PEPE. Nutro una specie di angoscia dentro di me. Il grande in­terrogativo, a mio modo di vedere, è se l’umanità avrà il tempo di rimediare ai disastri che ha inflitto alla natura. Questo è il grande dilemma. Perché l’umanità ha le conoscenze e i mez­zi, ma non riesce a orientare la volontà politica in modo che siano perseguite fino in fondo le misure necessarie.

Continu­iamo irresponsabilmente a usare i cannoni, a cercare il petro­lio, mentre sappiamo che siamo sul filo del rasoio, lo sappiamo perfettamente. Nella sua storia, il genere umano ha causato molti disastri senza saperlo, ma adesso lo fa coscientemente, consapevole della sua autodistruzione. Quindi la mia grande preoccupazione è: l’umanità avrà tempo o soccomberà a una sorta di olocausto ecologico? Oppure una parte consistente dell’umanità soccomberà per colpa della mancata volontà po­litica del presente?

Tendiamo a pensare in termini di Stati e non decidiamo in una prospettiva di specie, ed è per questo che commettiamo una sciocchezza dopo l’altra. Da un lato assistiamo all’invasio­ne dell’Ucraina e dall’altro a ciò che sta facendo l’Occidente. Sono convinto che non esiste una crisi ecologica o nucleare, esiste una crisi politica. Abbiamo generato una civiltà che non ha alcuna guida politica, è governata da interessi di mercato. La politica è stata subordinata agli interessi del mercato. E co­sì continuiamo a navigare, irresponsabilmente. […]

NOAM. Proprio stamattina ho trovato su Internet il libro di un famoso climatologo australiano. Si intitola The Plutocene. Co­me abbiamo visto, l’attuale era geologica, cominciata dopo la Seconda guerra mondiale, è denominata Antropocene, ovvero una fase in cui l’attività umana danneggia gravemente l’am­biente e agisce come una forza geologica. Ma Andrew Glikson sostiene che abbiamo già oltrepassato l’Antropocene e stiamo entrando in una nuova era denominata Plutocene, in cui l’e­cosistema terrestre sarà determinato dalla quantità di plutonio presente nell’ambiente. Gli esseri umani si ridurranno a piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori nelle aree polari, mentre il resto del pianeta sarà talmente contaminato dalle radiazioni e dal plutonio, oltreché, ovviamente, dal riscaldamento globale, da diventare inabitabile. Per come stanno andando le cose, non è una prospettiva irrealistica.

PEPE. È davvero sconfortante. Non possiamo osservare la real­tà se non con una forte dose di pessimismo. Non so se un mira­colo potrà scuoterci, ma ho i miei dubbi.

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NOAM. È vero, i segnali sono sconfortanti, e i peggiori arriva­no dal circolo polare artico, che è un’area di cruciale impor­tanza per la regolazione del sistema climatico globale, poiché non riguarda solo gli oceani, ma tutti i sistemi climatici del pianeta. Quest’area si sta riscaldando a un ritmo molto più ra­pido rispetto ad altre parti del globo, dove pure la situazione è grave. Ma nell’artico è di gran lunga peggiore. Qu

o ha un effetto di auto-potenziamento: più il ghiaccio artico si scioglie, più si espone la superficie scura delle acque oceaniche e più i raggi solari, invece di essere riflessi dal ghiaccio nella stra­tosfera, vengono assorbiti, accelerando il processo. Il perma­frost immagazzina enormi quantità di carbonio, ma con il suo scioglimento queste vengono rilasciate come mai nella storia. Ciò implica l’emissione nell’aria di metano – che è un gas leta­le, molto più della CO2 –, la qual cosa accelererà ancora di più il processo.

Osserviamo però anche il resto del mondo. In luoghi co­me l’India, dove solo il 10% della popolazione dispone di aria condizionata, i contadini poveri cercano di sopravvivere a temperature che raggiungono i 50 gradi, con un tasso di umi­dità elevatissimo. Questo sta accadendo già adesso, ma in fu­turo sarà ancora peggio. I luoghi in cui viviamo noi [Noam e la moglie Valeria], gli Stati Uniti sudorientali, saranno presto deserti: l’acqua sta già finendo. Ovunque si guardi, si punta dritto verso la catastrofe.

Vi sono ragioni per credere che esista ancora un piccolo margine per cambiare strada. Ci sono proposte concrete e det­tagliate su come fermare il declino e orientarsi verso un mondo migliore, ma abbiamo poco tempo per attuarle. L’incognita è se avremo la capacità morale di superare queste tendenze nella so­cietà e nella storia. I dati finora non sono molto incoraggianti, ma vedere i giovani protestare contro ciò che viene fatto al loro futuro è un raggio di speranza, e tutto quello che possiamo fare è impegnarci al massimo per sostenere il più possibile le inizia­tive che stanno portando avanti.

