Ho letto con interesse e partecipazione la lunga e accorata intervista al Maestro Riccardo Muti. Di fronte al suo grido di dolore la politica non può rimanere indifferente. Siamo di fronte a un passaggio epocale, che ci spinge, anche sotto il profilo della produzione e della diffusione della cultura, su terreni mai prima esplorati, con l'irruzione prepotente di contenuti e metodologie legati alla dimensione digitale.

Ma questo non può farci perdere di vista un aspetto che ritengo centrale, ossia che senza una solida cultura non esiste un popolo, e senza popolo non esiste cittadinanza e dunque democrazia. Su questo va posta la dovuta attenzione. A partire dal Pnrr, che deve diventare occasione per ripensare e rafforzare l'intero sistema delle intelligenze e dei saperi, dalla cultura alla formazione.  Una nuova stagione che interpreti il mondo della cultura e dello spettacolo come formidabile occasione di crescita complessiva della persona e della società, come è avvenuto in tutte le epoche in cui si sono compiuti i "salti di civiltà", quei momenti particolarmente fecondi della nostra storia che hanno lasciato il segno nei secoli.
Il Maestro Muti parla con preoccupazione a un paese distratto, intriso di altre priorità, in cui interventi e progetti, strategie e pensiero nuovo vengono travolti da imperdonabile indifferenza, poca lungimiranza e insopportabile ignoranza. La cultura e le sue manifestazioni vengono mantenute nella dimensione dell'intrattenimento, non in quella dell'investimento e della crescita. Come se il benessere dell'anima non fosse anch'esso un importante tassello del welfare nelle società moderne, e non solo.

La ricchezza culturale, in ogni sua sfaccettatura, determina ricchezza intima per le persone, è base fondante per avere prospettive di cambiamento delle società e stimola l'immaginazione del futuro, a partire dal patrimonio e dalla creatività contemporanea o derivante dal passato e dalla tradizione. Un brand internazionale eccellente, quello della cultura italiana, ed è oltremodo preoccupante il fatto che non se ne avvertano le potenzialità con convinzione.

Lavorare in commissione Cultura in parlamento, avere l'esatta percezione delle potenzialità del settore, confrontare gli investimenti in Italia con quelli degli altri paesi europei, ben più consistenti, mi dà quotidianamente la misura di un paese inadeguato, nonostante gli sforzi che il ministero della Cultura, senza sosta, va compiendo in questi anni. 

Ma non basta. Non avverto quella della cultura come una priorità nel processo di sviluppo del nostro paese tracciato nel Recovery Plan. La mia preoccupazione è che si proceda verso un'innovazione di strumenti e tecnologie, digitali e molto altro, ma che si ponga sempre troppo poca attenzione alle risorse per gli autori, per i protagonisti, per chi fa cultura in generale, per le produzioni. Si tratta di saperi antichi che nelle interpretazioni moderne acquisiscono la contemporaneità che ci sta a cuore. Il messaggio eterno del teatro e della musica, presenti nell'essenza di ogni uomo o donna, trovino il modo di essere espressi e l'innovazione sia di aiuto in questa prospettiva. La diffusione della cultura è essenziale, così come lo è la "formazione alla cultura". E quindi ancora scuola, scuola, scuola ed educazione in ogni fase della vita, perché si formi un pubblico esigente, colto,  capace di apprezzare e di pretendere qualità ed eccellenza.  

L'Italia può provarci con i fondi del Next Generation Eu. Potrebbe perfino riuscirci. E sarà così che l'emozione e le vibrazioni provocate da una musica in un teatro o in una piazza racconteranno di un paese fiero, orgoglioso delle sue radici e in grado di competere o, meglio ancora, di non avere rivali nel settore che lo rende unico in tutto il mondo.

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