A partire dagli anni Duemila la politica estera italiana ha puntato sulla proiezione internazionale dei suoi soldati nella vesti di peacekeeper, portatori di pace. Anche dopo ingresso sulla scena del Movimento Cinque stelle e l’impennata populista della Lega, le mozioni di finanziamento di queste missioni sono passate consensualmente perché riflettono un sentimento molto diffuso tra l’opinione pubblica italiana: l’implementazione della pace e la protezione dei civili. Nonostante la torsione militarista nelle recenti scelte adottate dal governo, non è mancata una approvazione generale.

Sembra però che l’esecutivo non si faccia forza di questo consensus nella sua azione. Il presidente del Consiglio Mario Draghi non è andato a Mosca né ha avuto una fitta trama di colloqui con il Cremlino, né ci sono segni di una iniziativa politica da parte nostra, in collegamento con gli alleati ovviamente.

Eppure ci sarebbe lo spazio. Draghi  può spendere la sua indiscussa autorevolezza internazionale anche nel teatro geopolitico. Giocando comunque sul suo terreno, quello economico: utilizzando le “armi” dell’economia per far tacere quelle sul campo. Anche perché ogni giorno che passa non solo muoiono vittime innocenti ma si allontana sempre più la ricomposizione di un quadro di coesistenza pacifica tra Occidente e Russia.  Per fermare serve anche, non solo, un reset nei rapporti economico-finanziari post-sanzioni tra Russia e Occidente; una proposta che il nostro presidente del Consiglio può ben rappresentare.

Si tratta di usare la leva economica in tutte le sue sfaccettature - le sanzioni ora, un partenariato poi – per smuovere il gruppo di potere attorno a Vladimir Putin. Altrimenti, quali alternative rimangono? O armare sempre di più gli ucraini nella speranza, vana, che possano fermare la potenza di fuoco dell’esercito russo, o entrare in guerra contro la Russia scatenando la terza guerra mondiale.

Oggi, in Occidente, non c’è alcuna disponibilità ad imbracciare le armi per difendere l’Ucraina. Ma a fare sacrifici (sperabilmente) sì. Inflazione a due cifre, bollette raddoppiate, risparmi che si assottigliano, nuova recessione, sono il nostro doveroso contributo alla causa ucraina, e, in prospettiva, ad un nuovo assetto pacifico delle relazioni con la Russia. Decisamente preferibili ad una guerra.

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