Il tappo della manifestazione di Roma del 14 giugno è saltato quando sono stati resi noti gli sponsor, fra cui Starbucks, Disney, P&G, che da tempo supportano apertamente Israele. La polemica coinvolge anche la scelta di Rose Villain come madrina, una scelta più pubblicitaria che politica: non si tratta di una cantante rappresentativa della comunità queer. E i biglietti del party ufficiale arrivano a costare fino a 70 euro
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Partecipo al Pride di Roma dal 2010, da quando avevo tredici anni. Lì ho scoperto che essere minoranza non significa essere soli e sole, ma una comunità di persone che dalla marginalità si riconoscono a vicenda, che la diversità è il valore più prezioso della vita, che la collettività di tante voci insieme può cambiare la storia delle persone e degli spazi che attraversano.
Quest’anno, più che mai, le voci critiche verso l’organizzazione del Roma Pride si sono alzate in massa e un’insofferenza generale, evidentemente maturata negli anni, pretende di essere ascoltata. Roma Pride è stato storicamente organizzato da un coordinamento informale, opaco verso l’esterno, poi improvvisamente sciolto via mail. Oggi Roma Pride è infatti organizzato da una singola associazione e promosso da un piccolo coordinamento apparentemente blindato.
Nelle ultime ore il tappo è saltato, quando sono stati resi noti gli sponsor ufficiali, fra cui alcune multinazionali come Starbucks, Disney, P&G, da tempo segnalate come realtà che supportano apertamente Israele.
In effetti la posizione del Pride capitolino appare contraddittoria e ambigua su questo fronte: nel documento politico viene espressa una generica solidarietà alle vittime, insieme alla richiesta di liberazione degli ostaggi israeliani. Già nel 2024, di fronte all’invito di prendere posizione sulla situazione israelo-palestinese, mossa dalle associazioni verso Roma Pride, Mario Colamarino – presidente di Mario Mieli e portavoce di Roma Pride – si era dichiarato dispiaciuto dell’assenza della comunità ebraica alla manifestazione.
Quest’anno, invece, lo stesso Colamarino era stato criticato per aver scelto di aprire la conferenza stampa con un appello al Papa, facendo presagire il possibile tone-of-voice dell’evento, per cui è stato scelto lo slogan “FUORILEGGE”, come il brano di Rose Villain.
La polemica dal basso coinvolge anche questa scelta, parsa più pubblicitaria che politica, essendo stata scelta la cantante – considerata non rappresentativa della comunità queer – come madrina della manifestazione e ospite del party ufficiale, dove i ticket arrivano a costare fino a 70 euro.
Acritico e morigerato
Nell’ambito della Pride Croisette ha fatto molto discutere la scelta di offrire il palco a Francesca Pascale, simbolo di una certa destra che strizza l’occhio alla comunità ma vota contro i suoi diritti, così come la scelta di premiare una testata giornalistica che, secondo ILGA Europe, avrebbe oscurato notizie sui diritti LGBTQIA+.
Più che fuorilegge questo Pride appare acritico, morigerato, piegato alle logiche del mercato e del potere anziché rappresentanza delle rivendicazioni politiche di una comunità più che mai schiacciata. In Italia e nel mondo le destre più autoritarie crescono, instaurano governi mossi dai motori della repressione e della propaganda. In questo scenario è fondamentale ritrovare lo spirito e la forza di fare scudo insieme, nelle lotte e pure nelle contraddizioni, per autodeterminarci in un contesto che pretende di dettare chi e come dovremmo essere.
Eppure, la fatica e la scomodità della convivenza – una delle più grandi lezioni che il margine ci abbia insegnato – non può diventare la scusa per imporci modalità che non rappresentano realmente le comunità invitate a portarle avanti. Per dirla con un’espressione un po’ sessista e popolare, profondamente romana, non è accettabile che qualcuno provi a “fare il frocio col culo degli altri”, perché non siamo target commerciali e d’altronde abbiamo imparato che ognuno e ognuna col proprio culo sceglie di fare ciò che vuole e che forse, soprattutto mentre il mondo esplode e le poche illusorie certezze su cui pensavamo di poter contare sbiadiscono, è proprio il momento di mettere in discussione tutto.
Il fatto che alcune realtà vogliano rendere digeribili scelte discutibili, facendo leva sul fatto che non è il momento di dividerci, suona come un ricatto morale e un esercizio di potere schiacciante. Perché la battaglia, proprio quando si fa più difficile, si faccia anche più autentica. L’associazione di cui sono vicepresidente, Arcigay Roma, ha scelto di partecipare con questa postura critica al Pride di Roma, perché sentiamo forte il senso di appartenenza a un corteo che rivendichiamo come nostro, della città, nella speranza che questa voce critica riporti il fuoco al centro. Il Lazio Pride invece tornerà ad Ostia il 12 luglio e a Rieti il 13 settembre, per illuminare i territori che da sempre vivono all’ombra della capitale.
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