Torneremo sulla Luna? Sì, perché poter studiare l’universo dal suo “lato oscuro” ci aprirebbe orizzonti di ricerca straordinari. Ma i tagli di Trump non fanno ben sperare per la Nasa
Torneremo sulla Luna? Sì, a questa domanda la risposta è affermativa. Se non torneranno gli americani con il mondo occidentale, vi arriveranno i cinesi. Ma se la Nasa e chi sta con essa torneranno per portare lassù la prima donna e il primo uomo di colore (come dice ripetutamente l’ente spaziale americano) ci rimarranno realmente per costruire una base permanente?
Questo è ancora tutto da decidere. I possibili, sempre più realistici tagli di budget che il presidente Trump ha proposto già a partire dal 2026 non fanno ben sperare. Vuole tagliare la stazione spaziale lunare, bloccare lo sviluppo del razzo Sls e con esso la navicella Orion che dovrebbero portare l’uomo attorno alla Luna, per affidare tutto alle navi di SpaceX e Blue Origin.
Cambiamenti all’orizzonte
Insomma l’orizzonte è nebuloso, ma ciononostante, oggi, oltre mezzo secolo dopo le missioni Apollo, il paesaggio lunare, un tempo sinonimo di vuoto assoluto, sta iniziando a popolarsi di nuove ambizioni, almeno da parte degli scienziati di tutto il mondo, i quali stanno lavorando per trasformarlo nel più grande laboratorio astrofisico della storia.
L’obiettivo? Rispondere ad alcune delle domande più profonde che ci siamo mai posti: come si sono accese le prime stelle? Perché l’Universo si è evoluto così? Siamo davvero soli? «Sulla Luna possiamo concepire idee che sulla Terra sarebbero semplicemente impossibili», afferma Jan Harms, astronomo del Gran Sasso Science Institute in Italia. Il nostro satellite sembra fatto apposta per ospitare osservatori d’avanguardia in grado di svelare i misteri del cosmo.
Tra le proposte più audaci c’è quella di posizionare un radiotelescopio sul lato nascosto della Luna, il luogo più silenzioso del nostro sistema solare. Da oltre un secolo, la tecnologia umana inonda l’etere di segnali radio; tuttavia, il lato lontano della Luna rimane protetto da queste interferenze. Questo lo rende l’unico posto dove ascoltare le deboli onde radio cosmiche non disturbate dal nostro “rumore” artificiale.
Le onde radio permettono di osservare l’Universo primordiale, addirittura prima che le prime stelle iniziassero a brillare. Gli scienziati sperano di intercettare i fotoni emessi dai primi atomi di idrogeno, formatisi circa 380mila anni dopo il Big Bang, per esplorare l’epoca oscura cosmica, un periodo che ha plasmato il futuro dell’Universo.
Il problema è che questi fotoni si manifestano come onde radio a bassissima frequenza, le stesse delle nostre radio FM terrestri. L’atmosfera terrestre le riflette, rendendo impossibile la loro osservazione dalla Terra. Ma il lato nascosto della Luna offre il luogo perfetto. Riuscire a mappare la distribuzione di questi fotoni consentirebbe agli astronomi di costruire una vera e propria cartografia delle età oscure cosmiche.
Un radiotelescopio lunare potrebbe anche studiare le aurore e i campi magnetici degli esopianeti, segnali che sulla Terra sono assorbiti o mascherati dal rumore. Questo permetterebbe di capire come le stelle influenzano i loro pianeti e se esistono condizioni favorevoli alla vita. «Se un esopianeta ha un campo magnetico, potrebbe essere protetto dalle tempeste stellari», afferma Mahesh. «E potrebbe essere un ottimo candidato per cercare forme di vita».
La Luna potrebbe anche potenziare l’Event Horizon Telescope (Eht), la rete di radiotelescopi che ha catturato le prime immagini di buchi neri. Collegando telescopi terrestri a uno lunare, l’Eht diventerebbe un osservatorio ancora più potente, capace di rivelare dettagli senza precedenti.
I primi passi sono già stati compiuti. Nel 2023, la Nasa ha fatto atterrare il primo esperimento di radioastronomia lunare, ROLSES-1, sul lato vicino della Luna, vicino al polo Sud. Il prossimo passo sarà LuSEE-Night, che nel 2026 verrà lanciato verso il lato nascosto della Luna, dove studierà la luce radio a bassa frequenza della nostra galassia, gettando le basi per future osservazioni cosmologiche.
