La priorità principale alla quale sta lavorando il ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani è quella climatica, cioè inserire nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) gli investimenti necessari alla decarbonizzazione dell’economia italiana, come ha ribadito in un recente incontro con una delegazione di Greenpeace.

La bozza ereditata dal governo Conte si rifaceva a obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 e di promozione delle fonti rinnovabili di energia che sono di fatto oggi superati. Per questa ragione, un elemento centrale sul quale valutare la versione finale del Piano che il governo Draghi presenterà alla Commissione Europea riguarda il ruolo delle fonti rinnovabili e – collegate a queste – gli investimenti di adeguamento della rete elettrica e il rafforzamento degli accumuli di rete necessari a gestire quote maggiori di energia solare ed eolica. In termini numerici, si tratterà di portare la produzione da rinnovabili almeno al 70 per cento e di un aumento sensibile degli accumuli di rete.

La questione più urgente, però, è quella di sboccare i processi autorizzativi per le fonti rinnovabili, i cui tempi di approvazione non hanno paragoni in Europa. Questo rallenta lo sviluppo di solare ed eolico, quando per raggiungere gli obiettivi europei bisognerebbe accelerare e di molto: nel 2020, infatti, sono state installati in Italia solo 785 MW mentre bisognerebbe installarne 5-6 mila l’anno. La differenza da colmare è notevole, quindi, e per avere successo è necessario creare un contesto favorevole agli investimenti.

Senza la svolta

In mancanza di una svolta, il rischio è quello di seguire il vecchio Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) dei governi Conte, un piano che manteneva il gas fossile al centro del sistema e prefigurava una curva di crescita delle rinnovabili molto lenta fino al 2025. Quindi non basterà fissare obiettivi rinnovabili più ambiziosi e più coerenti con quelli di riduzione delle emissioni di gas serra, ma servirà anche prefigurare una curva credibile attraverso la quale raggiungerli. E sarà necessario vincere quelle resistenze ideologiche, come ad esempio quelle rappresentate dal ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli, per il quale il solare non deve entrare nei terreni agricoli. Mentre, come dimostrano le recenti linee guida tedesche, è perfettamente possibile far convivere produzione energetica e produzione agricola oltre che utilizzare una frazione minima dei terreni marginali, improduttivi da anni.

Un altro capitolo fondamentale su cui verificare quanto ecologica sarà la transizione disegnata nel Pnrr riguarda la mobilità nelle città. Oltre agli interventi sulla mobilità “soft”, la partita più rilevante riguarda il ruolo della mobilità ferroviaria regionale e locale – da sempre cenerentola nelle politiche dei trasporti – sulla quale spostare il peso degli investimenti che, nella bozza di Conte, erano invece concentrati sull’Alta Velocità. Vanno invertite le priorità. E quanto alle infrastrutture di ricarica elettrica, il numero di colonnine da installare era nella bozza di Conte pari a sole cinquemila unità, quando ne servirebbero venti volte di più.

Agricoltura

Sul tema dell’agricoltura, un obiettivo adeguato per la promozione del biologico è del 40 per cento della produzione al 2030, oltre a una netta riduzione dei capi allevati, seguendo la linea corretta della strategia Farm-to-Fork (verso un sistema agricolo più sostenibile ed equo) che però è in netto contrasto con quelle della Politica agricola comune (Pac) ancorata alla sovraproduzione di carne e latte. Per quel che riguarda l’impatto climatico del settore agricolo, sarebbe necessario stabilire obiettivi chiari di riduzione delle emissioni di gas serra: anche nel breve e medio termine il settore deve fornire contributi assai più incisivi alla lotta al cambiamento climatico e diventare da parte del problema a parte della soluzione.

Infine, la parte della “resilienza”, riguardante la protezione della biodiversità, che deve emergere in modo più incisivo. Servono anche in questo campo obiettivi concreti e misurabili, e quindi gli investimenti necessari, per garantire la tutela della biodiversità marina e terrestre e il ripristino degli ecosistemi degradati come richiesto dalla nuova Strategia europea per la biodiversità.

Le proposte e il sit-in

È necessario garantire il rafforzamento e l’ampliamento dell’attuale rete di parchi nazionali e regionali e di aree marine protette, in linea con l'impegno internazionale assunto dall’Italia di tutelare entro il 2030 il 30 per cento della propria superficie terrestre e marina.

Greenpeace Italia ha raccolto tutte le sue proposte in “Next generation in dieci passi”, un elenco di dieci punti per una vera transizione ecologica. Proposte che saranno al centro del sit-in che si terrà il 15 aprile, alle ore 10, in via Venti Settembre, davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ovvero il dicastero centrale per lo smistamento dei fondi per la ripresa che arriveranno dalla Ue.

Tornando al Pnrr: certo non è un compito facile e non si può attribuire a questo piano il compito di risolvere tutti i nodi. Ma si deve pretendere che ci sia coerenza con gli obiettivi europei e che le altre politiche ordinarie siano coordinate con questi obiettivi, compito affidato al Comitato interministeriale per la transizione ecologica. Poi, oltre a fare un buon esercizio programmatorio che segni una vera svolta verso la decarbonizzazione come ci auguriamo, rimane da vedere se il governo di Mario Draghi rimarrà in campo per realizzare quelle politiche e misure. Ma questa è un’altra storia.

© Riproduzione riservata