Il Teatro dell’Opera di Roma apre il 27 novembre 2025 con il Lohengrin e anche l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha inaugurato quest’anno la sua stagione con La valchiria. Si intercetta un desiderio del pubblico
Da cinquant’anni Roma non vedeva in cartellone il Lohengrin, un’assenza lunga mezzo secolo che il Teatro dell’Opera ha scelto di colmare, inaugurando con Richard Wagner la stagione 2025–2026. Come ogni 27 novembre, ormai da qualche anno, in piazza Beniamino Gigli si alzerà il sipario con una delle partiture più complesse del compositore tedesco.
Anche l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha inaugurato quest’anno la sua stagione con La valchiria, intercettando il desiderio del pubblico di ascoltare più spesso la musica di Wagner. Non è facile mettere in scena queste opere perché richiedono un notevole sforzo economico e organizzativo, oltre a un cast vocale molto specifico. Anche il pubblico deve essere consapevole di un “viaggio” che dura circa cinque ore, intervalli compresi.
Mito e dramma
Quella romana sarà anche una serata di debutti. Il regista Damiano Michieletto, il direttore d’orchestra Michele Mariotti e il tenore Dmitry Korchak si confrontano per la prima volta con il Lohengrin, senza nascondere una certa emozione. Il cast vocale è quello delle grandi occasioni, e spiccano nomi come Clive Bayley (Heinrich der Vogler), Tómas Tómasson (Friedrich von Telramund), Ekaterina Gubanova (Ortrud), Jennifer Holloway (Elsa) e Andrei Bondarenko (Der Heerrufer). I presupposti per una grande serata di musica – non solo di gossip – ci sono tutti e, più che mai, nella musica di Wagner è possibile incanalarsi nei diversi filoni che le sue opere dispiegano.
Sin dalla sua prima esecuzione Lohengrin si è imposto come un insieme perfetto di mito, musica e dramma, che affonda le radici in una cultura – quella tedesca – alla ricerca di identità, certezza morale e trascendenza estetica. Il materiale di partenza dell’opera – la leggenda germanica del Cavaliere del Cigno – intercettava la fascinazione romantica per il Medioevo.
In Lohengrin, Wagner rielaborò queste storie con una sensibilità moderna, combinando profondità psicologica e complessità morale. Il personaggio di Lohengrin, nobile ma enigmatico, incarna l’ideale di una figura eroica guidata da un fine divino, mentre Elsa rappresenta innocenza, vulnerabilità e fede. Insieme, la loro vicenda divenne un simbolo delle aspirazioni morali e culturali di una società in trasformazione.
Sebbene le intenzioni di Wagner fossero artistiche, Lohengrin finì inevitabilmente per intrecciarsi con la politica. I riferimenti culturali dell’opera risuonarono con i movimenti nazionalisti emergenti del XIX secolo. La partitura contribuì alla narrazione culturale dell’identità tedesca, plasmando la percezione pubblica della storia, dell’eroismo e della moralità.
Il nucleo dell’opera
Nell’opera, Wagner affronta il tema della legittimità politica con una profetica lucidità. Il punto di partenza è un vuoto «di potere»: la scomparsa del giovane Gottfried, erede di Brabante. Di fronte a questa situazione si muovono Ortrud e Telramund, aristocratici legati a un passato che non sa più rappresentare il presente. Telramund, paradossalmente, è un rivoluzionario monarchico, convinto che solo il prestigio simbolico della sovranità possa ridare ordine. Dall’altro arriva Lohengrin, la cui forza non deriva dal sangue ma dall’aura: è un’autorità sacra, estetica, che funziona finché resta misteriosa.
Qui sembra esserci il centro nevralgico dell’opera e il suo aspetto profetico e modernissimo. Lohengrin è simbolo di un potere che si legittima nel mito e nella bellezza: una «politica estetizzante», teoria tanto cara a Walter Benjamin, che chiarisce anche l’altra faccia della medaglia, cioè che l’estetica può essere maschera dell’autoritarismo. Questo sguardo rende l’opera inquietante, soprattutto se letta alla luce di ciò che accadrà decenni dopo, quando l’immaginario romantico verrà usato per finalità politiche devastanti.
Seguendo questo ragionamento, Elsa diviene probabilmente la vera protagonista. Entra in scena accusata ingiustamente di un crimine, trascorre gran parte del secondo e terzo atto tormentata dal dubbio, subisce un’umiliazione pubblica sulla via dell’altare, infrange il voto matrimoniale e praticamente cala il sipario con il suo collasso in scena. La ragazza non può chiedere a Lohengrin chi sia e da dove venga: la famosa «domanda proibita» dell’opera. Un patto rotto per ragioni politiche, ma anche umane. Elsa pone davanti a tutti la necessità di un potere che deve farsi conoscere in maniera trasparente; una politica che deve rendere conto e mettere la faccia pubblicamente.
Sono molti i piani che si aprono: uno dei meno considerati è quello che vede nel personaggio una figura che pone di fronte a tutti l’ambiguità del potere e dell’uomo, superabili solo con l’utilizzo della ragione, che si pone domande, cerca possibili risposte, cerca la verità. «Dimmi: come ti chiami e da dove vieni?» Wagner denuncia un uso ridotto della ragione, che è alla base della crisi politica ed esistenziale dell’uomo moderno.
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