Sono cresciuto con i movimenti della pace. Quelli che chiedevano il disarmo, unico modello per una pace globale. Non esiste mai una guerra giusta. 
Nessuna lo è. Il dialogo, le “trattative” le chiamano gli analisti, sono e resteranno sempre la via maestra. 
Siamo invece immersi in una narrazione di guerra. È come se la stampa mondiale ci stia preparando alla scelta irreparabile. Ineluttabile. La guerra.
Non mi piace Putin, non applaudivo chi andava in pellegrinaggio da lui, ma so abbastanza della civiltà russa per sapere di quanto sentimento siano capaci. A noi italiani sembra impossibile pure solo immaginarlo. Noi dove fisicità e sentimento sono stati sopiti da un pragmatismo senza anima.
Sono cresciuto nell’Europa post caduta del muro, mi sono formato politicamente dopo la dissoluzione dell’Urss e la fine della Jugoslavia. Ecco, appunto, i Balcani. Ricordo nitidamente la guerra a pochi passi da noi. Le bombe partite da casa nostra. Le abbiamo già dimenticate, perché fa male pensare che anche noi abbiamo contribuito a far sgorgare sangue innocente. 
Di questa guerra non mi piace nulla. Mi nausea quasi tutto.

Non mi piace l’avanzata inesorabile dell’esercito russo, lo sdoganamento del termine guerra nucleare, le frasi scomposte di Zelensky, l’invio di armi all’Ucraina, il riarmo nazionale, le ambiguità dell’Unione europea, la russofobia, la stampa che abbandona Mosca, togliendo di fatto a noi la possibilità di ascoltare, da voci libere, cosa accada nel paese.
Tutto ciò che sarà possibile, e anche di più, lo dobbiamo fare per i civili ucraini. Aiuti sanitari, cibo, accoglienza senza esitazione. 
Ma mai posso pensare che la via alla guerra possa essere la soluzione. Non posso pensarlo. Ricordo nitidamente la Perugia Assisi del 2003. Il tripudio di bandiere europee e della pace. Le pochissime di partito. Quell’omone di nome Tom Benetollo che, come “lampadiere”, illuminava il cammino di chi stava dietro di lui. È tutto ciò di cui abbiamo bisogno. L’Europa dei politici ha deluso. E quasi 20 anni dopo molte battaglie le abbiamo perse, perché ci siamo persi.

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