Stop agli aumenti dei tassi di interesse. Schiacciate dall’aumento inflattivo, le famiglie, specie quelle dai redditi minori, rischiano di essere affossate dall’aumento del costo del denaro. Il 69 per cento delle famiglie italiane è altamente preoccupato per l’aumento dei tassi di interesse. Un dato che sale al 79 per cento nei ceti popolari, al 74 per cento al sud, al 75 per cento tra i lavoratori dipendenti e tra i trenta-cinquantenni. 

Metà degli italiani non condivide la strategia della Bce sull’aumento del costo del denaro per frenare l’inflazione e particolarmente avversi sono i ceti popolari (65 per cento). È quanto emerge dall’ultima indagine di giugno 2023 dell’osservatorio Fragilitalia realizzato dal centro studi Legacoop con Ipsos.

Difficoltà e tagli

Per la maggioranza del paese l’incremento dei tassi di interesse è una azione che sta impoverendo le famiglie e sta mettendo a dura prova l’economia nazionale e quella delle famiglie. Il 73 per cento degli italiani ritiene che la strategia di Christine Lagarde stia frenando e danneggiando la micro economia delle famiglie. Una sensazione molto ben presente tra i quaranta-cinquantenni (77 per cento) e nei ceti popolari (76 per cento).

Il 71 per cento dell’opinione pubblica sottolinea che la strategia della Bce sta frenando più complessivamente l’economia italiana, in particolare questa valutazione è ben presente nei residenti del centro Italia (75) e delle isole (73), nonché tra i ceti popolari (76). I danni rilevati dai cittadini non sono astratti ma ben concreti.

Complessivamente il 49 per cento degli italiani ha già dovuto fare delle rinunce a seguito dell’aumento dei tassi di interesse, con famiglie che hanno dovuto tagliare anche più cose. Il 16 per cento ha dovuto rinunciare a cambiare i mobili di casa (21 per cento nel mezzogiorno e 24 tra i ceti medio bassi). 

Il 14 per cento ha dovuto rinunciare ad acquistare un elettrodomestico a rate (21 per cento nel sud d’Italia e 21 per cento tra i ceti popolari). Il 13 per cento ha rinunciato ad acquistare una macchina a rate (18 per cento nei ceti popolari). Il 10 per cento ha deciso di non ricorrere a un piccolo prestito necessario per il futuro della famiglia (18 per cento tra i ceti popolari). Sempre il 10 per cento ha deciso di bloccare la ricerca di una nuova casa (il dato sale significativamente al 14 per cento tra le persone di età compresa tra i 31 e i 50 anni). L’8 per cento degli italiani ha fatto retromarcia dall’idea di acquistare una moto o un motorino (13 per cento dei i giovani tra i 18 e i 30 anni). Infine, sempre l’8 per cento ha dovuto rinunciare a chiedere un prestito per la propria attività lavorativa o professionale (16 per cento tra i giovani).

L’impatto del rincaro dei tassi di interesse rischia di bloccare il mercato immobiliare. Ne sono convinti il 66 per cento degli italiani, con il 42 per cento che pensa a un rallentamento e il 24 per cento che prevede una brusca frenata.

Timori e rischi

La vastità degli effetti negativi fa ritenere alle persone che la Bce non abbia le idee chiare. Per il 35 per cento degli italiani Lagarde non ha una strategia e sta solo rincorrendo l'inflazione senza una visione di lungo termine. Per un altro 34 per cento la numero uno della Bce sta seguendo una strategia di massima e procede a tastoni. Solo l’11 per cento riconosce una strategia chiara e definita.

I dati evidenziano i danni collaterali della strategia adottata: come sempre i ceti abbienti sono poco scalfiti dalle scelte, mentre il peso ricade sui ceti più bassi e popolari, sui giovani e sui residenti nelle regioni più fragili. Le persone rinunciano a cambiare elettrodomestici, motorini, auto (quelle che si dovrebbero cambiare per diventare più green). I giovani che già hanno molte difficoltà a farsi una casa, sono ancora più penalizzati (quelli che dovrebbero essere sostenuti per far riprendere la natalità). Le piccole imprese non investono e rinunciano ai loro progetti perché stanno diventando troppo costosi (quelle che dovrebbero essere sostenute nell’innovazione, nell’affrontare il futuro, nell’assumere).

Il rischio che stiamo correndo è quello che, per evitare di cadere nella spirale dell’inflazione, stiamo cadendo in quella della recessione. Sono gli stessi dati del Fondo monetario internazionale che denunciano quanto l’aumento inflattivo di questi mesi sia generato non dall’aumento dei costi delle materie prime, ma dalla crescita dei profitti delle imprese. Forse è arrivato il momento di ripensare in radice le politiche economiche e monetarie e di mandare in pensione le solite ricette che negli ultimi trenta anni hanno generato più disuguaglianze, povertà e iniquità.

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