Fino a ora la Gran Bretagna ha goduto di una posizione tale che ne ha fatto l’unica porta europea, realmente efficiente per ragioni di politica fiscale, per l’ingresso in Europa di opere d’arte e oggetti di collezionismo. Il suo primato nel mercato europeo, però, potrebbe andare perso dopo la Brexit a tutto vantaggio di chi, tra gli altri paesi europei, saprà approfittare della situazione con una rapida riforma fiscale e doganale.

Verrebbe infatti meno quella che è una eccezione all’interno dell’Unione e che ha attirato molti mercanti d’arte, anche e soprattutto i più importanti galleristi italiani che – non è un segreto – per essere competitivi hanno spostato la loro sede principale a Londra, lasciando nel nostro paese poco più che una vetrina.

Il periodo di transizione

Al momento nessuno sa ancora bene cosa succederà. Tutto è appeso alla trattativa sull’accordo sul commercio e questo rende incerta la situazione dal 1° gennaio 2021 quando finirà il periodo di transizione della Brexit.

Con le attuali regole, fino al 31 dicembre, per far entrare opere d’arte in Europa tramite il Regno Unito si paga solo un imposta del 5 per cento (a fronte del 20 per cento applicato in contesti commerciali che riguardano altri beni), la più bassa in assoluto di tutti gli altri paesi europei, e nessun altro dazio è dovuto per i successivi spostamenti delle opere all’interno dell’Unione.

I professionisti che importano arte da paesi extra europei hanno nell’attuale regime addirittura due alternative: pagare subito la tassa del 5 per cento o importare l’opera in un regime di “tax-suspended”, per poi pagare l’imposta successivamente, nel momento in cui l’opera viene venduta. Non si sa ancora con esattezza cosa accadrà dopo.

Per questo il consiglio degli art lawyer di Oltremanica è quello di approfittare di questo (ancora molto breve) periodo di transizione, e nel medio termine di chiedere invece specifici pareri per avere il quadro aggiornato delle regole di importazione britanniche, che potrebbero essere diverse a partire dal 1° gennaio.

L’unico dato certo è che le aziende del Regno Unito avranno bisogno di dichiarazioni doganali quando importano o esportano beni da o verso l’Europa. Il governo sta invitando a dotarsi di un intermediario doganale che si occupi di tutta la documentazione, come già fanno le gallerie d’arte o in genere i mercanti d’arte affidando le opere a trasportatori specializzati.

Le imprese inglesi avranno bisogno di un codice Eori (Economic Operator Registration and Identification), che inizi con Gb, per importare beni, a partire dall’inizio del nuovo anno. In sostanza devono prepararsi a non avere più i benefici del regime ancora in vigore. Il solo vantaggio per chi regolarmente importa beni è quello di poter beneficare di un duty deferment account, che abilita tali soggetti a pagare in un’unica soluzione mensile, invece che per ogni singola spedizione, il totale dei diritti doganali dovuti.

Infine, quando vengono esportati dal Regno Unito oggetti d’arte che abbiano un interesse culturale e raggiungano o superino soglie prestabilite di età e valore, esistono allo stato due separati regimi di licenze di esportazione. È richiesta infatti una licenza Uk per movimentare tali oggetti d’arte verso un altro paese europeo, e una licenza Eu per esportare l’opera d’arte di interesse culturale verso un paese extra europeo.

Dal 1 gennaio 2021 verrà meno in tali casi la necessità di una licenza europea e quelle rilasciate prima di questa data rimarranno valide, per permettere l’uscita di beni culturali dai confini britannici, fino alla loro naturale scadenza (in genere tali licenze hanno validità di 12 mesi).

È evidente quindi come l’ecosistema inglese non sarà più quello in cui i mercanti dell’arte si sono abituati a lavorare e a prosperare. Chissà che nel frattempo non siano in corso anche altre manovre, da parte di qualche stato europeo più consapevole del fatto che tentare di rimpiazzare l’Inghilterra come porta di ingresso in Europa per gli oggetti d’arte e di collezionismo sarebbe decisamente un buon affare.

Speriamo che i “nostri” siano in ascolto, se veramente hanno a cuore la posizione del nostro paese nel mondo dell’arte.

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