Le cose si stanno mettendo davvero male e il governo Conte dimostra ogni giorno di non essere in grado di gestire la più grave recessione del Dopoguerra. A questo punto c’è da essere pessimisti anche su 172 miliardi di aiuti europei, più i possibili 37 del fondo salva Stati Mes: se anche arrivassero davvero, il governo Conte ha già creato le condizioni perché si trasformino in carburante per i tipici sprechi all’italiana, invece che nelle basi per una nuova crescita sostenibile.

Partiamo dai numeri: la Commissione europea ha presentato ieri le stime d’estate sull’andamento delle economie dell’Unione. Indovinate qual è il Paese che sta andando peggio? L’Italia, ovviamente. Il Pil 2020 dovrebbe crollare dell’11,2 per cento. A fine aprile il governo ha approvato il Documento di economia e finanza che prevedeva un calo dell’8 per cento. Un errore del 50 per cento, purtroppo.

Inutile farsi illusioni: non ci saranno riprese rapide, nessun andamento a “V” del ciclo economico con immediata risalita dopo il tracollo. La Commissione europea avverte che le cose andranno peggio, nel resto del 2020, prima di andare meglio nel 2021. Ma le previsioni a sei mesi sono un azzardo di questi tempi, quindi l’unica certezza al momento è che andranno peggio.

Di fronte a questo scenario catastrofico, cosa fa il governo? Approva l’ennesimo decreto legge, il tanto sospirato provvedimento sulle “Semplificazioni”. Prima di parlare del merito una questione di metodo: per la milionesima volta, questo governo ha convocato un Consiglio dei ministri in serata, lunedì, ha deciso nella notte, ha fornito ai giornalisti soltanto una presentazione di slide colorate (meglio note come propaganda) ma nessun testo ufficiale, nessuna simulazione, nessun documento preciso che giustifichi le decisioni adottate. “La democrazia muore nelle tenebre”, è il motto scelto dal Washington Post. Si applica bene anche a quello che stiamo vedendo in Italia in queste settimane.

In una conferenza stampa basata come al solito sulle asimmetrie informative - che domande possono fare giornalisti che non hanno alcun testo definitivo in mano? - Conte ha presentato come riforme innovative un provvedimento che è la negazione di tutto quello che il suo partito di riferimento, i Cinque Stelle, ha sempre predicato: la sospensione di tutte le gare di appalto in Italia fino al 31 luglio 2021. Si procederà con affidamenti diretti o procedure su invito. Fino a 5 milioni di euro, quindi, la pubblica amministrazione non affiderà i lavori all’impresa con l’impresa migliore ma a quella decisa da un funzionario.

Voi vi fareste ristrutturare casa dal primo muratore che incontrate per strada, senza trattare sul prezzo o sulla qualità del lavoro? Io no, ma lo Stato italiano ha deciso di sì.

Certo, c’è stato il Covid e bisogna far qualcosa per far ripartire l’economia. Ma il problema sono le gare d’appalto? In sintesi la risposta è no.

Il famoso codice degli appalti del 2016, tanto contestato e che ora viene sospeso, non ha rallentato i lavori. L’Anac, l’autorità anti-corruzione lo dimostra in ogni rapporto annuale. Eppure ogni anno la politica finge di non accorgersene e ricomincia con la litania che per aprire i cantieri bisogna sospendere le gare.

Ecco il grafico presentato dall’Anac nella relazione di luglio: a parte il primo anno di aggiustamento, poi il codice degli appalti non ha rallentato i lavori.

Il governo Conte 2 usa però la scusa del Covid per completare quello che era uno dei pilastri del Conte1 giallo-verde: eliminare la competizione tra imprese e dare piena discrezionalità ai funzionari, e dunque ai politici locali a cui rispondono, nell’affidare i lavori. E’ il sogno di ogni amministratore, anche di quelli onesti ma soprattutto di quelli corrotti, dispensare denari pubblici senza dover giustificare le proprie scelte e senza troppa burocrazia.

L’Anac aveva suggerito al governo come accelerare le gare senza cancellare la competizione, bastava usare eccezioni già previste dal codice degli appalti per dimezzare i tempi. Ma il governo Conte 2 ha completato l’opera del decreto Sblocca cantieri del Conte 1: per gli appalti fino a 150.000 euro servivano almeno tre preventivi. Ora neanche più quelli. Decide tutto il funzionario. Come gli pare e senza dover rispondere delle proprie scelte, viste le protezioni che il decreto Semplificazioni gli attribuisce.

Percepisco il vostro scetticismo: avete visto crollare il ponte di Genova nel 2018 e lo avete visto (quasi) ricostruito nel 2020 senza gare e con un commissario, il sindaco Marco Bucci, che spendeva senza lacci o burocrazia. Ma ha funzionato perché Genova era l’eccezione, non la regola: tutti gli occhi del Paese erano puntati sulla Liguria, la politica non poteva permettersi di sbagliare, i concorrenti di WeBuild hanno evitato di far ricorso per l’assegnazione discrezionale dei lavori soltanto per rispetto ai morti del ponte. Ora che Genova diventa la regola, cosa succederà?

So di predicare nel deserto, perché avete sentito ripetere da telegiornali, quotidiani e persino dai Cinque Stelle una volta intransigenti su queste cose che il problema dell’economia italiana è l’assegnazione degli appalti. Beh, è semplicemente falso.

Per ottenere l’impatto massimo dei soldi pubblici sull’economia italiana devastata dal Covid servivano altre cose. Per esempio bisognava permettere ai Comuni di pagare le imprese fornitrici durante i lavori e non soltanto alla consegna del progetto: le regole attuali costringono i sindaci a tenere immobilizzate risorse disponibili sui conti correnti ed espongono le imprese a rischi di liquidità. Oppure si poteva agire sui tribunali: uno studio recente dimostra che dove ci sono corti più rapide ed efficaci nel gestire i contenziosi, i ritardi sono inferiori.

Il governo ha approvato un decreto Semplificazioni che serve soprattutto a semplificare la campagna elettorale in vista delle elezioni regionali di settembre: affidare lavori senza gara è un ottimo modo per consolidare il consenso prima di un voto delicato.

Speriamo che in Olanda o in Germania trovino la prosa delle bozze del decreto troppo ostica e che rinuncino a tradurlo. Perché altrimenti i partner europei che considerano l’Italia un Paese inaffidabile, propenso al clientelismo e compiaciuto della propria inefficienza, troverebbero nuovi e solidi argomenti per chiedere che dal bilancio europeo a noi venga dato il meno possibile.

Il governo Conte ha dato un messaggio chiaro con il decreto di oggi: la priorità è affidare i soldi europei a discrezione della politica, non l’impatto economico di quegli investimenti.

Con Domani ci impegniamo a monitorare come verranno spesi quei fondi. Ammesso che arrivino, visto che il governo è già molto impegnato a discutere di come spenderli ma dice di non volere i 37 miliardi del Mes e sta ancora negoziando sui 172 che dovrebbero spettarci dal bilancio comunitario.

Se ci sosterrete, saremo più efficaci nella nostra azione di controllo su un governo che preferisce fare tutto di notte e non ama dare spiegazioni.

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