Università e ricerca sono sicuramente due punti nodali del prossimo Recovery Plan. Tutti però sanno che l’affluire delle risorse - per quanto ingente - non basta. Per ottenere risultati, occorre premiare il merito, selezionare i progetti di ricerca e i ricercatori migliori. Altrimenti si rischia di vedere un film già visto.

Oggi non è un giorno qualsiasi per i nostri enti di ricerca e per l’università italiana. Dopo due anni di lavori in Commissione cultura, approda infatti a Montecitorio un disegno di legge che ha raccolto una grande convergenza trasversale tra le forze politiche. Dobbiamo cambiare i metodi di reclutamento, la mobilità, la trasparenza dei nostri atenei. In una parola, modernizzarli. E così sarà, se riusciremo a mantenere integro l’impianto di una legge che ha bisogno di dibattito pubblico e che vuole incidere profondamente sulle attuali storture. Veniamo dunque alle quattro novità principali del testo.

Un unico raccoglitore per i concorsi

Primo: la trasparenza sarà fondamentale, per cui verrà istituito un portale unico della ricerca nel quale saranno compresi tutti i concorsi, le borse e i posti da attribuire. Niente più spazio per il vecchio vizio delle procedure di selezione nascoste e segnalate in qualche caso solo per via amicale. Questo varrà anche per le commissioni giudicatrici, che verranno sorteggiate tra chi, avendo titolo per farne parte, è inserito nella banca dati apposita del portale.

Infine, sempre per interrompere una certa tendenza di ogni università a privilegiare gli allievi interni, ogni ateneo dovrà vincolare almeno un terzo delle risorse da destinare ai contratti a favore di candidati che per un minimo di 36 mesi abbiano frequentato corsi di dottorato di ricerca o svolto attività di ricerca presso atenei o istituti di ricerca diversi da quello che ha emanato il bando.

Le borse di ricerca

Secondo: niente più confusione sull’attribuzione delle borse di ricerca post lauream. Concepite con una durata che va dai 6 ai 12 mesi, e prorogabili fino a tre anni complessivi solo laddove richiesto dalla tipologia di progetto, potranno accedervi solo coloro che avranno una laurea magistrale o di vecchio ordinamento.

Saranno dunque esclusi i dottori di ricerca, i ricercatori a tempo determinato e il personale di ruolo. Non sarà più possibile cumularle, non saranno compatibili con altre attività didattiche e non saranno tassate. Saranno il primo passo dell’attività di chi vuole intraprendere un percorso nella ricerca.

Il denaro

Terzo: i dottorati di ricerca saranno valorizzati e forniranno anche le competenze necessarie ai fini dell’accesso nelle pubbliche amministrazioni. Ad oggi sappiamo che nel Pnrr ci saranno 432 milioni di euro a fondo perduto (144 per ogni anno) nel triennio 2022-24.

Ciò significa un aumento di 3.600 dottorati, ciascuno dei quali con 1.200 borse di studio. Tutto ciò al netto di altri 3.000 nuovi dottorati innovativi attivati con il Dipartimento della Funzione Pubblica. Chi sarà in possesso del titolo di dottore di ricerca avrà un notevole punteggio aggiuntivo nei concorsi pubblici.

I contratti

Quarto: il contratto da ricercatore a tempo determinato – l’anticamera per diventare professore - cambierà sostanzialmente e conferirà più garanzie. Ad oggi esistono contratti di tipo A e di tipo B.

Solo nel secondo caso, previo l’ottenimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, l’università può chiamare nel ruolo di professore associato. La nuova legge cancella la vecchia distinzione e introduce un contratto unico di ricercatore a tempo determinato per 7 anni.  

Si tratta di un pacchetto di cambiamenti epocale. Non solo perché chi non investe nella buona ricerca non cresce. Ma anche perché attualmente l’Italia finanzia per circa 30 milioni di euro l’anno la ricerca di altri membri dell’Unione.

Non è infatti raro che i vincitori delle borse messe a disposizione siano ragazze e ragazzi italiani che si aggiudicano i fondi concorrendo per le università di altri paesi Ue. Persino l’anagrafe ci dà torto. Oggi, prima di diventare professore, un ricercatore italiano deve aspettare in media 17 anni. Troppo. Il nuovo percorso ridurrà questo periodo a un massimo di 11. Non è poco.    

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