«Non fate le vittime». E il dubbio, inevitabilmente, ci sorge. Un dubbio che, tuttavia, non si concilia con quello che sentiamo dentro.

 «Non fate le vittime», eppure sono le nostre immagini ad essere state a nostra insaputa riprese e teletrasportate da un video informativo di militanza politica ad un gruppo Facebook privato di più di 3500 membri.

«Non fate le vittime», eppure siamo noi ad essere state estrapolate dal contesto originario per essere oggetto di una cascata di commenti e battute non richieste legate esclusivamente al nostro aspetto esteriore.

Esternazioni come «qui siamo sopra l’8 abbondante» e «la figa è l’unico fattore che potrebbe far perdere la Lega da noi, ottima iniziativa», «sono un fan di qualsiasi cosa stiano dicendo» riducono alla mera carne il nostro spirito politico, di attiviste, di persone.

Non è divertente

Tutto questo non può apparire scherzoso. Far sentire qualcuno sminuito nella propria individualità e identità non è divertente. Non lo è fare screen da un video  per mandarli in pasto a un gruppo facebook di shitposting. Non lo è associare voti a delle persone, commentarne pubblicamente l’aspetto. A noi non ha fatto ridere.

Tutto questo non deve essere etichettato come goliardico o ignorato, affinché questi episodi non siano più considerati normali. Non potendo, quindi, permetterci di restare in silenzio, assieme agli altri militanti abbiamo pubblicato un post anonimo di denuncia dell’accaduto.

Non ci importa tanto condannare il gruppo dove si è consumato il fatto o la persona che ha pubblicato gli screen: ci preme, invece, far emergere il reale problema di questa storia.

Nonostante la manifestazione del nostro disagio, la risposta massiccia che ci siamo viste ricevere al post ha avuto la avvilente forma dello shitposting. Ci siamo viste cadere addosso una cascata di commenti. Chi sminuiva il problema, chi negava la possibilità di sentirsi offesi per apprezzamenti estetici, chi parlava di tempo tolto a battaglie più serie per finire con i soliti commenti benaltristi e giustificatori. 

Da un momento all’altro scaraventate in un clima di irrealtà: il nostro disagio ridotto ad un effimero scherzo. Sino a giungere al commento manifesto: «4 battute fatte in un gruppo di amici non significa nulla e non giustificano le vostre insinuazioni. Scendete dal vostro piedistallo e rendetevi conto che ogni persona sul pianeta viene giudicata in primis per come appare. Donna, uomo, bambino, bianco, rosso o verde che sia».

Effetti concreti

Vorremmo che, per un attimo, si mettessero da parte le definizioni, i termini, l’astratto.  Vorremmo che ci si concentrasse sulle conseguenze concrete di queste azioni, tangibili e innegabili. Sconforto per la subordinazione delle nostre idee e alla nostra estetica. Dubbi sui motivi per cui veniamo ascoltate, sui traguardi raggiunti. Remore nell’esporsi, nel postare un contenuto, nel mostrare la propria immagine. Poi, a mente fredda, ci si accorge dell’infondatezza e assurdità di certi pensieri, però intanto li hai fatti, ti hanno fatto stare male, mettere in discussione dove non ce ne era motivo.

Le «4 battute fatte in un gruppo di amici» significano molto. Ci rifiutiamo di scendere ad un compromesso su questo. Nessuno di noi ha la volontà di mettere un bavaglio alla libertà di parola, ma non possiamo accettare che non si riconosca l’importanza delle parole. Le parole sono importanti, più che importanti! E non ci sono peggiori parole di quelle che tentano di sminuire le emozioni di chi sta male.

È assurdo, inoltre, che qualcuno si sia anche sentito in diritto di aggredirci verbalmente, quando la nostra unica colpa era aver denunciato questi avvenimenti spiacevoli. Si, perché qualcuno, nonostante le parole di denuncia dell’accaduto fossero anonime, si è persino impegnato per trovarci sui social, e non per esprimere solidarietà, ma per continuare l’ondata di shitposting nei messaggi privati. Ma, d’altronde, è tutto normale, noi «non siamo vittime».

Shitposting

Forse proprio per questo continuano i commenti e i post che ridicolizzano l’accaduto, le battute, i meme, i riferimenti al nostro aspetto fisico, lo shitposting. Ma in fondo non c’è nessun episodio sessista, non c’è nessuna oggettificazione, è tutto normale. Eppure, se tutto è così normale, non ci spieghiamo l’impegno a trovare il traditore del gruppo (colui che ci ha permesso di scoprire l’uso improprio delle nostre immagini). Forse, in fondo,  anche loro sanno che, ciò che è successo, non è poi così normale.

Noi, per davvero, non vorremmo sentirci vittime. Ma è la nostra identità ad essere annientata dall'apparenza. Si tratta, anche, di libertà. E lo ribadiamo con forza nonostante le loro accuse di atteggiamenti liberticidi e censuranti. È la nostra di libertà ad essere compressa e compromessa, perché la continua oggettificazione e sessualizzazione dei corpi ci limita inevitabilmente nell’espressione della nostra piena individualità compiutamente.

La nostra libertà

Non accetteremo mai questa realtà, non potremo mai dare ragione a tesi assurde: non è vero che, come ci stanno insistentemente scrivendo, «nel momento in cui ti esponi, tieni anche in considerazione i commenti dopo». No! Non è così. Eppure non dovrebbe essere difficile capire che, se vedi due ragazze in un video divulgativo, non hai il diritto di fare uno screen e farci tutto quello che vuoi. E lo stesso vale per i voti, per i giudizi estetici, per i doppi sensi. 

Il reale problema è proprio questo: non si vuole vedere e riconoscere il problema. Noi l’abbiamo letto, sentito, constatato in prima persona: il victim blaming, i tentativi di sminuire l’accaduto, di nasconderlo, di negarlo. Questa è la denuncia che vogliamo fare. La mancanza di sensibilità, di attenzione, di cura. La reazione che abbiamo subito è la chiara dimostrazione non solo dell’esistenza di un problema, ma anche della sua radicalità e diffusione.  Questi episodi umilianti, offensivi e sessisti sono considerati ancora da troppe persone non solo accettabili, ma addirittura normali. Insomma, è tutto normale, non siamo noi le vittime. 

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