Ho letto con attenzione, come immagino molti cittadini, l’ultimo Dpcm. Il Dpcm è stato per diversi mesi, ed è tornato a essere, una sorta di pubblicazione a fascicoli, a puntate, una specie di feuilleton dove tuttavia nulla evolve. Niente Dickens, niente Dumas, niente suspense da serie Netflix o Amazon. Niente fascicoli che, raccolti uno dopo l’altro, disegnino prospettive politiche, semplicemente ribadiscono i comportamenti da tenere in uno stato di allarme sanitario. Per carità, l’unico modo per uscirne è una prassi sanitaria, dunque non voglio essere disfattista.

Penso che questa volta, nell’eterna, ultima battaglia tra Maga Magò e Mago Merlino, ci troviamo a interpretare Maga Magò che si riempie di bolle perché Merlino si è tramutato in un virus, probabilmente Rna, che ci fa ammalare tutti.

Perché dalle puntate dei Dpcmmi aspettavo prospettive politiche? Perché questo virus ha una matrice culturale. Dipende cioè dai nostri comportamenti. Non solo da quelli immediatamente precedenti la pandemia, ma dai pregressi. I nostri comportamenti sono culturali e per averne coscienza e cambiarli – non in un mese o due, certo – ma in una decina d’anni, ci vorrebbe, anzi, ci vuole, un sostegno di natura eminentemente culturale. Ci vorrebbe la scuola, ci vorrebbero i libri, i teatri, i cinema. Tutte cose che nel Dpcm sono state considerate non essenziali.

Biologia e biografia

È essenziale invece, assodata la natura del virus, tutto ciò che consente immedesimazione negli altri esseri umani e dunque in mondi e ambienti che non ci appartengono per nascita, abitudine, classe sociale e latitudine. Concentrarsi – trincerati dietro l’emergenza – sul presente, è un modo di sancire una preponderanza della biologia sulla biografia, del singolo e di un ecosistema. Stefano Rodotà ha scritto nel saggio Il diritto di avere diritti (Laterza) che gli esseri umani non sono riducibili alla mera somma dei loro dati biografici e dei loro dati biologici. In matematica esiste il concetto della superadditività. La successione dei numeri naturali è additiva nel senso che il termine n-simo sommato al termine m-simo dà come risultato il termine n+m-simo. Esempio: Il numero 2 che è in posizione 2, sommato a 5 che è in posizione 5, dà 7 che è in posizione 7. La funzione quadrato di un binomio è invece superadditiva nel senso che (x+y)2 essendo pari a x2+y2+2xy è maggiore di x2+y2 .

Democrazia superadditiva

Ecco, la vita singola e la vita di una nazione godono di una superadditività che fa sì che nessuno di noi sia la mera somma dei propri dati biologici, giuridici, virtuali, ma sia qualcosa di più. La stessa democrazia è superadditiva, lo stato è qualcosa di più rispetto all’azione congiunta di potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Penso che questo qualcosa di più riguardi il linguaggio come si scelgono, si usano, si imparano e si dimenticano le parole. Siamo anche quello che tutti gli altri – la repubblica compresa – vedono di noi, la nostra libertà di azione e racconto ha come limite e sprone la libertà di azione e racconto degli altri.

Le parole dunque devono tentare di essere esatte e condivise. Cose che non sono né nei Dpcm, né nelle comunicazioni istituzionali, né nelle analisi dei dati, né nella comprensione delle parole degli scienziati. Se la democrazia è superadditiva, fino a quando le limitazioni, temporanee ed effettive, per questa zoonosi o altre, ai diritti costituzionali, il non-pensiero sulla scuola, il non-pensiero sull’editoria, il non-pensiero sul teatro, il non-pensiero sulle scienze di base, non saranno lesivi per l’esistenza della democrazia?

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