Quello che sta accadendo nel rapporto tra il potere e la cultura nel tempo della destra al governo purtroppo non smette di sorprenderci. Rappresenta un’infelice combinazione tra il peggior esempio del manuale dell’esercizio della lottizzazione, l’inefficacia delle scelte e un’ansia iconoclasta degna di Torquemada che lascia senza parole anche i detrattori più prevenuti.

Per chi crede che una grande istituzione culturale come la Rai dovrebbe essere indipendente dal potere e avere una missione pubblica, le scelte che si susseguono sono un vero colpo al cuore.

Non si tratta di esercitare un’egemonia – giustificazione che spesso la destra al governo sembra affannarsi a cercare – o perlomeno provare a farlo, magari proponendo figure artistiche alternative e in passato marginalizzate, se ce ne fossero. La scelta è quella di isolare le voci scomode o semplicemente plurali.

L’antimafia abbandonata

Abbiamo già visto allontanare o minacciare artisti che hanno preferito scegliere di andare altrove. Adesso si arriva addirittura alla scelta di non mandare in onda un prodotto culturale già realizzato: la trasmissione di Roberto Saviano appunto, dedicata ad un tema urgente ed attuale come la criminalità organizzata. Una trasmissione antimafia.

Solo questo basterebbe a sancire in qualunque paese normale una continuità operativa, lasciando a valutazioni successive la decisione eventuale se continuare o meno con il progetto.

Si tratta di opportunità anche economiche legate ad una operazione produttiva di natura civile capace di costituire anche un più che probabile successo di ascolti. Parliamo di un prodotto Rai già pagato anche con i soldi dei contribuenti.

Ma si tratta soprattutto del profilo che – come azienda culturale pubblica, fabbrica del pensiero e della creatività – ci si vuole dare rispetto a ben due delicatissime questioni: il rapporto con la cultura della legalità e quello con l’indipendenza dal potere.
E allora in un colpo solo, per effetto di un editto ministeriale, i vertici Rai dimostrano timidezza verso le mafie e sudditanza con il potere.

Il governo piglia tutto

Un potere – quello dell’esecutivo – che in questi giorni ha dimostrato di essere particolarmente interessato ad occupare spazi di autonomia, di confronto e discussione.

Basta guardare alla vicenda del Centro sperimentale di cinematografia, dove la nomina dei componenti del Comitato Scientifico è stata posta sotto il controllo del governo con un emendamento al decreto pubblica amministrazione bis.

Oppure osservare il completo stravolgimento del ministero della cultura promossa dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, con un emendamento a margine dello stesso decreto, con una lesione grave all’ autonomia ed all’indipendenza della struttura tecnica di quel Dicastero.

Saviano non è Facci

Tornando a noi. Saviano può piacere o non piacere, si possono condividere o si può dissentire dalle sue opinioni, ma è fuori discussione quale sia la sua portata culturale e quali conseguenze questa scelta assurda porterà alla credibilità della Rai già maltrattata dalle ripetute assurde ansie ideologiche di un management più impegnato a dimostrare lealtà che a progettare futuro.

Paragonare questa operazione di censura per far tacere una voce importante nel paese con l'esclusione di Filippo Facci, che ha pesantemente insultato la ragazza che ha denunciato una violenza sessuale su cui la magistratura sta indagando, è un insulto al buonsenso, all'intelligenza e alla decenza.

Con Saviano si è voluto colpire quello che si considera un nemico politico. Un'operazione non degna di un paese democratico e di un’informazione libera e realmente democratica.


L’autrice è deputata e responsabile del dipartimento scuola all’interno della segreteria del Partito democratico

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