Questi sono i giovani di oggi, perlomeno alcuni di loro, ma cre­dete che i leader politici ed economici siano all’altezza delle sfide del ventunesimo secolo?

PEPE. No. Penso che esista un abisso tra le conclusioni della scienza contemporanea e le scelte politiche, che non cambiano nemmeno di fronte alle evidenze che la scienza mostra da tem­po. È incredibile che già trent’anni fa a Kyoto ci raccontasse­ro cosa sarebbe successo e con quale tranquillità burocratica il mondo sia rimasto fermo! È questo il grande limite dell’uomo, perché non è che ci manchino le conoscenze, è che non le usia­mo per difendere la vita.

NOAM. Nemmeno io credo che i leader politici siano all’altezza, non quelli che ci sono adesso. Penso che costoro diano ascolto alle forze economiche della società e a nessun altro. Prendia­mo un membro qualsiasi del Congresso degli Stati Uniti: co­stui magari comprende gli allarmi lanciati dal mondo scientifico, ma continuerà a dar retta alle grosse aziende che hanno finanziato la sua campagna elettorale.

Per questo la campagna di Sanders è stata tanto importante: perché per la prima volta ha dimostrato che è possibile costruire un grande movimento politico senza i finanziamenti delle multinazionali. È una gros­sa trasformazione e la gente ha capito la lezione: può agire in autonomia, in maniera indipendente dalla struttura di questo sistema politico finanziato dalle grosse società. E questo può portare molto lontano.

La sinistra, come tutti, deve riconoscere il fatto che per la prima volta nella storia umana dobbiamo fare scelte che de­termineranno se la nostra specie sopravvivrà oppure no. Le minacce sono molteplici. La guerra nucleare è un rischio im­minente e la catastrofe ambientale una sfida non più rinviabi­le, ma è molto elevata anche la probabilità di una pandemia.

L’uso massiccio di antibiotici negli allevamenti industriali sta provocando problemi con un potenziale di rischio altissimo, e apre il varco a pandemie che potrebbero essere disastrose se gli antibiotici dovessero perdere la loro efficacia, la qual cosa supera di gran lunga la nostra capacità di sviluppare antibiotici nuovi. In particolare, la produzione di carne, che incide in ma­niera determinante sull’effetto serra che genera il riscaldamento globale, prevede l’uso massiccio di antibiotici. Gli animali vivono costretti in condizioni antigieniche e sono imbottiti di antibiotici per rimanere vivi e in salute, il che può portare alla rapida mutazione di batteri letali in grado di aggirare l’efficacia degli antibiotici.

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È un processo già in atto: alcune malattie non si possono più tenere sotto controllo e il fenomeno si intensi­ficherà, con conseguenze estremamente pericolose. Sono sfide serissime, sfide che non si erano mai presentate prima nella sto­ria dell’umanità e che devono essere affrontate subito, in ma­niera rapida ed efficace.

Non possiamo poi non citare il problema della plastica negli oceani. Una cosa così banale minaccia l’esistenza di tutta la vita marina, minacciando di conseguenza la vita umana. Le specie stanno scomparendo a un ritmo più rapido rispetto agli ultimi settanta milioni di anni. Insomma, i problemi sono tanti e dalla portata enorme, e vanno affrontati al più presto. E al più presto significa adesso, in questa generazione.

Più in generale, occorre superare il modello delle società ge­rarchiche e repressive in cui solo alcuni danno ordini e gli altri devono obbedire. Sono tutti compiti impegnativi che spettano alla sinistra. È essenziale che le persone smettano di accettare condizioni sociali in cui si limitano a eseguire gli ordini, il che è un fatto nuovo nel capitalismo. Se guardiamo alle prime fa­si dell’industrializzazione, infatti, i lavoratori consideravano la schiavitù salariata quasi alla stessa stregua della schiavitù classi­ca. Perché obbedire agli ordini di qualcun altro? Con il passare del tempo, questo fatto è stato assimilato dalla coscienza collet­tiva come qualcosa di normale, e dunque deve essere rimosso dalla coscienza.

PEPE. Nei prossimi decenni il mondo dovrà affrontare grossi stravolgimenti anche nel campo dell’organizzazione del lavoro e nella distribuzione del reddito, perché la rivoluzione tecno­logica è troppo veloce e la società non riesce a stare al passo con questi cambiamenti. È in arrivo un’epoca di cataclismi. La robotica è alle porte, mentre non si vede all’orizzonte una di­stribuzione salariale proporzionata al conseguente aumento di produttività. Ciò creerà condizioni molto dure. La sinistra de­ve lottare per la civiltà, per queste cose di cui stiamo parlando. Non tutto è idilliaco né tutto è catastrofico: dipende da cosa produrrà concretamente la volontà organizzata di un numero consistente di persone.

(tratto da “Sopravvivere al XXI secolo”, per gentile concessione dell’editore Ponte alle grazie)

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