Le polemiche sulla direttiva sulla prestazione energetica degli edifici non tengono conto della realtà in cui viviamo: alti costi dell’energia e cambiamenti climatici sempre più tumultuosi. Secondo i dati Oipe in Italia vi sono oltre due milioni di famiglie incapaci di far fronte all’impennata dei prezzi dell’energia, schizzati a livelli mai visti a seguito dell’invasione russa. Oltre 60 miliardi di denaro pubblico sono stati bruciati finora in aiuti a pioggia alle bollette, insostenibili per le finanze pubbliche. La crisi energetica è amplificata da quella climatica. Secondo il Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici, l’impatto di questi cambiamenti può costare fino all’otto per cento del Pil pro capite, acuendo le differenze tra nord e sud, e soprattutto tra fasce più povere e più ricche. Il problema dell’Italia è la sua dipendenza dai fossili come il gas, e le emissioni che ne derivano, non certo la proposta di una direttiva che si pone l’obiettivo di migliorare la performance energetica, la qualità e il valore delle case degli italiani. Dobbiamo organizzarci e orientare risorse ed incentivi per rendere questa grande e positiva trasformazione accessibile a tuttə, e non tentare di resistervi.

Il valore di una casa

La buona notizia è che in Italia abbiamo tecnologie e soluzioni per agire sul settore più energivoro della nostra economia: il settore edilizio. Il nostro parco immobiliare è inefficiente e necessita di interventi di riqualificazione profonda per ridurne il consumo, stimato a circa il 40 per cento dei consumi totali di energia finale del paese. Un’enormità che rende irrazionale ogni scelta che non metta la riqualificazione energetica degli edifici, sia pubblici che residenziali, al centro dell’agenda economica, energetica e ambientale del paese. Già oggi edifici poco efficienti vedono il loro valore diminuire, senza bisogno di aspettare la direttiva: il processo di svalutazione è in corso da decenni, con edifici, soprattutto condomìni, che cadono a pezzi e ormai sono diventati impossibili da gestire a causa dei costi energetici. Nella proposta non ci sono limitazioni della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati. Quanto ai tempi si dà la possibilità, fino al 2035, di derogare agli obblighi di riqualificazione per l’edilizia sociale e gli edifici storici. Il dibattito dovrebbe focalizzarsi su come finanziare e realizzare le ristrutturazioni, non se farle o no.

Per un patto innovativo

Governo, parlamento, parti sociali e società civile insieme al sistema produttivo e alle numerose pmi operanti nel settore, dovrebbero lavorare a un patto per l’efficienza e la riqualificazione energetica degli edifici, per orientare gli investimenti pubblici e privati, nazionali ed europei e dare nuove competenze ai lavoratori. Si dovrebbero ridefinire le priorità del Pnrr non per costruire gasdotti, ma per riqualificare le case, riorientando la spesa pubblica su interventi più strutturali invece che per sussidi a pioggia temporanei. Bisogna stabilizzare gli incentivi fiscali concentrandoli sulle fasce più svantaggiate. Inoltre esistono strumenti come i Certificati bianchi, che dovrebbero essere estesi agli edifici e non gravano sul debito pubblico; dovremmo incentivare strumenti di finanziamento innovativi, dai contratti di rendimento energetico per pagare gli interventi con i risparmi stessi, soprattutto per l’edilizia pubblica, fino all’introduzione di standard per i portafogli ipotecari delle banche volti ad attivare prestiti per migliorare l’efficientamento degli edifici. La direttiva proposta definisce un quadro normativo chiaro e di lungo periodo utile a innescare investimenti, creare crescita, occupazione e proteggere l’Italia dalle crisi energetiche presenti e future. Sarebbe del tutto controproducente se l’Italia si opponesse alla sua adozione in sede europea.

Monica Frassoni è stata co-presidente dei Verdi europei. Oggi presiede la European alliance to save energy ed è candidata in Lombardia nella lista civica per Majorino presidente

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