La nascita del governo Draghi si giustifica con l’emergenza, ma serve a ciò che verrà dopo. Non possiamo non tenerlo a mente se vogliamo costruire una prospettiva politica e non solo rispondere all’esigenza emotiva del momento. Draghi, lo abbiamo capito dal suo discorso in Senato, non è qui per gestire con strumenti molto diversi dal recente passato una terza ondata pandemica che si annuncia minacciosa. Era già chiaro quando ha accettato il sostegno di nazionalisti e cripto-negazionisti della Lega. È qui per fare altro e lo ha chiarito: impostare una nuova politica economica, relazionarla ai nuovi orientamenti che si annunciano in Europa, gestire la complicata fase di transizione tra l’emergenza e l’avvio della ripresa economica.

Il dibattito europeo

Sappiamo che in Europa la discussione è già cominciata, e vede in agenda il ritorno delle regole sul deficit e del Patto di Stabilità forse già per il 2022. Al vertice dei ministri economici dell’Ue (Ecofin) il vicepresidente della Commissione Dombrovskis ha delineato gli assi delle scelte future: ritiro graduale delle misure di contenimento, aiuti pubblici solo a favore di quelle grandi aziende che erano sostenibili già prima del covid, graduale rimozione delle misure di supporto fiscale. Decisioni che condizioneranno le politiche italiane a medio termine, quelle su cui è lecito immaginare che Draghi potrebbe vigilare e garantire in futuro da una posizione diversa da quella attuale, come il Quirinale.

Nel frattempo si tratta di tracciare la strada e impostare il Recovery Plan, seguendo la strategia già illustrata nella relazione al gruppo dei 30 a Dicembre e ribadita in Senato. Quella della “distruzione creatrice”: investire selettivamente il denaro pubblico sulle imprese già abbastanza forti per farcela, lasciar morire le altre scommettendo sulla ricollocazione degli addetti coinvolti.

Una scommessa difficile per tutti, anche per i paesi del nord-Europa, ma più gravida di rischi e conseguenze per l’Italia il cui tessuto di imprese è più fragile, caratterizzato dalle piccole dimensioni e dal legame condizionale con l’andamento del mercato interno. Ci saranno degli effetti collaterali, la ristrutturazione/ricostruzione proposta poggia sulle molte ricette già sentite nei think-thank neoliberali, ha caratteristiche ambivalenti e molti buchi.

Le vittime

Da un lato il deciso passo avanti su innovazione e ricerca per far fronte ai cambiamenti climatici, utile anche a recuperare competitività sui mercati, una giusta direzione di marcia sulla sanità territoriale, dall’altro nebbia intorno agli strumenti necessari per maneggiare ciò che brucia: l’esclusione sociale, la povertà educativa, lo sfruttamento nel mondo del lavoro, i bassi salari, la precarietà, l’abbandono del sud, l’eccessiva concentrazione di ricchezza, la privatizzazione dei beni comuni, la sfida delle migrazioni.

Draghi rassicura e prende per mano chi si prepara ad agganciare la ripresa, ma non ha che poche parole per chi invece rimarrà ai margini. Dimostra di conoscere l’esistenza dei problemi, parla di povertà, diseguaglianza e disoccupazione, ma non rassicura, non mostra la strada, non spiega come intende proteggere chi ne è vittima. Non una parola sul blocco dei licenziamenti, su quello degli sfratti, sul destino delle piccole imprese e dei loro lavoratori, su come riportare a scuola i tanti ragazzi che l’abbandonano, sulle periferie materiali e immateriali, sul mondo della cultura al collasso, sulla logistica che sfrutta, sulla cittadinanza dei bambini nati in Italia.

La riforma fiscale rimandata ad una commissione, con una sola indicazione: si può mantenere la progressività abbassando le aliquote sui redditi maggiori e alzando la soglia di esenzione.

Tradotto: pagano sempre i ceti medi. Il rilancio dell’economia affidato ai privati, attraverso formazione e riconversione, ma in assenza di nuovi diretti interventi dello Stato nella politica industriale. Il futuro del sud nelle mani dei sempre auspicati investimenti privati nazionali e internazionali, da attrarre col credito d’imposta, da proteggere dall’illegalità senza che venga chiarito con quali strategie combattere davvero le organizzazioni criminali.

Chi pagherà?

Alla fine del discorso è chiaro il destino dei salvati, non è chiaro chi pagherà il loro salvataggio, è palese che non c’è molta fiducia nella possibilità di salvare i sommersi. Ho ascoltato quasi tutti i senatori parlare di speranza e ottimismo, di un messaggio che insiste sulle opportunità più promettenti, sulla retorica dell’eccellenza. Un messaggio da vincenti, in una paese in cui tanti oggi si sentono sconfitti. Qualcuno dovrà occuparsi di quelli che lo resteranno, delle vite di scarto, quelle di cui parla ampiamente “Fratelli tutti”, l’ultima enciclica del Papa, riaffermando il valore della solidarietà e della fratellanza. Sarebbe stato bello fosse stata citata da Draghi accanto all’altra, come parte integrante di un cambiamento ecologico e sociale. Invece ancora una volta non si vede una politica pensata per portare tutti e tutte, anche gli ultimi, anche i più deboli, nel futuro.

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