ALTRO CHE I SILENZI DEGLI OSCAR

De Niro, Binoche e Favino: la Resistenza di Cannes contro la grande bruttezza

Era stato facile profeta Thiérry Frémaux, il Délegué Général di Cannes: «Il Festival è politico perché gli artisti sono politici». Così, abbiamo già avuto un intervento molto politico di De Niro sulla «lotta per difendere la democrazia negli Usa» e di Juliette Binoche per rendere omaggio alla fotocronista palestinese Fatima Hassoula. Poi l’attore italiano sulla lettera contro Giuli: «Una delle cose più belle dette negli ultimi tempi è che sia necessario costruire ponti»

Era scritto. Era scritto nella congiuntura internazionale in cui si muove il primo vivaio mondiale del cinema del 2025 che questo Festival di Cannes diventasse la cassa di risonanza delle risposte, sincronizzate, alla feroce deriva politica e culturale delle democrazie occidentali. Facile profeta Thiérry Frémaux, il Délegué Général di Cannes: «Il Festival è politico perché gli artisti sono politici». Già. Caso vuole che l’inquilino della Casa Bianca abbia annunciato anche un dazio sui film prodo

Per continuare a leggere questo articolo