Meglio così. Quella frase tipica della volpe che non arriva all’uva e dice che è acerba, e che in due parole racconta un sentimento. Ho conosciuto Gazzelle sentendo la sua canzone Meglio così, era il 2017. Si era già fatto notare con altri pezzi ma quel testo raccontava bene l’apatia di una generazione. La storia più o meno narra la relazione di due che si frequentavano senza troppo trasporto, poi a un certo punto lei lo lascia per un altro – “un pezzo di fango” – e lui, un po’ sofferente ma non troppo, se ne fa una ragione. “E quindi cin cin mentre affogo nel Jim Beam, e tu domani parti per Medellin”. L’altra sera al suo concerto al Forum d’Assago, a Milano, eravamo in quasi 13mila persone a cantarla insieme. Era la seconda in scaletta dopo Zucchero filato, deve averla amata anche lui, Gazzelle, per metterla in quella posizione. Io invece ogni volta che la sento continuo a chiedermi come sia finita davvero tra i due, se lei ci sta ancora col pezzo di fango o se poi si sia pentita.

Stasera il concerto è a Roma, al palazzo dello Sport, ed è sold out da mesi. Chi ha già il biglietto prepari le corde vocali perché da Gazzelle si esce senza voce. È come una terapia di gruppo. Una malinconia che alla fine, se è condivisa, non fa più male.

Gazzelle, al secolo Flavio Pardini, 32 anni, romano di Roma che tifa Roma, schivo e amante dei monosillabi, per un soffio ha rischiato di non diventare chi è oggi. La mattina preparava cappuccini e la sera consegnava pizze, ma il suo sogno era cantare. «A 25 anni vivevo una vita che non era la mia, ingoiavo tanti rospi. Quella frustrazione mi ha portato a reagire, tentare quello che veramente volevo fare. Sentivo che dovevo stare su un palco e invece stavo dentro a un bar a farmi prendere a parolacce dai proprietari perché arrivavo tardi. Ho anche pensato che preferivo morì di fame piuttosto che perdere il mio tempo», dice quando ci incontriamo.

Il 2016 è stato l’anno della sua svolta, quando ha fatto uscire le sue prime canzoni e non si è più fermato. Ha pubblicato tre album, hit di successo – una tra tutte Sopra – collaborazioni con big e perfino un libro. E stando all’ultimo annuncio sui social: «Mi sdebiterò scrivendo canzoni dannatamente vere come ho sempre fatto. Non scriverò mai nulla tanto per», sta lavorando al quarto album.

Stasera a Roma la scaletta sarà diversa?

No, in ogni città è la stessa. Ho pensato molto prima di decidere la sequenza.

Qual è la canzone che hai più voglia di cantare?

Mi piacciono tutte, davvero. È stato bello inserire Destri, che non avevo mai cantato dal vivo. E anche Blu e Ora che ti guardo bene, scritte durante la pandemia.

Come ci si prepara a un concerto?

Facendo le prove tutti i giorni, e allenandosi con un personal trainer. E poi cerco di mangiare bene e bere poco. Due anni fermi hanno pesato.

Per poco hai rischiato di non svoltare. Qual è la dote che ti ha portato fino a qui?

La determinazione. Non prevedevo altre possibilità. Non avevo alternative, neppure mentalmente. Neppure se avessi avuto una pistola puntata alla testa avrei pensato di fare altro.

Quando la musica è entrata nella tua vita?

A sei anni ho scritto la mia prima canzone. Di recente mio padre ha trovato la registrazione con la mia voce da bambino e me l’ha mandata. È stato strano.

Eri precoce.

Dentro casa si suonava, per hobby mio padre aveva tanti strumenti. Il mio primo regalo è stato una tastiera giocattolo.

Hai studiato musica?

Da autodidatta perché non amavo stare sui libri. Mi annoiavo, non ero costante.

Qual è lo strumento con cui componi?

Il piano.

L’ultimo concerto a cui sei stato?

Da Tommaso Paradiso, a Roma. E tra pochi giorni andrò a sentire Vasco al Circo Massimo.

E il primo?

A 14 anni. Andava di moda lo Ska e sono stato a sentire gli Ska-P, spagnoli. Si pogava, era un macello, forse una situazione esagerata per la mia età. Però mi ricordo anche concerti importanti che mi hanno stravolto, tipo Jovanotti al Palalottomatica e i Subsonica. Fino a Liam Gallagher.

A cui ti ispiri.

Si vede? Me lo porto dentro. Sono dell’89 e non ho mai visto i fratelli, Liam e Noel, suonare insieme. Se succedesse sarebbe incredibile, gli Oasis sono una leggenda.

C’è un portafortuna da cui non riesci a separarti?

No, non sono legato a nessun oggetto. Non mi affeziono a niente, a parte gli esseri viventi.

Ho fatto tanti traslochi, alla fine è più quello che ho perso che quello che ho portato con me.

Ho imparato a separarmi dalle cose. Alcune le ho ricomprate, altre sostituite.

Che rapporto hai col denaro?

