Ci sono momenti in cui è imprescindibile avere una visuale ampia per fare tesoro degli errori commessi e dare risposte efficaci. La pandemia ha sottolineato i grandi limiti della nostra società: oggi abbiamo di fronte una sfida epocale e il cambio di sistema è diventato non più una possibilità, ma una vera e propria necessità.

L’emergenza Covid-19 ha infatti evidenziato tutti i limiti della follia liberista, follia che con i tagli alle strutture sanitarie ha reso molto più debole la risposta dello stato, che ha cercato di colmare in emergenza il “gap” dovuto alla mancanza di strutture e di personale sanitario. Tanto che ad un certo punto si è pensato di far lavorare negli ospedali anche i veterinari.

Ma se da una parte il legislatore ha dato prova dell’incapacità di leggere il futuro in prospettiva, gli operatori sanitari danno prova di cosa significhi “professione di interesse pubblico”, di cosa significhi mettere in secondo piano l’interesse privato, anche a costo della vita, proprio per cogliere quegli obbiettivi di tutela e garanzia sociale.

Questi concetti negli ultimi venti anni sono stati completamente cancellati dall’immaginario collettivo, tanto da rendere necessaria la definizione di “eroi” per quei medici che fanno il proprio lavoro mettendo a servizio la propria conoscenza.

A stupire dovrebbe essere la resilienza delle professioni intellettuali, che, dopo anni di “maleducazione istituzionale”, sono riuscite a conservare la consapevolezza del loro ruolo di responsabilità, espresso dalla propria conoscenza. In questo contesto spicca la dignità e il rispetto nei confronti della propria professione e della propria conoscenza, sopravvissuta a un attacco incosciente e pericoloso da parte dell’Europa e del nostro legislatore.

Dal comportamento delle professioni l’Europa deve imparare. Un comportamento che non ha nulla di eroico, ma che esprime l’essenza profonda e il significato di messa a disposizione della conoscenza per il bene comune. Da qui si deve riiniziare cambiando il sistema delle economie. Imparando a cooperare invece che competere. Tornando ad allineare le azioni del legislatore ai principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale: il lavoro sì, ma nel rispetto della tutela dell’ambiente, della salute, dei beni culturali e paesaggistici.

Su questa semplice logica oggi deve lavorare qualsiasi ente pubblico/privato e, soprattutto, quelli che regolamentano e vigilano sulle professioni di interesse comune.

Questo hanno sottolineato con forza una decina di Ordini professionali degli architetti, collaborando insieme negli ultimi 4 anni: valori di cooperazione, sussidiarietà, prossimità, valori sociali, progresso civile, interpretando nell’unico modo in cui si possa interpretare il ruolo politico all’interno delle nostre istituzioni: in modo terzo. Ed è sempre su queste solide basi che deve essere ricostruita la rappresentanza nazionale.

Il presidente Mattarella, in occasione del discorso di fine anno, ha richiamato tutte le istituzioni ad operare abbandonando i vecchi canoni politici ed economici che hanno portato la nostra civiltà nelle condizioni in cui siamo. Un richiamo forte alla responsabilità e alla collaborazione che impone un’apertura massima, una ricostruzione sulle basi su cui è già fondata la nostra Repubblica: il merito e la competenza a servizio del progresso. A nulla serviranno le chiusure e le preclusioni. C’è bisogno dell’apporto di tutti, proprio per avere la possibilità di scegliere le persone più rispondenti alla ricostruzione del nostro sistema sociale.

Abbiamo di fronte anni difficili, ma anche estremamente interessanti, in cui si dovranno resettare le vecchie logiche e reindirizzare la società su binari di solidarietà e sussidiarietà su base meritocratica. Le istituzioni pubbliche, comprese quelle professionali, dovranno assolvere al ruolo di regolatore del mercato che, sì, sarà libero di muoversi, ma esclusivamente all’interno di logiche di progresso comune.

Progresso materiale e spirituale. Il tutto in un’ottica di straordinario “egoismo pubblico”: quello che permette alle istituzioni di riconoscere in ogni suo cittadino - o iscritto nel nostro caso - una possibile risorsa, un contributo verso il miglioramento delle condizioni comuni, e ultimo ma non in ordine di importanza, un possibile strumento di salvezza nei momenti difficili ma anche – e soprattutto – nell’ordinarietà della vita quotidiana.

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