La crisi del Covid-19 sta avendo impatti devastanti in tutto il mondo. Allo stesso tempo ci offre un’opportunità storica per progettare società ed economie migliori e per gettare le basi per un rinnovamento dell’Europa che promuova la solidarietà e la sostenibilità.

Oggi questo significa, soprattutto, affrontare la doppia sfida della transizione ecologica e della digitalizzazione. Lo si può fare recuperando la sovranità tecnologica dell’Europa, che è fattore di competitività globale e da cui dipendono la capacità di una crescita sostenibile e inclusiva nel lungo periodo.

Questa pandemia ha innescato una sorta di digitalizzazione repentina di molti aspetti della nostra vita quotidiana in tutta Europa: dallo smart working all’istruzione a distanza, all’uso di piattaforme digitali per la consegna di cibo e medicinali.

Anche grazie all’uso di soluzioni tecnologiche coordinate che garantiscono la protezione dei cittadini e della loro mobilità, i paesi europei sono riusciti a dare una risposta sanitaria efficace al Covid-19: dall’uso di app per il tracciamento dei contatti all’utilizzo dei dati di mobilità per contenere focolai e per valutare l’impatto sull’economia, sulla disoccupazione e sull’ambiente. Gli scienziati, inoltre, stanno condividendo con tutta la comunità scientifica mondiale una banca dati di ricerche e soluzioni per le cure del virus.

Ora bisogna rendere strutturale questa trasformazione. Non dobbiamo solo accelerare la digitalizzazione, dobbiamo anche darle una direzione. Dovremmo usare questa fase post pandemia e il Recovery fund per promuovere un “patto verde e digitale", perché si tratta di utilizzare le tecnologie digitali per raggiungere la sostenibilità sia sociale sia ambientale.

Concentrazione industriale

Questo nuovo patto verde e digitale riguarderà la conquista della nostra sovranità digitale. Significa che come società dovremmo essere in grado di impostare la direzione del progresso tecnologico e mettere la tecnologia al servizio delle persone, preservando i loro diritti fondamentali, migliorando le condizioni di lavoro, senza creare nuove diseguaglianze.

Questo significa anche riprendere il controllo democratico delle infrastrutture critiche del futuro (cloud, microprocessori, flussi di dati) perché siamo più che mai dipendenti da tecnologie possedute e controllate da una manciata di giganti digitali, statunitensi o cinesi, presentando una concentrazione industriale inaudita nella storia recente. Sovranità digitale significa indirizzare lo sviluppo tecnologico per risolvere le più pressanti questioni sociali e ambientali dei nostri tempi, a partire dall’emergenza climatica, la transizione energetica, l’educazione e la sanità pubblica. Per raggiungere una digitalizzazione sostenibile abbiamo davanti obiettivi ambiziosi.

Innanzitutto, dobbiamo colmare il divario digitale infrastrutturale. La rete si è rivelata un’infrastruttura critica da cui dipendono i servizi essenziali della società - come il lavoro, la sanità e l’istruzione - e quindi il suo accesso va considerato un diritto fondamentale di tutti i cittadini, come anche riconosciuto dal presidente del parlamento europeo, David Sassoli.

Bisogna rapidamente cablare, con una rete in fibra unica e neutrale tutto il territorio italiano, anche aree interne e borghi, nord e sud Italia. La nostra civiltà tecnologica sarà sempre più consapevole della dimensione fisica del mondo digitale da cui dipendono le catene del valore del futuro come le tecnologie verdi, batterie elettriche, sistemi per la produzione di energia rinnovabile e le tecnologie ad idrogeno, e dove l'Europa può soffrire di carenze critiche di materie prime a causa dell’eccessiva dipendenza dalle importazioni.

Infrastrutture critiche vuol dire anche accelerare nel dispiegamento di reti 5G più veloci, su cui si giocano le grandi questioni geostrategiche del futuro: intelligenza artificiale, supercomputing, computer quantistico e investimenti in infrastrutture cloud sicure. L’Europa nella sua nuova strategia supportata dal Recovery plan, a fianco a batterie elettriche e idrogeno, investe su cloud computing con il progetto franco-tedesco GaiaX, che rappresenta la scommessa di gestire in modo europeo le infrastrutture cloud, oggi dominate dai giganti digitali statunitensi e cinesi.

È un primo passo importante verso una politica tecnologica europea, che punta a recuperare la sovranità sui dati, anche a partire da altre infrastrutture abilitanti come un’identità digitale unica europea. Un uso intelligente dei dati è di grande interesse pubblico e ne va riconosciuto il valore.

