Pochi giorni fa, su queste colonne, Alessandro Penati ha sollecitato una discussione sul ruolo e sulla missione di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), avanzando dubbi sulla sua idoneità ad operare come una vera Banca di Sviluppo (BdS) sul modello della Banca Europea degli Investimenti (Bei). L’articolo ha il merito di sollevare un tema importante, ma non centra purtroppo l’obiettivo: una riflessione sul ruolo di Cdp è infatti urgente e necessaria, ma non per i motivi evocati da Penati.

L’importanza cruciale del ruolo di Cdp in Italia si gioca oggi su tavoli diversi dalla (pure utile) razionalizzazione del suo portafoglio di partecipazioni. La messa a punto del nuovo piano industriale della Cassa, si intreccia infatti inevitabilmente con l’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, e soprattutto con l’enorme sforzo di trasformazione richiesto dalla Ue al nostro sistema economico per allinearci agli obiettivi di decarbonizzazione previsti dagli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia e fatti propri dal Green Deal europeo. In quest’ambito, Cdp è infatti chiamata a svolgere un ruolo chiave ed è questo il vero tema a cui sarebbe urgente che il CdA di Cdp, governo e parlamento ponessero particolare attenzione. A questo proposito vanno tenuti presenti quattro elementi finora trascurati, ma decisivi per collocare la discussione nella giusta prospettiva.

L’attività prevalente

L’attività prevalente di Cdp è diventata negli ultimi anni quella di supporto finanziario alle imprese (soprattutto Pmi), di sostegno dell’innovazione e di modernizzazione dell’apparato infrastrutturale del paese. Nell’ultimo piano industriale (2018-21), il 75 per cento delle risorse complessivamente attivate era destinato allo sviluppo delle imprese e poco meno del 25 per cento alla realizzazione di infrastrutture pubbliche per servizi di pubblica utilità.

Cdp non svolge quindi soltanto le funzioni, ereditate dalla sua storia, di amministrazione del risparmio postale (peraltro segregato in una gestione separata, soggetta a vigilanza parlamentare) o di holding di partecipazioni in importanti imprese nazionali (sulle quali peraltro non esercita funzioni di indirizzo strategico), ma è divenuta uno snodo essenziale di canalizzazione di risorse per la modernizzazione del tessuto infrastrutturale e produttivo del paese.

Il Green Deal

Analogamente ad altre istituzioni europee (come la tedesca Kfw, la francese Cdc ecc.) Cdp ha assunto lo status, riconosciuto dall’Unione Europea, di Istituto Nazionale di Promozione (Inp). A questa categoria di istituzioni, il Green Deal assegna, al pari delle BEI, la funzione strategica di cerniera tra l’impegno di risorse pubbliche e la mobilizzazione di capitali privati. Contrariamente a quanto molti pensano, i fondi europei del Ngeu coprono infatti solo una frazione degli investimenti previsti nel prossimo decennio per la transizione “verde”.

Secondo gli auspici della Commissione Europea, una parte dei fondi del Ngeu (che vengo spesi secondo quanto definito nel Recovery Plan nazionale) dovrebbe essere destinata ad attivare prestiti privati (attraverso la catena delle garanzie e delle contro garanzie) per un ammontare da 11 a 15 volte superiore alle risorse pubbliche stanziate. Al centro di questa catena vi sono, appunto, la Bei e le Inp, tra cui Cdp.

La Bei e tutte le principali Inp europee si stanno trasformando in “banche del clima” e hanno già adottato ufficialmente protocolli che le impegnano ad orientare progressivamente tutti i propri investimenti e i propri flussi di prestiti in coerenza con gli obiettivi climatici degli Accordi di Parigi (zero emissioni nette di CO2 entro il 2050).

Il governo britannico, co-organizzatore insieme a quello italiano, della prossima conferenza sul clima di Glasgow (Cop26) ha, negli scorsi mesi, ricostituito la propria Green Investment Bank pubblica (UKIB), con la finalità di accelerare la decarbonizzazione dell’economia e supportare lo sforzo di riconversione infrastrutturale e industriale del Regno Unito.

L’emergenza

In Italia, per fare fronte all’emergenza pandemica e mitigarne gli impatti sul sistema produttivo, sono già stati messi a punto, nell’ultimo anno, strumenti legislativi funzionali a dotare la capacità di intervento di Cdp (e di Sace), che andrebbero però qualificati e riorientati verso i nuovi obiettivi del Green Deal con opportune condizionalità: ad es. le controgaranzie di Sace sui crediti bancari alle imprese (che assieme a quelle di Mediocredito Centrale hanno mitigato l’impatto della pandemia sulla liquidità delle imprese) e le ingenti risorse (44 miliardi), finora utilizzate solo in minima parte, di cui è stata dotata Cdp (il cosiddetto Patrimonio Rilancio) non solo per tamponare i guasti della pandemia, ma anche per sostenere la ripresa delle imprese attraverso interventi di mobilizzazione di capitali privati.

Anche a livello europeo, come sul piano globale, la sfida della decarbonizzazione delle economie non sarà solo dettata dall’imperativo di salvare il pianeta dai danni del surriscaldamento, ma diventerà inevitabilmente anche una partita destinata a ridislocare le catene del valore e a redistribuire i vantaggi comparati del salto tecnologico necessario per affrontarla: sarà cioè l’arena su cui si ridisegneranno le gerarchie economiche mondiali.

Prevenire la deindustrializzazione del paese ed attrezzarlo per essere protagonista del nuovo paradigma è oggi una priorità assoluta. Il ruolo di Cdp in questo processo è decisivo, come dimostra la grande attenzione che altri paesi stanno dedicando alle loro “banche per il clima”. Di questo, non di altro, sarebbe oggi prioritario discutere anche da noi.

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