Nei suoi primi interventi, Mario Draghi ha parlato di “sussidi buoni”, che, oltre a far fronte all’emergenza, aiutano la crescita, e “sussidi cattivi” che aumentano solo il deficit, e la crescita la ingessano.

Anche la concorrenza, si presta ad essere ripartita in queste due categorie ricordando che negli ultimi anni il termine è addirittura sparito dal lessico politico; d’altronde per molti il monopolio è meglio, costa meno fatica, distribuisce dividendi e buoni stipendi ecc.

L’esplosione della concorrenza a scala mondiale accaduta dal 1980 in poi, per l’avvento concomitante dell’apertura al mercato dei grandi paesi orientali (Cina, India ecc.) e del crollo dei costi di trasporto merci, con la diffusione dei containers e con il gigantismo navale.

Questa ondata di globalizzazione ha determinato risultati sociali straordinari a scala mondiale, con miliardi di persone uscite in pochi anni dalla povertà estrema. Ma ha reso stagnanti i redditi delle categorie più deboli in Occidente, dove ha anche nettamente peggiorato la distribuzione della ricchezza.

La distribuzione è diventata molto più disuguale anche in Oriente, ma è ovvio che il fenomeno è socialmente più tollerabile quando anche i poveri stanno molto meglio.

Da noi il fenomeno ha generato forti spinte anti-globalizzazione, principalmente di destra, con l’avvento di Trump, la Brexit, e, si parva licet, Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Un fenomeno dunque non socialmente univoco, anche se certamente positivo sul piano della crescita economica il che è un fatto almeno potenzialmente anche socialmente positivo: se c’è più torta, ci son più fette da distribuire.

Concorrenza al ribasso

La concorrenza al ribasso del costo del lavoro all’interno dei singoli paesi è senz’altro un fenomeno negativo, mentre è positiva la concorrenza tra imprese. Quindi meglio difendere i lavoratori che non difendere i capitalisti.

Le imprese devono poter fallire, o anche emigrare dove il lavoro costa meno. Questo è uno degli aspetti meno accettabili del protezionismo: portare lavoro dove i lavoratori stanno peggio rappresenta una ridistribuzione virtuosa del reddito, oltre a far sopravvivere imprese altrimenti condannate.

Comporta ovviamente solide tutele per chi perde il lavoro, ma anche supporto alla mobilità regionale e settoriale dei lavoratori colpiti.

Per l’Italia, occorre anche far crescere la produttività delle imprese, e a questo fine l’aumento della concorrenza è uno strumento essenziale. Anche il ruolo dell’innovazione innescata dal settore pubblico potrebbe in teoria essere importante pur se non molto connesso alla concorrenza per il noto problema noto come “picking the winner”, cioè la scelta politica dei vincitori, troppo spesso scelti tra gli amici dei decisori politici. E le ricette alla Mariana Mazzuccato, tipo esplorazioni spaziali, non sembrano di facile concretizzazione. Negli Stati Uniti oggi ci stanno pensando soprattutto i privati, in concorrenza tra loro.

I costi verdi

Ma eccola, la magica ricetta pubblica che può mobilitare enormi risorse per la crescita, e nello stesso tempo risolvere un problema planetario: la rivoluzione ambientale. E’ un progetto lodevolissimo, ma se declinato nel modo sbagliato non ci farà crescere affatto.

Risparmiare energia costa ricchezza, non la crea. I prodotti meno inquinanti costano di più (si pensi alle automobili ibride o elettriche, o ai fiumi di soldi che dobbiamo dare alle ferrovie per indurre gli utenti a servirsene, o la produzione di acciaio o cemento senza usare combustibili fossili). Se così non fosse, è ovvio, ci penserebbe il mercato, senza nessuna necessità di intervento pubblico.

Ma infine c’è un ambito importante di concorrenza “buona”: quello in cui il lavoro è straordinariamente protetto, e quindi non può soffrirne, e in cui gli spazi di progresso gestionale e tecnologico sono molto rilevanti. E’ quello dei servizi pubblici attualmente gestiti senza vere gare (acqua, trasporti locali e ferroviari, infrastrutture regolate). Si tratta di una forma di competizione nota come “per il mercato”, contrapposta a quella “nel mercato”.

I dipendenti sono già protetti per legge, e la socialità dei servizi può essere garantita al  cento per cento, attraverso le tariffe e il controllo della qualità. Le gare devono essere periodiche, in modo da disincentivare pesantemente le imprese che non rispettassero gli impegni assunti nel bando di gara.

Per i rischi di corruzione, accanto ai poliziotti “ordinari”, vi sarebbero gli occhi attenti di chi la gara la ha persa. Infine, diminuendo i costi tramite la maggiore efficienza ottenibile, si potrebbero o aumentare i servizi o ridurre le tariffe. Cioè si potrebbe aumentare la socialità dei servizi. Ma a tutt’oggi, fare le gare è in Italia è presentato al contrario come un qualcosa di antisociale, nonostante le eccellenti esperienze estere. E questa immagine distorta è promossa anche dai politici locali e centrali, che in effetti perderebbero un formidabile strumento di “voto di scambio”.

Le gare per l’affidamento dei servizi sono fortemente raccomandate dall’Europa, e la cultura di Draghi viene da lì: forse  un pensierino lo potrebbe fare.

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