Lo sconcerto del primo istante si è fatta rabbia, ma ha ragione Giorgio Meletti che lo ha scritto su questo giornale: la tragedia di Stresa più che dell’avidità soltanto è figlia di una totale, colpevole, rimozione della responsabilità. Come per il ponte Morandi, quarantatré vittime, o il viadotto Acqualonga di Avellino, tre di meno. In questo caso gli autori materiali del disastro pare lo abbiano riconosciuto: conoscevano il mal funzionamento dell’impianto, sapevano che il sistema frenante di emergenza poteva bloccarlo e convinti che il cavo portante non avrebbe mai ceduto hanno inserito quei “forchettoni” allo scopo di disattivare la sola strumentazione che per nessun motivo avrebbe dovuto essere vanificata.

La strada breve

Fermare la funivia per le riparazioni necessarie avrebbe impegnato troppo tempo e quindi hanno preso la strada breve: in fondo l’ostacolo mica bisogna per forza oltrepassarlo, gli si può pure girare attorno. Ed è quanto domenica scorsa, la prima di un atteso ritorno alla “normalità”, è accaduto lì, sul Mottarone, come in decine di altri siti, impianti, cantieri, dove la “normalità” è più prossima alla logica canagliesca e, al fondo, assassina del freno sabotato che non a un codice rispettoso di regole, procedure, controlli.

E allora un pensiero, tra gli altri, quella caduta e il prezzo di vite ci impone e riguarda la scuola di pensiero, e la pratica di governo, che in nome di una ripresa più marcata in settori piegati dalla crisi, issando il vessillo della semplificazione contro i vincoli della burocrazia, prescrive l’ennesima correzione (definirla riforma anche no) del codice degli appalti. Si tornerebbe alla prassi già sperimentata dei subappalti con un innalzamento della soglia prevista sinora e l’aggiunta di non prevedere vincoli particolari. Meccanismi utilizzati in passato con l’effetto di alimentare “cartelli” tra le imprese maggiori al fine di ottimizzare i profitti, comprimere la concorrenza, ridurre sensibilmente le spese. A coronamento il ritorno al massimo ribasso per l’aggiudicazione di gare che prevedendo progettazione e lavori in appalto congiunto rendono sicure una o più varianti con annesso aumento dei costi per l’amministrazione pubblica e abbassamento dei livelli di tutela e protezione per i lavoratori.

Farsi furbi

Sotto testo della norma, “fatevi furbi”: il mercato ha scontato mesi di dolorosa chiusura, ma ora non è solo tempo di ripartire, bisogna farlo a velocità sostenuta se intendiamo colmare il gap accumulato. E se per riuscirci è necessario risparmiare sul costo del lavoro e mettere a rischio la vita di qualche poveraccio che di uno stipendio, per quanto basso, campa, bisogna che tutti, comprese le anime belle, se ne facciano una ragione. Almeno fino al giorno, si capisce, in cui da una impalcatura difettosa e mal controllata o da un traliccio isolato con ritardo o da qualunque altro possibile cantiere viziato da regole più blande nel nome della maggiore rapidità non ci si troverà a commentare l’ennesimo lutto sul lavoro col corredo di titoli e dichiarazioni ubriache di retorica. 

L’etica

Dopo la sciagura di domenica i social si sono riempiti di parole e sfoghi su quel primato del denaro che mai avrebbe diritto a soppiantare un’etica del lavoro, del fare impresa, di una manodopera formata e ovviamente della sicurezza come priorità in testa al resto. Adesso sulla morte di quattordici persone sarà la giustizia a far luce perché questo è quanto avviene, o dovrebbe avvenire, quando un delitto si consuma. Ma su potenziali delitti di là da compiersi, ecco su quelli è la responsabilità delle classi dirigenti a dover fare i passi giusti se vogliamo che domani di quella giustizia non vi sia nuovamente un devastante bisogno.

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