Sono ormai una lontana memoria le immagini di una adolescente svedese che affrontava da sola le piazze della sua città. Il suo nome e il suo volto sono stati oggetto di dietrologie e strumentalizzazioni, ma dalla sua seppur nobile solitudine è cresciuto un movimento di (non gregaria) massa che ha coinvolto, in poco più di due anni, milioni di studenti in tutto il mondo. Giovani di tutte le età che sono riusciti a definire, a partire dalla diffusa ambiguità della propria coscienza, cosa significa la crisi climatica.

Oggi quegli stessi giovani sono tornati nelle piazze e nelle strade di tutta Italia. E nel pieno rispetto delle norme di sicurezza anti-Covid-19, hanno dato sfogo alla propria originalità e alla propria passione: come con i bike-strike (scioperi in bicicletta) di Roma e di Carpi; o con il presidio di piazza di Torino, seguito in serata da un concerto musicale. O come a Lucca, da cui scrivo, in cui è stato chiamato sul palco un professore universitario a spiegare ai ragazzi la crisi climatica e le sue possibili soluzioni. Fino alla “piazza piena di scarpe” di Sassari: dove ai lati della stessa saranno lasciate le riproduzioni a grandezza naturale dei leader del G8, con sul petto raffigurato il logo della multinazionale più inquinante del proprio paese. E ai piedi di Donald Trump o di Boris Johnson, i passanti (ironia della sorte), hanno trovato dati e informazioni sulla crisi climatica.

Più forti dopo la pandemia

Siamo stati rafforzati dall’esperienza della pandemia di Covid-19, che nonostante la sua tragicità, ha al contempo rappresentato l’ineluttabilità delle reazioni naturali: l’homo sapiens, quel minoritario colonizzatore che spesso dimentichiamo di essere, è tornato per qualche mese (sperando che non sia costretto a farlo ancora a breve) a percepire se stesso come la celebre “formica” di Leopardi: una briciola abbandonata alla volontà di una natura che, se provocata, sa ben essere malvagia. Infatti la pandemia si presenta anche come il frutto stesso di una crisi climatica mal gestita; ritrovandosi le sue cause, come molti scienziati suggeriscono, nell’invasione degli ecosistemi da parte dell’uomo.

E allora tutto si è fermato. Le fabbriche, il traffico delle città e la quotidiana frenesia di un mondo globalizzato si sono arrese ad un virus cui non è possibile far deviare strada con qualche giro di parole. Allo stesso modo quegli stessi giovani da tempo hanno compreso che la quadratura del cerchio insita nella magica formula dello “sviluppo sostenibile” può rischiare di diventare, se non lo ha già fatto, un grande mezzo di distrazione di massa rispetto alla crisi climatica (che non può essere risolta a parole o a piccoli gesti): e allora servono atti concreti, politiche incisive e, se necessarie, trasformazioni sistemiche.

Non è una data casuale

Il nove ottobre non è una data scelta a caso. Solo una settimana più tardi infatti scadrà il termine per presentare la bozza di proposte di utilizzo dei fondi Next Generation Eu: non è sostenibile perdere anche questa occasione per abbandonare del tutto le fonti fossili costruendo, almeno in Italia, in cui territorio lo consente, una produzione energetica cento per cento rinnovabile.

«Dalle proteste passate alle proposte», spesso ci è stato detto. Ebbene, nonostante il compito di studenti medi e universitari sarebbe, appunto, quello di studiare, le proposte le abbiamo raccolte. Si trovano in Ritorno al Futuro, un piano redatto con l’aiuto di oltre 200 scienziati durante i mesi del lockdown.

Una piano vasto che, a partire dall’abolizione dei sussidi al fossile, un ladrocinio che sperpera risorse che potrebbero essere usate a vantaggio della società, spazia da un grande piano di investimenti pubblici in grado di favorire una radicale transizione energetica e industriale, e di creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro; fino ad un invito ad un ripensamento del sistema agro-alimentare, che è tra le prime fonti di emissioni di gas climalteranti. Un programma da sviluppare però sotto l’egida del più fondamentale dei principi: la giustizia sociale e climatica. Mettendo quindi avanti le fasce sociali che, già deboli prima della crisi sanitaria, adesso lo saranno ancora di più; unite alle decine di migliaia di lavoratori che, nella fase di ripresa economica, rischieranno o stanno già rischiando il posto e dovranno essere tutelati. Ovviamente facendo gravare i costi della transizione sui maggiori responsabili della crisi climatica, dalle multinazionali estrattive a quelle del fossile, fino a tutte le altre grandi realtà produttive insostenibili.

Come un umile Giona, quel profeta della Bibbia che si era rifiutato di portare alla città di Ninive la minaccia della distruzione divina, una massa sempre più folta di giovani avanza: per gridare verità altrettanto profeticamente scomode, ma necessarie. E, come Ninive, che attraverso i “decreti del Re” e le conversioni individuali dei cittadini (che però da sole, come nel nostro caso, non bastano) si salvò, si spera che l’umanità intera possa fare lo stesso.

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