Nel suo intento generale la proposta relativa alla direttiva Ue sull’efficienza energetica degli edifici mi trova d’accordo, ma è evidente che la sua attuale impostazione rischia di creare gravi danni alle famiglie e al patrimonio edilizio dell’Italia. A essere sbagliati sono innanzitutto le modalità e i tempi di applicazione della direttiva, che crea problemi e costi esorbitanti per i proprietari di abitazioni e non tiene conto delle specificità nazionali e territoriali del patrimonio immobiliare. Per l’Italia, la normativa di fatto imporrebbe ai proprietari di immobili, con il rischio di sanzioni in caso di inadempimento, l’obbligo di ristrutturare due edifici su tre entro il primo gennaio del 2030. Secondo i dati dell’associazione dei costruttori (Ance), si tratta di oltre nove milioni di edifici sui 12,2 totali. L'importo complessivo di questi interventi è nell'ordine di decine di miliardi di euro a carico dei proprietari. Questo significa, però, non considerare le condizioni socioeconomiche delle famiglie italiane che abitano in immobili con classe energetica F o G, cioè le classi da adeguare (il 60 per cento circa delle abitazioni residenziali), nuclei familiari che sono spesso anche quelle con minori disponibilità finanziarie e gran parte di essi si trova inoltre nel meridione.

Quanto ci costa

Sarebbe una stangata per gli italiani ma anche una perdita di valore della propria abitazione in caso di inadempimento. Con l’approvazione della direttiva, un immobile con classe energetica bassa diminuirebbe subito il suo valore e sarebbe più difficile da cedere o affittare se non a prezzi da svendita. Il rischio è creare una segmentazione del mercato immobiliare, con le abitazioni non efficientate, cioè la grande maggioranza degli immobili italiani, che perderebbero significativo valore con un impoverimento generale delle famiglie. Questa situazione causerebbe ripercussioni anche sul mercato dei mutui, con le banche frenate nel concedere prestiti per l’acquisto di una casa a classe energetica non adeguata.

Guardando sempre ai dati, è vero che secondo Eurostat gli immobili in Europa vanno ad incidere per oltre un terzo delle emissioni totali di CO2. Ma è vero anche che le stesse stime di Bruxelles indicano una contenuta riduzione totale delle emissioni inquinanti nel caso in cui la classe energetica aumentasse a un livello non inferiore a quello minimo imposto. In definitiva, l’Europa non può scaricare sulle famiglie i costi della transizione energetica. In più occasioni abbiamo evidenziato, come gruppo Ecr al Parlamento Ue, che sarebbe necessario modificare tempi e modalità di attuazione della direttiva, aprendo a una flessibilità nell’applicazione e negli obiettivi che tenga conto delle varie realtà territoriali e un sistema strutturato di incentivi da parte della stessa Ue a sostegno delle famiglie. Inoltre, la fattispecie della direttiva rende la misura più rigida rispetto ad altre.

Il mio parere contrario

Per questo, nei mesi scorsi, in qualità di relatore per il gruppo dei Conservatori per l’opinione espressa sul tema dalla commissione Ambiente dell’Europarlamento, ho espresso parere contrario al provvedimento, sottolineando la mancanza di flessibilità e i termini troppo stretti per l’entrata in vigore della nuova disciplina. Essa rappresenta un ulteriore esempio di come le politiche ambientali varate da Bruxelles siano connotate da una sorta di cieco ideologismo, un tentativo di giustificare qualsiasi provvedimento in nome dell’ambientalismo ma senza tener conto della realtà concreta nella vita dei cittadini.

Nicola Procaccini è il responsabile Ambiente ed Energia di Fratelli d’Italia e siede in europarlamento nel gruppo conservatore (Ecr)

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