Forse è inevitabile: un’emergenza scaccia l’altra. I tempi delle bombe che cadono oggi sui civili in Ucraina sono immediati, come i tempi d'arresto di chi in Russia manifesta per la pace, o i tempi dell'aumento del prezzo della benzina.

In un'altra era, il rapporto pubblicato qualche giorno fa dall’International Panel on Climate Change avrebbe dominato l'informazione. Ora invece è passato quasi inosservato. Eppure era il più dettagliato mai prodotto: 3.600 pagine, nelle quali non ci si limita a fare previsioni, come nel passato, ma si analizzano gli effetti devastanti e mortiferi ormai già innescati.

Non si tratta però di morti immediate, ma di morti invisibili, infilate nelle pieghe di altre voci della contabilità, come vittime della fame e della sete, degli eventi climatici estremi, delle guerre (sì anche delle guerre) causate dal riscaldamento globale.

L’informazione funziona così, e si capisce. Ma la politica? La politica dovrebbe funzionare in modo diverso. "L'arte del possibile", come nella sua più bella definizione, dovrebbe costruire il possibile tra 10, 20, 50 anni, non solo il possibile di domattina.

Ripartono dunque le centrali a carbone e le trivelle, come risposta di emergenza, ma con il timore fondato che molti ne approfitteranno per tornare a quel sistema produttivo che si era convenuto, almeno a parole, di considerare nel lungo periodo insostenibile.

Le connessioni però tra l'immediato e il lungo periodo sono persino troppo evidenti. A parte inviare armi a chi prova a difendersi, tutto il resto che si può portare a compimento solo nel lungo periodo va però iniziato immediatamente: spezzare la dipendenza energetica dalle fonti fossili e dai peggiori autocrati e dittatori; rafforzare la giustizia internazionale; creare una politica europea comune estera, di difesa - includendo dei corpi di pace e di azione nonviolenta - e dell'energia.

Se i partiti elettorali hanno dimostrato di non riuscire a dare priorità al lungo periodo, è inutile aspettarsi che lo faranno d'ora in poi. Servono soggetti politici diversi, che costruiscano la propria azione a partire dal coinvolgimento stabile e duraturo dei cittadini stessi.

A Varsavia nei giorni scorsi abbiamo fondato un movimento paneuropeo di iniziativa popolare e nonviolenta, “Eumans”, che si propone di realizzare obiettivi politici seguendo la strada, invece che della rappresentanza elettorale, della partecipazione civica, da rafforzare  e innovare: referendum, assemblee di cittadini estratti a sorte, Ice (Iniziative di cittadini europei).

La proposta più innovativa e quindi anche più controversa è quella delle assemblee di cittadini estratti a sorte, uno strumento già applicato in realtà come Francia, Portogallo, Irlanda, Spagna. Anche nel corso dell'ultima Conferenza sul futuro dell'Europa convocata ufficialmente dalla Ue, un gruppo di cittadini sorteggiati su base campionaria rappresentativa della popolazione, ha discusso e deliberato su molti temi dopo essere stato formato da esperti.

In Italia, Eumans sta raccogliendo firme sulla la proposta di legge "Cittadini per il Clima", per chiedere l’istituzione di un’assemblea civica sulla transizione energetica e i cambiamenti climatici per affrontare questioni che i politici eletti non hanno il coraggio di discutere: tassazione delle emissioni, sussidi alle fonti fossili, crescita demografica, allevamenti intensivi.

Sulla guerra come sul clima è necessario che i governi e i partiti non siano gli unici protagonisti della discussione. Se non vogliamo restare intrappolati nelle dinamiche del passato, riproducendo inevitabilmente gli stessi esiti, i cittadini europei che condividono un obiettivo devono potersi aggregare direttamente, senza passare obbligatoriamente da organizzazioni nazionali e dalle dinamiche elettorali.

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