Il nuovo show animato sulla giovane squadra di softball dei Pickles sembra aver ceduto al conservatorismo anti-woke, in un momento storico in cui i diritti Lgbtq+ sono sotto attacco in tutto l’occidente
La squadra di softball dei Pickles si sta preparando per la finale del campionato, ma – esattamente come nella serie – la loro partita potrebbe essere cominciata piuttosto male. Il nuovo show targato Disney Pixar ha debuttato a metà febbraio, ma già da dicembre scorso è finito al centro di diverse polemiche.
Durante la produzione, infatti, i giornali hanno raccontato come diverse linee di dialogo che affrontavano il tema dell’identità di genere siano state completamente cancellate dal progetto. «Quando si parla di contenuti d’animazione per un pubblico più giovane, noi riconosciamo che molti genitori preferirebbero discutere determinati argomenti con i loro figli nei loro tempi e alle loro condizioni», aveva risposto Disney a Deadline e The Hollywood Reporter.
Storyline mutilata
Una scelta decisamente controversa visto il contesto politico statunitense. La mossa potrebbe infatti essere un discreto inchino alla linea liberticida firmata Trump, che contro lo spauracchio della “cultura woke” e diritti delle persone trans ci ha fatto un’intera campagna elettorale. Molte aziende, vista la rielezione del tycoon, hanno fatto marcia indietro sui programmi DEI (cioè diversity, equity and inclusion) come a voler entrare nelle grazie del nuovo inquilino della Casa Bianca.
Secondo Axios, anche la casa di Topolino ha cambiato i suoi programmi di diversità a febbraio di quest’anno, affermando di volersi concentrare più sui «risultati commerciali». Ma la questione sul nuovo prodotto Disney+ non finisce qui.
Alla messa in onda – la serie è composta da otto episodi, pubblicati a tranche di due ogni settimana e ognuno concentrato su un personaggio della storia – Win or Lose si apre con la giovane giocatrice Laurie, con le mani raccolte e il capo chino, che prega Dio su una panchina un attimo prima di entrare nel diamante da softball. Una litania che si ripete per almeno tre volte durante l’episodio di apertura.
Insomma, sembra che la Disney abbia scartato l’arco narrativo che racconta l’esperienza trans favorendo invece un personaggio apertamente di fede cristiana. Il tempismo è davvero pessimo e la circostanza delle più spiacevoli, soprattutto in un periodo in cui la “culture war” si è fatta asprissima e i diritti delle persone Lgbtq+ sono costantemente sotto attacco nelle principali democrazie occidentali.
Al netto di ciò, pare ovvio sottolineare che ha trionfato la linea paternalista del «qualcuno pensi ai bambini», cercando di etichettare alcuni argomenti come più “sensibili” rispetto ad altri senza una logica precisa. Qualcuno potrebbe anche sostenere che la religione è un argomento altrettanto sensibile. E lo è. Rappresentarne una anziché un’altra è una scelta editoriale, nonché politica, piuttosto importante, dando voce a comunità minoritarie o ripresentando lo status quo di «Dio benedica gli Stati Uniti d’America».
Kai, il personaggio con la storyline “mutilata”, è comunque rimasta nella serie Win or Lose, ma ogni riferimento alla sua esperienza trans è stato cancellato. E questo non è solo un brutto segnale in termini politici, ma è anche una violenta stilettata soprattutto nei confronti dell’attrice trans Chanel Stewart, che ha doppiato proprio la giovane giocatrice di softball. «Sono profondamente scoraggiata», ha raccontato Stewart in una breve intervista a Deadline.
«Quando ho ricevuto la sceneggiatura della serie ero entusiasta, orgogliosa e onorata di poter condividere la mia esperienza per aiutare altri giovani ragazzi e ragazze trans a sentirsi più forti e liberi. Il solo pensiero di interpretare una giovane teenager trans mi ha reso incredibilmente felice». E conclude: «Era un’importante conversazione da affrontare, le storie trans meritano di essere ascoltate».
Le polemiche passate
La Disney è più volte finita nell’occhio del ciclone da entrambi i lati dello spettro politico, prima nel 2022 quando non si è opposta alla legge della Florida “Don’t say gay”, che vietava discussioni su orientamento sessuale e identità di genere nelle scuole. Ciò per scoprire, poco dopo, che la casa di Topolino aveva finanziato diverse policy dello stato. Il Ceo di allora, Bob Chapek, si è poi scusato, donando cinque milioni di dollari alla Humans Right Campaign.
Nel catalogo Disney, inoltre, sono diverse le storie che rappresentano personaggi della comunità Lgbtq+, Strange Worlds e Lightyear sono un esempio, anche se non sono andati bene al botteghino. Ma più in generale, i racconti prodotti dall’azienda hanno spesso raccontato la storia degli emarginati. Proprio per questo la compagnia è stata bersagliata soprattutto dall’ultra destra repubblicana, che ha troppo frequentemente accusato Disney di diffondere questa fantomatica “agenda gender e woke”.
È stato vergognoso vedere film come La sirenetta finire nel mirino di “shitstorm” in cui sedicenti esperti si opponevano alla scelta di un’attrice nera – cioè Halle Bailey – per il ruolo. Il commentatore conservatore Matt Walsh, in un suo intervento, ha persino cercato di spiegare come sia scientificamente impossibile per una sirena avere la pelle scura; vivendo lei nei fondali marini doveva avere la pelle «translucida», dice. Walsh si è però dimenticato di stare parlando di una creatura di fantasia, scordandosi inoltre di spiegare come sia scientificamente possibile allora che i migliori amici di Ariel siano un granchio e un pesce parlante, peraltro servitori del Re Tritone di Javier Bardem. Insomma, la follia razzista.
Comunque, Win or Lose è una serie che racconta la modernità con grande lucidità e tatto, e con il classico stile della Pixar. Si parla dell’ansia, di madri single, di uomini che si schermano dalle emozioni e di giovani pre-adolescenti in crisi. E anche la storia religiosa di Laurie e della sua insicurezza è parecchio interessante. Parlare dell’identità di genere sarebbe stato un notevole valore aggiunto. E se vincere è «solo una questione di punti di vista», come si sente dire nella serie, allora questa è decisamente una sconfitta: una grande occasione mancata.
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