Al termine di una lunga cavalcata, cominciata almeno quindici anni fa, le smart tv (ovvero i televisori connessi) hanno superato i televisori tradizionali nelle dotazioni domestiche degli italiani: 21 milioni di esemplari contro 20 milioni e mezzo. Una trasformazione che impatta sull’intero sistema dei media e che sta modificando nel profondo le strategie di pianificazione editoriale di broadcaster e piattaforme, da un lato, e le modalità di consumo e interazione con i contenuti da parte del pubblico, dall’altro.

È questo il dato più significativo che emerge dal sesto Rapporto Auditel/Censis dal titolo “La nuova Italia televisiva”, presentato martedì 14 novembre presso la Sala Capitolare del Senato alla presenza del ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Una fotografia che, come ha sottolineato il presidente di Auditel Andrea Imperiali in apertura dei lavori, «dimostra l’assoluta centralità della televisione nel processo di trasformazione digitale del nostro paese».

A garantire profondità all’analisi svolta da Auditel e Censis sotto l’egida della Cogis (la Commissione per la garanzia della qualità dell’informazione statistica), è soprattutto la cosiddetta “ricerca di base” di Auditel, uno strumento prezioso che consente – ha sottolineato Imperiali – di “scattare una fotografia in altissima definizione della società italiana” per cogliere fisionomia e struttura dei nuclei famigliari e delle loro dinamiche.

Il rapporto disegna nel dettaglio il nuovo paesaggio televisivo e tecnologico italiano, le innovazioni che stanno ridefinendo il rapporto delle famiglie con i dispositivi, ma anche le residue sacche di inerzia e arretratezza che permangono e che pongono, inevitabilmente, nuove sfide per arrivare a una copertura e diffusione capillari delle opportunità offerte. Basti pensare che sono ancora due milioni e mezzo gli italiani completamente tagliati fuori dalla “vita digitale”, senza connessione a internet (l’8,3 per cento dei nuclei famigliari), e che per molte famiglie (5,5 milioni, pari al 22,4 per cento) lo smartphone rappresenta l’unico strumento di accesso alla rete. Nei nuclei famigliari caratterizzati dalla presenza di minori approda con più facilità la smart tv (il 75,4 per cento delle coppie con figli ne ha almeno una), così come la moltiplicazione degli schermi (l’80,9 per cento delle famiglie “tradizionali” ha almeno un altro device), mentre la connessione è meno stratificata nei nuclei monogenitoriali (il 23,8 per cento dei quali si connette solo attraverso lo smartphone contro l’11 per cento delle coppie con figli).

La crescita delle smart tv è un tassello cruciale di un’evoluzione che sembra muoversi lungo almeno altre due direttrici: le dimensioni del televisore principale, quello su cui consumiamo la maggior parte dei contenuti audiovisivi come film, serie tv, programmi d’intrattenimento, grandi eventi sportivi, e la frammentazione e diversificazione degli schermi che ci accompagnano nel corso delle nostre giornate.

Oggi, i televisori sono mediamente più grandi rispetto al passato: quell’esperienza cinematografica che fatica a riprendersi la scena in luoghi deputati come le sale viene così surrogata da una dotazione domestica che fa registrare oltre 6 milioni di televisori da almeno cinquanta pollici (il 14,1 per cento del totale, triplicati rispetto ai due milioni del 2017), che consentono una visione immersiva, autentica, perfetta per momenti di condivisione famigliare.

D’altro canto, tuttavia, assistiamo a un fenomeno di moltiplicazione degli schermi, di una loro esplosione in forme e devices differenti, che investono diversi sensi e “miniaturizzano”, per certi versi, un’esperienza di consumo dei media ormai totalizzante e priva di pause nell’arco della giornata. La ricerca di base rileva 122 milioni di schermi complessivi presenti nelle case degli italiani (cresciuti del 9,6 per cento dal 2017 ad oggi), che significa cinque dispositivi in media per famiglia e oltre due per ciascun individuo. Un esercito di smartphone, tablet, laptop, pc, ma anche nuovi strumenti come gli smart speaker e gli smart watch, che configurano nuclei famigliari sempre più connessi e in cui a trainare tale esigenza è soprattutto il bisogno di “intrattenimento”, di consumo e confronto continui con i servizi messi a disposizione dalla complessa e stratificata industria dell’entertainment, che siano i classici contenuti audiovisivi, i social media, i giochi, l’informazione, le piattaforme dedicate ai brand e all’acquisto di beni e servizi.

Rivitalizzata

In questo scenario, la televisione mostra la sua grande capacità di resilienza, ponendosi come presidio centrale di nodi e flussi del mondo digitale; un mezzo antico ma abile nel rinnovarsi e nel riconfigurarsi come perno del sistema, assorbendo le opportunità della rete e trasformando i propri modelli di produzione e distribuzione. Per esempio, nel 2023, sono ben 26 milioni e 300mila gli italiani che guardano contenuti in streaming (il 45,8 per cento del totale, erano 16 milioni sei anni fa); una spinta decisiva è venuta dal periodo di emergenza pandemica, che ha fatto impennare il consumo di streaming (oltre che della televisione lineare), capace poi di mantenersi e stabilizzarsi grazie anche alla continua diffusione di piattaforme globali.

Ma non va sottovalutato, in questo senso, il ruolo dei broadcaster nazionali: sempre più spettatori scelgono la via di una visione on demand, non solo di contenuti “interi” di cui si è mancata la messa in onda lineare, ma anche di clip, highlights, frammenti pensati e costruiti appositamente per una fruizione rapida, frammentata, slegata dai tempi lunghi del palinsesto. È un modo per recuperare quote d’ascolto e diversificare i pubblici e che funziona soprattutto per film (il 94,4 per cento di coloro che usufruiscono delle piattaforme di emittenti nazionali, come RaiPlay, MediasetInfinity o altre, lo fa per recuperare prodotti cinematografici dal catalogo), ma anche telegiornali e informazione (77,9 per cento) o documentari e programmi di divulgazione e approfondimento culturale (77 per cento).

La televisione non muore, come nelle fosche previsioni di qualche anno fa all’atto di nascita dello streaming, ma si adatta e rivitalizza come mezzo insostituibile delle nostre vite e del nostro innato bisogno di essere informati e intrattenuti. La strada di un’Italia pienamente connessa è finalmente tracciata.

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