In tutte le nomine esistono pressioni politiche, ma quella alla direzione d’orchestra del Teatro veneziano è stata gestita molto male. Tante e tanti coetanei della direttrice in Italia hanno un cursus honorum più completo e adatto a quel posto
Beatrice Venezi è ormai diventata un caso per la sua nomina alla direzione dell’orchestra del Teatro La Fenice, da giorni palcoscenico delle proteste più feroci che coinvolgono coro e musicisti. All’orizzonte si profila una mobilitazione generale che ha fatto annullare la prima di Wozzeck, l’inaugurazione della stagione, prevista per venerdì 17 ottobre. Una vicenda spinosa, unica per come sta montando, terreno di scontro politico. Venezi non ha mai nascosto la sua vicinanza a Giorgia Meloni e al partito della premier.
La direzione d’orchestra non è mai materia facilmente decifrabile. Gli strumentisti producono il suono attraverso uno strumento musicale; i cantanti emettono la voce grazie al sapiente utilizzo del respiro, delle corde vocali e delle risonanze. Un direttore d’orchestra, invece, che cosa fa esattamente, se non ha uno strumento tra le mani? Il suo strumento è l’orchestra: un gruppo eterogeneo, formato da persone che suonano strumenti diversi tra loro.
Di chi sono allora i meriti o i demeriti di una buona esecuzione? Claudio Abbado diceva che non esistono buone o cattive orchestre, ma solo buoni o cattivi direttori. Senza entrare nel merito dell’affermazione, le parole di Abbado ci ricordano che il mestiere del direttore non è solo un movimento di braccia più o meno comprensibile, ma un insieme di complesse questioni tecniche, fisiche, percettive ed empatiche. Un mondo fatto di regole, gesti, funzioni e caratteristiche ben precise che fanno la differenza tra chi è un buon direttore e chi no.
La tecnica di Venezi
Quello che più colpisce, guardando Venezi dirigere, è una crepa tra il gesto e il risultato sonoro che ne consegue. Siamo di fronte a un movimento che, seppur corretto dal punto di vista scolastico, rimane appunto scolastico: rigido, poco comunicativo, incapace di trasmettere un’idea musicale fatta di fraseggio, dinamiche interne, tensioni.
I dubbi poi aumentano scorrendo le tappe della sua carriera direttoriale. Non ha diretto stabilmente grandi e diversi repertori più volte, né ha partecipato ai principali concorsi per direttori d’orchestra o collaborato con grandi solisti.
Uno degli ultimi video in rete che la riguardano è quello del Festival di Bangkok, un episodio piuttosto imbarazzante che la vede protagonista insieme a Plácido Domingo e Monica Conesa nell’interpretazione di Bésame Mucho.
Ultimo, ma non meno importante, Venezi non ha mai diretto l’orchestra della Fenice e tutti sanno che prima di affidare un ruolo apicale a un direttore “si prova” invitandolo a dirigere l’orchestra per testare le reciproche affinità. Pur sapendo che il percorso di un artista non è mai univoco né standardizzato, nel caso specifico non si trovano ragioni musicali plausibili per un incarico di tale portata. Prima dell’approdo alla Fenice, Venezi sembrava destinata al Teatro Massimo di Palermo, incarico poi saltato, oppure alla Biennale.
Le critiche
Le critiche a Venezi (e a chi l’ha nominata) sono tecniche e non politiche. Poi, è evidente, c’è anche una questione politica secondaria. Certe nomine subiscono inevitabilmente le pressioni del Palazzo – a destra come a sinistra (chiedete a Daniele Gatti, “saltato” senza una ragione plausibile alla Scala) – ma normalmente non manca il valore artistico, davanti al quale alcune pressioni possono essere tollerate.
Le diverse dichiarazioni del sovrintendente Nicola Colabianchi, nel tentativo di sanare una situazione ormai fuori controllo, sono state le classiche toppe peggiori del buco: hanno inasprito i sentimenti degli orchestrali, che dichiarano di aver bisogno di un direttore e «non di un’influencer». La superficialità ha fatto scoppiare il caso, con una crescente presa di posizione di una fetta di pubblico pronta a disdire l’abbonamento.
Sono stati completamente ignorati i tanti direttori italiani che operano a fari spenti già da anni. Pur tralasciando i grandi nomi internazionali come Daniele Gatti o Michele Mariotti, il panorama dei giovani (e meno giovani) direttori d’orchestra nostrani è molto ricco.
Altri nomi
Alcuni, della stessa generazione di Beatrice Venezi, sono in cartellone con celebri orchestre nei principali teatri d’opera, spinti non dalla politica ma solo dal talento, che non ha bisogno di conclamate preferenze partitiche.
Qualche esempio: Clelia Cafiero, pianista e direttrice d’orchestra, classe 1986. Dal 2022 al 2025 è stata direttore principale ospite dell’Opera di Tours e per la stagione 2025/2026 sarà nei programmi operistici e sinfonici di mezzo mondo (Staatsoper di Berlino, Semperoper di Dresda, Opera Australia di Melbourne, Bbc National Orchestra of Wales, Bbc Philharmonic).
Poco più grande di lei è Valentina Peleggi, fiorentina, direttrice musicale della Richmond Symphony Orchestra (Usa) e direttrice musicale ospite del Theatro de Opera São Pedro (Brasile). Peleggi vanta numerosi primati: unica donna italiana Music Director negli Stati Uniti, prima direttrice titolare di un coro professionale in Sudamerica, prima a incidere per Naxos o a essere ammessa alla Royal Academy of Music di Londra, dove nel 2019 è stata nominata Associate.
Continuiamo con Michele Spotti, 32enne direttore milanese, che nel giro di pochi mesi è stato prima nominato Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres, una delle più alte onorificenze conferite a «persone che si sono distinte per le loro creazioni in campo artistico o letterario o per il contributo che hanno apportato alla diffusione delle arti e delle lettere in Francia e nel mondo», e poi, a fine settembre, Principal Guest Conductor (direttore ospite principale) della Deutsche Oper di Berlino, incarico che assumerà a partire dalla stagione 2026/27.
Leonardo Sini invece ha vinto nel 2017, a soli 27 anni, il Concorso “Solti”, classificandosi primo tra oltre 180 candidati provenienti da tutto il mondo, e proprio in questi giorni dirige la Tosca alla Opernhaus di Zurigo. Potremmo poi citare Speranza Scappucci, Francesco Lanzillotta, Daniele Rustioni…
“Il catalogo è questo” dove talento e lavoro portano a grandi soddisfazioni, ma soprattutto alla consapevolezza che la direzione d’orchestra non è “portare il tempo” (cosa tutt’altro che facile), bensì trarre dalle note scritte sul pentagramma sentimenti ed emozioni, immagini, suggestioni, convincendo e coinvolgendo decine di persone che si hanno di fronte e alle spalle.
Un lavoro continuo su di sé e sugli altri, del quale un gigante della direzione come Vittorio Gui, ormai novantenne, ebbe a dire così a un ventisettenne di nome Riccardo Muti: «Che peccato essere vicino alla morte, proprio adesso che stavo imparando a dirigere».
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