Il nostro sistema di welfare richiede una profonda manutenzione. Lo impone la pandemia e lo impongono i ritardi accumulati in passato nel dare soluzione a problemi pressanti. Uno di questi riguarda l’età pensionabile: alla fine del 2021, infatti, verrà a scadenza “quota 100” la soluzione non risolutiva che si dette al problema dell’età pensionabile nel tentativo di “aggirare” i limiti fissati dalla legge Fornero.

I problemi di quota 100

Per inquadrare il problema è utile richiamare i limiti di “quota 100”. Lungi dal cancellare la legge Fornero, “quota 100” ha consentito che l’età pensionabile scendesse a 62 anni per coloro che avessero versato contributi per almeno 38 anni.

Dunque, la possibilità di pensionamento anticipato è stata appannaggio solo di chi aveva una carriera lunga, rendendo, di fatto, la continuità della carriera un fattore di discriminazione, indipendentemente dalle cause che possano averla impedita, alcune delle quali certamente non riconducibili a responsabilità individuale, e trascurando il fatto che spesso chi ha carriere discontinue incontra maggiori difficoltà a proseguire l’attività a età avanzate.

Inoltre, al di là di quanto previsto dalla normativa su lavori usuranti e Ape sociale, che tutela però un numero molto esiguo di persone, aspetti quali la gravosità del lavoro non ricevono alcun riconoscimento. L’irrilevanza della discontinuità delle carriere e della gravosità del lavoro è inevitabile se l’età pensionabile è fissata in base a criteri di età e anzianità rigidi, ancorché diversamente severi.

Quota 102

Si parla di sostituire alla fine dell’anno “quota 100” con “quota 102”, la differenza principale essendo l’innalzamento del limite di età anagrafica di due anni, ma si tratterebbe di un cambiamento irrilevante. Ciò che occorre – naturalmente tenendo conto dei vincoli di bilancio – è una dose ragionevole di flessibilità, di qualità migliore di tante altre flessibilità così spesso invocate, dato che potrebbe consentire risultati migliori sotto il profilo sia dell’equità, sia dell’efficienza.

Il titolo di studio

Infatti, appare equo consentire di accedere alla pensione in età più giovane a chi ha svolto lavori gravosi oppure ha o ha avuto problemi occupazionali o di salute. Più in generale, va considerato che la possibilità di proseguire l’attività ad età avanzata dipende da vari vincoli che agiscono dal lato sia dell’offerta che della domanda di lavoro.

Se così non fosse, non si osserverebbero differenze estreme nei tassi di occupazione dei lavoratori anziani in base al titolo di studio (al quale sono legati aspetti come l’occupabilità, la qualità del lavoro e le condizioni di salute): i dati Eurostat ci dicono invece che nel 2019 il tasso di occupazione degli uomini di età 60-64 con licenza media era in Italia del 35,9 per cento (41,1 per cento in media nella Ue15), ma fra i laureati saliva all’82,4 per cento, il valore più alto nella Ue15 (la cui media è 67,2 per cento). Differenze così ampie dovrebbero portare a riflettere a fondo sulle cause sottostanti e ad interrogarsi sulle implicazioni di regole sull’età pensionabile che non tengano conto delle caratteristiche individuali.

Sotto il profilo dell’efficienza consentire di anticipare l’accesso alla pensione può inoltre favorire una migliore organizzazione del lavoro da parte delle imprese, soprattutto se si dà corso a piani condivisi con i lavoratori sulla programmazione dei pensionamenti e sul turnover occupazionale.

Introdurre in modo ragionevole flessibilità nella definizione dell’età pensionabile richiede, naturalmente, di affrontare dettagli che al solito possono porre molti problemi.  Il primo riguarda l’aggravio per il bilancio pubblico. In realtà, dato che la maggior parte della prestazione delle coorti vicine al pensionamento si basa sulla formula contributiva, si potrebbe introdurre un pensionamento ad età flessibile senza ulteriori vincoli (come era peraltro previsto dalla riforma del 1995), consentendo a tutti, raggiunta una certa età, di ritirarsi con una riduzione della quota retributiva della pensione (circa il 3 per cento per ogni anno di anticipo rispetto all’età legale) a  compensazione della sua percezione per un numero maggiore di anni. Se ben definita, una misura di questo tipo non avrebbe impatti sul bilancio pubblico nel lungo periodo e migliorerebbe il benessere dei lavoratori ampliando le loro opportunità di scelta, senza peggiorare la situazione di nessuno.

Rimarrebbero due criticità: l’impatto sul bilancio di breve periodo dovuto al più elevato flusso di pensionamenti nell’immediato e l’esigenza di tutelare in modo selettivo i più svantaggiati.

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La prima criticità è molto sovrastimata dalla tendenza a ipotizzare che tutti si ritirino appena raggiunti i requisiti minimi. Ma è molto plausibile che non sia così, come confermano alcuni dati: quota 100 – pur non prevedendo penalizzazioni dell’importo – è stata richiesta da poco più di 250mila individui (un terzo dei quali disoccupati) a fronte degli oltre 600mila stimati dal Def per il 2019-2020; l’Ape volontaria, che prevedeva una penalizzazione monetaria, è stata richiesta da poco più di 30mila individui; “opzione donna” che si basa sul ricalcolo contributivo, ha interessato nel 2019 circa 18 mila lavoratrici. In tutta probabilità, quindi, l’impatto di cassa di una misura come quella qui esposta sarebbe limitato.

Equità e efficienza

Rimarrebbe la seconda criticità: come offrire ai più svantaggiati una tutela che non riduca prestazioni già non generose e non sia limitata alle poche categorie che svolgono lavori «gravosi» o «usuranti» (nel 2020 solo 6mila individui hanno usufruito dell’Ape sociale). Su questo tema bisognerebbe avviare una riflessione, scientificamente fondata, sulla gravosità delle mansioni, sui rischi occupazionali in età anziane e su come le mansioni influiscano su salute e aspettativa di vita.

Dunque, appare possibile disegnare le condizioni di accesso al pensionamento con benefici per l’equità e l’efficienza. E questo sarebbe precisamente il compito del welfare state, che deve proteggere dai rischi sociali in modo efficiente prevedendo gradi diversi di tutela da quei rischi per soggetti in diverse condizioni. La flessibilità, quando è buona, fa esattamente questo.

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