I nuovi progetti
E non finisce qui. La Nasa sta progettando il Lunar Crater Radio Telescope, un’enorme antenna collocata all’interno di un cratere lunare. L’idea prevede una flotta di robot che stenderebbero fili lungo il cratere, costruendo una gigantesca rete a forma di ragnatela. Anche nella sua versione più ridotta, con un diametro di 350 metri, sarebbe tra i più grandi radiotelescopi mai realizzati. La Luna potrebbe anche diventare un osservatorio naturale per le onde gravitazionali, le increspature dello spazio-tempo causate da eventi cosmici estremi.
A differenza della Terra, continuamente scossa da attività sismica, vento e marea, la Luna offre un ambiente stabile, ideale per installare strumenti di rilevazione simili a quelli di Ligo, ma molto più efficienti.
Oltre a queste iniziative pionieristiche, la Luna potrebbe ospitare anche telescopi a infrarossi ancora più potenti del James Webb Space Telescope. Jean-Pierre Maillard, dell’Istituto di Astrofisica di Parigi, sta lavorando a un progetto per collocare un grande telescopio in un cratere buio, sfruttando il freddo naturale per mantenerlo operativo.
Lì, la debole gravità lunare permetterebbe la costruzione di specchi enormi senza rischio di deformazioni. Certo, ci sono anche molti problemi da risolvere: la polvere lunare, ad esempio, rappresenta una minaccia seria. Come testimoniarono tutti gli astronauti scesi sulla Luna, la polvere si attacca ovunque ed è difficile da rimuovere. Sarà un grosso problema per gli astronauti dei prossimi anni, che rimarranno a lungo sulla Luna con frequenti passeggiate. Ma oggi sappiamo che potrebbe interferire anche con i telescopi, i laser e le antenne.
Infine, futuri osservatori dovranno resistere alla violenta radiazione cosmica e alle enormi escursioni termiche tra giorno e notte lunare. La sonda LuSEE-Night sarà uno dei primi strumenti progettati per superare due settimane consecutive di buio lunare. Molto è cambiato da quando i primi 12 astronauti saltellavano sulla Luna. Oggi, la superficie si sta popolando di lander, rover e presto di osservatori scientifici. Non è più questione di se colonizzeremo scientificamente la Luna, ma quando. Se non lo faranno gli americani e le agenzie spaziali che con essi collaborano, lo faranno i cinesi.
Nel frattempo, gli astronomi stanno già individuando aree da preservare per la futura ricerca. Nel prossimo futuro, i nostri orbiter potrebbero fotografare una Luna attraversata da linee elettriche, costellata di antenne radio e crateri riempiti di sensori a infrarossi. E la speranza è che almeno lassù vi sia una collaborazione planetaria, almeno come quella portata avanti sulla Stazione spaziale internazionale.
Le piante e l’anidride carbonica
Uno studio condotto dall’Institute of Environmental Science and Technology presso l’Universitat Autònoma de Barcelona (Icta-Uab) ha rivelato che le ondate di calore e la siccità stanno riducendo la capacità degli ecosistemi di assorbire CO₂. L’analisi, pubblicata su Global Biogeochemical Cycles, ha esaminato i flussi di carbonio tra il 2001 e il 2022 in diverse regioni del sud-ovest europeo, tra cui Portogallo, Spagna, Francia meridionale e Italia. I risultati mostrano che l’aumento delle temperature ha inizialmente esteso la stagione di crescita delle piante, aumentando l’assorbimento di CO₂.
Tuttavia, questo effetto è stato compensato da un incremento della decomposizione della materia organica e della respirazione delle piante, che hanno portato a un maggiore rilascio di CO₂. La siccità e le ondate di calore, poi, hanno ridotto la capacità della vegetazione di fungere da serbatoio di carbonio del 27 per cento, con conseguenze dirette sul bilancio del carbonio terrestre.
Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica spagnolo, questa riduzione ha significato che la vegetazione nelle aree colpite ha smesso di assorbire più CO₂ di quanto la Spagna abbia emesso nello stesso anno.
Le regioni con climi continentali e umidi sono risultate più vulnerabili rispetto alle aree mediterranee, che sono più adattate a condizioni estreme. I ricercatori hanno utilizzato dati satellitari sulla fluorescenza solare indotta per confermare che lo scambio di carbonio tra ecosistemi e atmosfera è altamente sensibile agli eventi estremi.
La fluorescenza solare indotta è un fenomeno che avviene quando le piante assorbono la luce solare per la fotosintesi. Durante questo processo, una parte dell’energia luminosa viene emessa nuovamente sotto forma di fluorescenza. Misurando questa fluorescenza con strumenti satellitari, gli scienziati possono capire quanto efficacemente le piante stiano assorbendo CO₂ trasformandola in biomassa. Lo squilibrio climatico misurato ha implicazioni dirette per il ciclo globale del carbonio e per le strategie di mitigazione del cambiamento climatico.
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