Esami di maturità, valutazioni e gestione dei docenti mostrano tutte le conseguenze di vent’anni di autonomia sulla scuola. L’intervento di Giovanni Ceschi, Presidente di Docet, Associazione insegnanti della provincia di Trento
Dal 1998 gli insegnanti trentini sono dipendenti provinciali. Nel 2006 un’apposita legge ha normato la competenza concorrente del Trentino sull’istruzione. Chi voglia analizzare alla prova della realtà gli effetti dell’autonomia differenziata ha quindi un laboratorio bell’e pronto: in trent’anni d’autonomia il Trentino si è trasformato in un groviglio di alambicchi dove sobbollono pozioni velenose per la libertà dell’insegnamento e dove un incantesimo dell’invisibilità ha imprigionato i docenti trentini in un castello stregato.
Nel dicembre scorso ho affrontato sul Domani il problema di costituzionalità della maturità trentina, per la mancata reintroduzione dell’esame a settembre, caso unico in tutt’Italia. Inganno che nasconde le difficoltà più gravi illudendo anzitutto gli studenti, rassicurandoli sulla possibilità di recuperare le difficoltà senza occasioni reali di verifica e creando un sommerso di lacune senza speranza, celate anch’esse con il mantello dell’invisibilità.
E così succede che nell’ultima maturità campionata (2024) elevate percentuali di studenti dei licei scientifici provinciali si diplomino pur essendo insufficienti (21 per cento) o gravemente insufficienti (17 per cento) nella prova di matematica, con punte vicine al 50 per cento al Da Vinci, storico liceo del capoluogo. E situazioni non meno preoccupanti si registrano negli altri indirizzi liceali. Com’è possibile, si dirà? Perché si può approdare alla maturità senz’avere mai superato le carenze in una o più materie, anche d’indirizzo, ed esservi ammessi senz’avere conseguito almeno “sei” in tutte le discipline.
Poi come ogni estate arrivano i test Invalsi a scoprire l’acqua calda: che esiste un divario endemico nei livelli scolastici tra Nord-est e resto d’Italia, a sfumare in giù. E in Trentino ci si pasce di tali dati, comunque in netto calo e non comparabili perché qui l’Invalsi non campiona la formazione professionale. Si occulta il crollo di competenze con una strategia sistematica di pompaggio dei voti all’esame: perché premendo sulle commissioni affinché aumentino i punteggi finali, e i cento, e le lodi, si attutisce l’impatto statistico delle carenze e si mostra un incantevole castello; tanto gli spettri di un passato non risolto saranno affari degli studenti in un’altra vita, all’università o sul lavoro.
Succede poi che qualche liceo, come il classico Prati di Trento – per tradizione, personalità meno provincialesca di chi v’insegna e di chi lo dirige, attitudine alla sperimentazione didattica vera – insomma, succede che un liceo così abbia l’impudenza e l’imprudenza di guardare in faccia la realtà. E senza estremismi o isterismi, anzi garantendo un’attenzione (non pelosa: autentica) agli studenti, continui a fare ciò che è normale per un liceo: a insegnare come si affronta la vita là fuori con strumenti di cultura e di pensiero.
Si badi bene: numeri di bocciati e “riorientati” in tutto paragonabili a quelli degli altri istituti. Che si fa, con un liceo così? Si prova a demolirlo nella sua credibilità, stima e autostima, mandando una specie d’ispezione, ma senza garanzie di rito (verbali, analisi quantitative e comparative serie) e – visto che l’operazione non dimostra il teorema: ché studenti e genitori sanno stupirci ancora per la ritrosia ad affondare ciò che amano o almeno avvertono onesto – si agisce a livello mediatico, creando il caso e sbattendolo in prima pagina. Il castello stregato va difeso: chi prova a scappare e a raccontarlo dev’essere pietrificato.
C’è quindi un grave problema di democraticità, nella scuola trentina. Perché dove il potere politico, amministrativo, burocratico e persino giudiziario è così incombente e opprimente, come nel giardino di un simile castello, che ha un numero di abitanti paragonabile a un quartiere di Milano, ecco, lì è facile fare la voce grossa e la faccia feroce, mostrando con la repressione mediatica che fine fa chi osserva che il re (o la regina) è nudo.
Un’ultima domanda: perché queste pressioni sulla libertà d’insegnamento e questa filiera del comando nella scuola trentina? Perché si è voluto trasformare gli insegnanti in sudditi, anche mediante la satrapia della dirigenza scolastica? Perché solo così il castello può reggersi in piedi. Ma un simile incantesimo si sta sgretolando tra le mani di chi ha ordito l’inganno collettivo, celando interessi politici, economici e di visibilità personale – è lo scandalo vero – dietro la maschera del «bene per gli studenti».
Diventerà un caso di scuola sulla Scuola, quello del Trentino: che porti a diffidare da chi esalta le magnifiche sorti e progressive di un mondo che pretende di autogovernarsi con tanta presunzione (imponendo, foss’anche il castello delle meraviglie, il prezzo incostituzionale di un’istruzione a macchia di leopardo) ma ancor più, che spinga a difendere a tutti i costi il bene più prezioso che possediamo: il futuro delle nuove generazioni.
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