Ho le mani bucate da sempre. Anche quando non avevo soldi. Se avevo un euro spendevo un euro. In scala, oggi, è lo stesso.

Qual è il primo regalo che ti sei fatto?

Tanti anni fa, quando lavoravo in pizzeria. Guadagnavo 600 euro. Una volta ho speso tutti i soldi guadagnati per uno skate e poi non ho mangiato per un mese.

La passione degli skate è rimasta?

No.

E oggi che cosa ti piace regalarti?

Le sneakers. E poi oggetti di design. Lampade, pupazzi, vasi.

La tua casa l’hai arredata tu?

Io insieme al mio architetto. Ma sto in fissa col design d’interni degli Anni Sessanta e Settanta.

Colorata o bianca?

Bianca, con alcune pareti colorate. Ce n’è una tutta nera e una mezza beige. Mi piace molto arredare casa, lo farei come lavoro.

Vediamo: di che colore hai scelto la cucina?

Nera con del vetro intorno, è tipo un bistrot.

E il pavimento?

Parquet tutta la vita. A spina francese.

In che zona della casa ti piace più stare?

In salotto, è lì che c’è il divano. E poi lì suono il piano. Se compongo, lo faccio lì. Poi ho anche un’altra stanza adibita a piccolo studio, dove ho anche le chitarre e altri strumenti.

Sai cucinare?

Ho passato lunghi periodi di dipendenza da Glovo. Oggi no. Cucino di più ultimamente perché sto cercando di mangiare meglio.

Tutti ti chiedono di fare foto, c’è qualcuno a cui l’hai chiesta tu?

Non chiedo mai la foto perché so quanto è una rottura di palle, però da piccolo l’ho fatta con Francesco Totti. E l’ultima l’ho chiesta a Lewis Capaldi beccato a un concerto all’arena di Verona, eravamo vicini di camerino.

È scozzese, come l’hai approcciato?

Can I take a photo, please?

Invece c’è qualche big che ti ha deluso?

Sì, Antonello Venditti. Ero piccolo, gli ho chiesto se potevamo fare una foto insieme e lui mi ha risposto un secco no. Anche Nanni Moretti si è rifiutato.

Da Nanni Moretti te lo potevi aspettare.

Sì, è vero. Infatti per Venditti ci sono rimasto più male, forse in quel momento era nervoso. Però io non ho mai detto di no a nessuno.

Qual è l’artista con cui vorresti lavorare?

Vasco. E mi piacerebbe collaborare anche con Marracash e Cremonini.

Per “Coltellata” hai chiesto il feat al rapper tha Supreme, 21 anni. Cos’hai imparato da questa generazione?

Hanno un altro linguaggio, un’altra leggerezza, sono più spensierati com’è giusto che sia alla loro età. Sono più liberi, più aperti, danno meno peso, in senso positivo, alla musica. Forse anche io se avessi avuto il successo a 18 anni, sarei stato diverso. Forse mi sarei preso meno sul serio e me la sarei goduta di più.

Tu non te la godi?

Non troppo. Vorrei riuscire a godermi le cose belle della vita. Vorrei essere soddisfatto quando raggiungo degli obiettivi, invece non sono mai soddisfatto. E questo mi butta giù.

Magari chi, come te, ha rischiato di non vedere realizzato il suo sogno, oggi che ce l’ha fatta ha paura di perderlo.

Infatti bisogna capire se è più bello sognare o realizzare i sogni. Come viaggiare o arrivare poi a destinazione.

La destinazione ti crea ansia?

Una volta che raggiungi un sogno è difficile continuare a sognare. Ma non voglio lamentarmi.

C’è un consiglio che hai seguito ed era quello giusto?

Non sputtanarmi. Voler guadagnare sempre di più, a tutti i costi. Ho detto no a tante proposte commerciali e televisive. Perché voglio fare musica, e voglio essere ricordato per questo. Per nient’altro.

C’è una rivincita che ti ha fatto bene?

I professori dicevano che non avrei fatto granché nella vita. A scuola ho sempre avuto problemi, ero ribelle, partecipavo alle occupazioni.

Che scuola hai frequentato?

Liceo classico. Sono stato bocciato un po’ di volte. I professori dicevano che ero intelligente ma non mi applicavo.

Che cosa ti fa stare davvero bene?

Non ho grandi abitudini.

Se vai al cinema, scegli un film malinconico o una commedia?

Malinconico. Il mio film preferito in assoluto è Forrest Gump, l’ho visto 150 volte.

Gli amici musicisti dicono che suonando hanno acquisito più fascino con le donne. Vale anche per te?

Sì, è tutto vero (ride, ndr). Ma per fortuna non ne abuso.

Tanti dei tuoi pezzi raccontano storie finite male, c’è sempre una donna di mezzo. Quante ne hai avute?

Sono tutte canzoni dedicate più a me che a loro, parlano di esperienze, di vita. Ci sono ricordi che si mischiano, più immagini dentro a una canzone sola. Non è il mio diario.

Come si fa a stare insieme a un artista così amato dal genere femminile?

Questo non chiederlo a me.

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