Lavorare per poter pagare l’energia che serve per lavorare. Che è come dire: mangiare per accumulare la forza muscolare necessaria a procurarsi il prossimo pasto e a masticarlo; senza poter fare nient’altro. È questa la situazione attuale delle aziende italiane. Fanno impressione, in questi giorni, i negozi che espongono in vetrina le bollette della luce sulle vie dello struscio, o le industrie che mandano ai giornali i loro conti energetici moltiplicati.

«Non era meglio andare al mare?» ha scritto un imprenditore salernitano pubblicando la fattura da 978mila euro per l’elettricità consumata a luglio, rispetto ai 120mila spesi un anno fa. Il suo commento ha toccato un punto cruciale: in questa situazione, il movimento equivale alla stasi, lavorare o non lavorare è uguale. Essere e non essere sono la stessa cosa.

Espedienti di fede

Se fossi un credente, avrei a disposizione degli schemi mentali a cui rifarmi; forse mi aiuterebbero a dare un senso a ciò che sta accadendo. Fossi cattolico manzoniano chiamerei in causa la Provvidenza, il braccio armato del buon dio. Pandemia, cambiamenti climatici, siccità, guerre, e adesso la penuria di gas ed elettricità. A noi sembra tutto orribile, ma Lui sa quello che fa, alla fine sarà per il nostro bene.

Oppure le piaghe d’Egitto. Ce ne sono alcune che richiamano gli sconvolgimenti di oggi: invasione di zanzare, morte del bestiame, pioggia di fuoco e ghiaccio. Meritàti castighi per aver disastrato la Terra. Ma l’idea delle piaghe è puramente punitiva; cioè, per chi le subisce, passiva.

Perciò le guarderei dal lato opposto, quello attivo: e allora rimpiangerei di non essere un fervente adepto del paganesimo, devoto a Ercole e alle sue fatiche. Certo, noi oggi non dobbiamo trascinare Cerbero fuori dall’inferno, come fece lui. Eppure, qualche somiglianza fra la nostra situazione e imprese di Ercole c’è: per esempio la ripulitura delle stalle di Augia, costipate di sterco, come il nostro ambiente putrefatto da plastica e anidride carbonica. O l’uccisione dell’Idra: le sue nove teste che ricrescono appena tagliate raffigurano la complessità dei problemi irrisolvibili; l’Idra è una specie di iperoggetto, come quelli teorizzati da Timothy Morton, le situazioni vischiose che non si possono affrontare di petto perché se intervieni da una parte provochi un effetto avverso dall’altra.

Ma qui, rispetto a Ercole, mi interessa l’aspetto attivo delle cose da fare, non quello passivo delle catastrofi che stiamo patendo: il fatto che, tragicomicamente, ci sentiremo degli eroi erculei anche solo nel sacrificare frivole comodità e comfort superflui. Quella sì che sarà un’impresa. Dovremo trascinare fuori dal nostro inferno interiore il Cerbero vorace affamato di futilità.

L’epoca in bilico

Quante cose in bilico! Pencolano sul baratro i saperi merceologici che la nostra epoca ha codificato pomposamente, quasi fossero nuove scienze o arti rinascimentali: il marketing, il packaging, la pubblicità, la moda, i nuovi modelli da immettere nel mercato per superare la soglia della noia, sempre più alta, delle anime contemporanee. E le vetrine su cui i negozianti espongono in questi giorni le bollette della luce sono le stesse che hanno dovuto rendere sempre più luminose, sempre più elettrificate per vincere la concorrenza. Ho appena scritto una frase troppo moralistica. Mi vergogno un po’. La riflessione che avevo in animo di fare è un’altra.

Una macchina celibe

La macchina economica in cui ci ritroviamo adesso ha raggiunto un punto limite, tautologico, autoreferenziale: ha bisogno di energia per produrre e vendere i beni che le servono per pagare l’energia che le serve per produrre e vendere beni. Non c’è più profitto, se non il movimento stesso, il puro ciclo della sopravvivenza. Vivere per vivere. In attesa di andare a sbattere e sfasciarsi, il mondo si sta trasformando in una macchina celibe: funzionante e improduttiva. Il circolo è vizioso, ma anche ammaliante nella sua perfezione.

Nell’attuale situazione economica, è come se il fondale della vita stesse riaffiorando per mostrare la sua pura dinamica insensata; la vita espone alla luce il suo movimento inerziale, il suo abbrivio cieco, la sopravvivenza per la sopravvivenza. È in momenti del genere, mi sembra, che vale la pena di guardarsi intorno, di guardarsi dentro e chiedersi: a che pro tutto questo? Perché siamo vivi? Perché facciamo quello che facciamo? Perché siamo arrivati a tanto? Perché abbiamo organizzato l’esistenza in questo modo?

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