C'è poca ecologia nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, quello che abbiamo imparato a chiamare più velocemente Pnrr. Anche se bisogna a essere onesti intellettualmente mai nella storia una mole di risorse di questa portata avevano investito il nostro Paese; e ovviamente questo discorso vale, ancor di più, per l'ecologia. Il Recovery plan sembra più il frutto di un processo di matematica applicata alla società. Cosa che però si scontra con i bisogni e le necessità italiane. Soprattutto se cerchiamo di offrire una visione di medio lungo periodo alla strategia del Paese. Quello che serve ora è dare un'anima a questo Piano.

Il documento

Leggendo il documento - che presto sarà inviato alla commissione Europea - viene da riflettere: l'introduzione del premier Mario Draghi basterebbe ma i capitoli e le missioni andavano delineate, seguendo il principio del “non nuocere all'ambiente”.

Ma la “rivoluzione verde” promessa così, non basta. Chiediamo a Draghi un incontro urgente per parlare della vera sfida che ci attende, quella che si apre adesso: la messa a terra di quanto descritto nel Pnrr e del fatto che la sua attuazione non può contare soltanto sulla personalità del presidente del Consiglio. Di fronte ai provvedimenti per l'attuazione del Piano il Parlamento non potrà essere ignorato dal governo, specie dopo aver scelto una composizione politica che tiene insieme praticamente quasi tutti i partiti. Riforme, decreti, leggi per sistemare gli oltre 220 miliardi del Recovery plan non dovranno essere soltanto votate ma avranno bisogno di essere vagliate e monitorate.

Pregi e difetti

L'ecologia è troppo poca anche se, dove c'è, riesce a trovare in alcuni punti il giusto spazio: come per esempio l’assenza di finanziamenti diretti al progetto di stoccaggio della CO2 di Eni a Ravenna – che però il Ministro Cingolani non ha voluto escludere e anzi ha provato a promuovere -, dell’inserimento delle smart grid, degli elettrolizzatori per 1 GW, delle bonifiche, delle comunità energetiche, e dell’agro-voltaico. Siamo allo stesso tempo preoccupati su alcune caselle, sulle garanzie per la governance, e sugli impatti di genere, generazionale ed ambientale. Sorgono dubbi sullo sbilanciamento dei saldi sull'idrogeno e sull'Alta velocità, perché un vero piano per il clima dovrebbe puntare di più su rinnovabili, efficienza energetica, ricerca, trasporto pubblico locale, lavoro green, giovani e donne. Per cui si continua a fare troppo poco, come giustamente evidenziato dal network “donne per la salvezza”.

Un piano opaco

Questi dubbi sono stati condivisi da FacciamoEco in questi giorni con associazioni, partiti, movimenti esclusi dal confronto e da un serio e reale dibattito pubblico: siamo di fronte a un Piano per certi aspetti opaco. Al Pnrr non mancano certo i titoli, che nella loro enunciazione sono corretti. Ma sullo svolgimento degli argomenti c'è molto da fare. Aspettiamo per esempio di vedere, gli allegati tecnici e quale sarà l'impostazione della riforma fiscale e quale peso avrà la leva ambientale.

Insomma , poteva andare meglio sulla teoria, ed è per questo che con FacciamoECO alla Camera abbiamo deciso di astenerci, di sospendere il giudizio. L'impegno adesso sarà rivolto a un costante monitoraggio della pratica nell’interesse del Paese facendoci carico delle perplessità del mondo ambientalista delle imprese delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, e delle tanti voci ascoltate chiedendo che sia dato spazio anche alla valutazione della società civile. Il Piano dovrà essere coerente con la 'giusta transizione' che ci chiede l'Europa, e in linea con le misure per la lotta ai cambiamenti climatici e il sostegno al Green deal.

Sicuramente la matematica non può non far parte di un'operazione di questo tipo, ma la premessa di Draghi – per quanto autosufficiente sui concetti - parlava alla società, si rivolgeva al Paese. E lasciava trasparire un'anima che bisogna recuperare, nella fase di realizzazione con un attento lavoro di ascolto e monitoraggio, contaminando anche a tutto il resto del Piano.

© Riproduzione riservata