’altronde, il Male non è altro che violenza, negatività, morte.

Secondo il sociologo francese, le società occidentali hanno costruito il loro successo nel corso dei secoli rivolgendo costantemente agli individui delle promesse di benessere e felicità, e ciò le ha portate a rimuovere in apparenza qualsiasi forma di negatività. Il Male, però, non può essere totalmente cancellato, e riemerge periodicamente negli spazi che gli vengono lasciati, perché rappresenta una dimensione ineliminabile dell’esistenza umana.

E spesso, quando riemerge, come nelle guerre, negli attentati terroristici o nei più clamorosi casi di cronaca nera, essendo stato a lungo rimosso, lo fa in maniera esplosiva e viene percepito come qualcosa di inaccettabile e privo di senso.

Per tale motivo, i terroristi hanno potuto sfruttare l’esistenza del Male allo scopo di lanciare delle aggressive sfide alle società occidentali. Questo, secondo Baudrillard, è lo “spirito del terrorismo”.

I terroristi che si suicidano per compiere un attentato fanno del loro corpo un’arma estremamente potente, perché simbolica e sacrificale. Spostare la morte sul piano simbolico comporta di trasferirla in un ambito in cui, come nel gioco, vige la regola della sfida e del continuo rilancio.

Dunque, nel quale a una morte si può rispondere solamente mediante una morte uguale o superiore. Ciò comporta però inevitabilmente delle conseguenze per il sistema occidentale, che, se viene attaccato, non può accettare di arrivare alla sua scomparsa definitiva.

Per questo Baudrillard ha scritto nel saggio Lo spirito del terrorismo che le Twin Towers, nel momento in cui sono crollate a causa dell’attentato compiuto da al Qaida, sono sembrate suicidarsi con un atto che rispondeva al suicidio dei terroristi e dei loro aerei, ma in realtà non era così: l’occidente poteva sopportare il suicidio delle sue Twin Towers, ma non era in grado di fare altrettanto per sé stesso.

Le idee di Baudrillard sono state notevolmente influenzate dalla visione di uno dei più importanti fondatori della sociologia: Émile Durkheim. Questi, infatti, era consapevole che in tutte le società è sempre in azione una forza devastatrice che dev’essere necessariamente controllata.

Le religioni arcaiche impiegavano i sacrifici di tipo rituale per limitarla e proteggere le società dalla loro stessa violenza, ma il mondo occidentale, attraverso il processo di civilizzazione, si è sempre più liberato del concetto di sacrificio. Dunque, anche della possibilità che il sacrificio offriva di lottare contro la violenza esistente al suo interno.

La natura della guerra

La guerra è una delle modalità con le quali il Male si presenta ai nostri occhi, e Baudrillard era consapevole che la guerra può frequentemente generare degli effetti devastanti sulle città e sulle vite umane, come ha diverse volte dichiarato. Quando però ha scritto alcuni articoli per il quotidiano francese Libération sulla cosiddetta “guerra del Golfo”, l’ha fatto perché voleva soprattutto mostrare come la guerra avesse profondamente modificato le sue caratteristiche rispetto al passato.

Infatti, come viene dimostrato anche dalla guerra tra Russia e Ucraina attualmente in corso, la guerra è diventata in gran parte uno scontro “tra macchine”, cioè tra missili e missili e tra carri armati e carri armati.

E si presenta spesso come una guerra combattuta da droni comandati a distanza da soldati con uno schermo davanti e un joystick in mano, come se fossero dei qualsiasi giocatori di un videogioco.

Soprattutto, però, va considerato che oggi le guerre vengono combattute dai contendenti sul piano dell’immagine prodotta nello spazio mediatico. Esse, insomma, si configurano principalmente come una lotta di propaganda tesa a condizionare l’immagine risultante presso le opinioni pubbliche straniere. Tutto ciò è possibile perché le guerre si sono intensamente “mediatizzate”.

Non a caso, a proposito della guerra del Golfo, Baudrillard ha affermato, all’interno del volume Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, che la guerra è diventata «talmente prevista, programmata, anticipata, prescritta e modellizzata, da aver esaurito tutte le proprie possibilità ancora prima di aver luogo. Essa sarà stata talmente possibile da non aver più bisogno di aver luogo».

Simulacri e comunicazione

La guerra, inoltre, per Baudrillard può anche essere considerata come un simulacro, cioè come un fenomeno particolarmente importante per questo autore, secondo il quale noi viviamo all’interno di società e culture totalmente invase dai simulacri.

Il concetto di simulacro è nato con il filosofo greco Platone, che lo considerava qualcosa di cui era necessario diffidare perché capace di trarre in inganno gli esseri umani. Ma per Baudrillard le società occidentali avanzate sono caratterizzate da un processo di moltiplicazione dei simulacri.

Ciò comporta che il rapporto degli individui con il mondo in cui vivono venga sempre più mediato da dei simulacri. Che sono delle “copie di copie”, cioè delle copie di cui non esiste più un originale. Insomma, si tratta di uno degli aspetti più caratterizzanti l’attuale era digitale, in cui i file possono essere incessantemente moltiplicati e in cui la comunicazione può fluire senza più alcun vincolo.

Per Baudrillard, infatti, i simulacri hanno a che fare soprattutto con l’universo contemporaneo della comunicazione. Dove, proprio per questo motivo, tende ad annullarsi la distanza tra i contenuti che vengono rappresentati dentro gli schermi elettronici dei media e gli sguardi dei soggetti che li stanno guardando.

Si configura perciò progressivamente quella che Baudrillard, nel libro Le strategie fatali, ha definito l’«estasi della comunicazione». Una fase particolarmente avanzata dei processi di comunicazione che si caratterizza per un elevato tasso d’intensità comunicativa, in cui i messaggi sono costretti a circolare ininterrottamente. In questa fase evolutiva della comunicazione, le numerose immagini che vengono quotidianamente diffuse dai media svolgono secondo Baudrillard un ruolo fondamentale.

Perché tali immagini non hanno più la necessità di rifarsi a un referente concreto che sia esterno a esse e sono pertanto libere di circolare. Possono moltiplicarsi con estrema facilità, dando origine a un processo epidemico e virale di diffusione. Ciò però ne indebolisce la capacità espressiva e rappresentativa. D’altronde, è in questa capacità di liquidare i significati che risiede la principale ragione del potente fascino che sono in grado di esercitare nei nostri confronti.

Nella loro possibilità cioè di evocare qualcosa che non esiste più, di rappresentarlo e distruggerlo nello stesso momento. Di farci credere che esse contengono il riflesso del mondo in cui viviamo, mentre in realtà trasformano tale mondo in qualcosa che assomiglia a una vera e propria fiction.

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