Ad esempio, per sviluppare politiche per la transizione energetica ed ecologica c’è assoluto bisogno che le città si dotino anche di una infrastruttura digitale che raccolga dati sul consumo elettrico, sulla mobilità, sulla gestione idrica e dei rifiuti, e sull’inquinamento. Questi dati, come abbiamo fatto a Barcellona quando ero assessore, possono essere considerati un’infrastruttura pubblica e un bene comune controllati dai cittadini, ed essere utilizzati per prendere migliori decisioni, migliorare la città e creare servizi innovativi mettendoli a disposizione di startup, imprese e innovatori, al contempo tutelando privacy e sicurezza.

Il divario digitale non vuol dire solo infrastrutture, ma anche competenze digitali, investimenti nel capitale umano, scuola, ricerca e innovazione. La ricerca, la scienza e il rapporto tra scienza e industria sono la base dell’innovazione tecnologica.

Senza trasferimento tecnologico, la capacità di innovazione delle imprese viene ridotta, come anche la produttività e la creazione di nuovi lavori di qualità. Bisogna inoltre avere una forte sensibilità di genere.

C’è ancora un forte gap di genere nel settore tecnologico, come d’altronde in tutta la nostra società, che va ridotto drasticamente, proprio a partire dal sistema educativo. Secondo il rapporto Women in Science dell’Unesco, le donne oggi impegnate nei settori Stem sono solo il 30 per cento. Inoltre quelle che riescono a trovare lavoro sono pagate meno e hanno molte più difficoltà degli uomini a fare carriera.

Infine, non esiste un paese moderno e digitale senza una burocrazia smart. Digitalizzare il paese non significa solo introdurre nuovi servizi digitali, ma implica un cambio organizzativo e culturale, modernizzando le nostre amministrazioni e i modelli gestionali. Ciò include anche l’assunzione di giovani di talento, capaci di trasformare le amministrazioni pubbliche.

Questo vuole anche dire ridefinire il rapporto fra istituzioni e cittadini, per riguadagnare la loro fiducia. La partecipazione diretta dei cittadini e la loro adesione agli obiettivi del Recovery plan è fondamentale.

Quando ero assessore a Barcellona negli scorsi quattro anni abbiamo sperimentato una nuova forma di partecipazione democratica, anche attraverso una piattaforma digitale (decidim.org) che oggi è usata da 20 paesi e 80 città nel mondo e che ha coinvolto centinaia di migliaia di cittadini nella stesura del programma cittadino. Abbiamo bisogno di politiche del genere, per ascoltare i territori, progettare insieme e implementare progetti e decisioni lungimiranti per il futuro delle nostre città e del paese.

Società globale interconnessa

Il decennio verde digitale per l’Europa, presentato mercoledì dalla presidente della commissione, Ursula von der Leyen, contiene una visione ambiziosa e un piano chiaro per fare in modo che l’Europa affronti congiuntamente le questioni più importanti del futuro.

Per il rilancio dell’Europa appare importante indirizzare i nostri sforzi per collegare la trasformazione digitale al Green Deal in modo più forte a livello europeo, a partire dai sei mesi di presidenza tedesca del Consiglio, facendo della digitalizzazione sostenibile e verde un grande progetto comune europeo.

Nell’attuale contesto di crescente multipolarità geopolitica, che l’Europa sia vista come una «superpotenza della regolamentazione» non è più sufficiente.

L’Ue deve rimanere rilevante come potenza economica globale attraverso la sua innovazione tecnologica. La leadership europea è sempre più importante in questo momento in cui le tensioni fra le due principali economie mondiali - Stati Uniti e Cina - si gioca sul predominio della tecnologia - dalla corsa al 5G, al calcolo quantistico, ai microprocessori di nuova generazione e all'intelligenza artificiale - rischiando di creare una frattura nelle catene del valore dell’industria tecnologica globale, che potrebbe coinvolgere un’ampia gamma di attività economiche.

È il momento giusto per proporre un modello di sovranità tecnologica europeo: un nuovo umanesimo digitale, che garantisca una piena partecipazione democratica dei cittadini, tutelandone i diritti fondamentali.

La soluzione europea che dovremmo offrire al mondo non è quella di ritirarci in una mentalità da Guerra fredda.

È invece necessaria una nuova visione per una società digitale interconnessa e globale con delle regole concordate democraticamente, che stabilisca standard mondiali per una digitalizzazione sostenibile e democratica a vantaggio sia delle persone sia dell'ambiente. Questa visione potrebbe diventare il segno distintivo dell’Europa delle nuove generazioni.

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