La tutela dello stato di diritto è l'essenza stessa della nostra identità come europei. L’Unione europea è innanzitutto stato di diritto e diritti fondamentali, valori che fanno parte del nostro patrimonio comune, costituzionale e storico, laico e religioso.

Sulla difesa delle libertà fondamentali e i diritti universali non è possibile tornare indietro rispetto alle conquiste ottenute in passato, accettare compromessi al ribasso o concedere sconti per convenienza politica o in nome di un vile opportunismo verso regimi illiberali che nel XXI secolo non dovrebbero avere alcun diritto di cittadinanza all'interno della nostra Unione.

Al contrario, oggi dobbiamo andare avanti con determinazione e con coraggio nella battaglia sul rispetto dello stato di diritto, consapevoli di trovarci di fronte a uno snodo cruciale della nostra storia comune: possiamo uscirne rafforzati come europei oppure rischiare l’estinzione sulla scena globale. Rafforzare la tutela dello stato di diritto infatti significa tutelare la civiltà europea nel nuovo secolo.

Oggi in Europa abbiamo due occasioni uniche per farlo: nuovi processi di tutela dello stato di diritto e Recovery Plan. Fare questa battaglia significa anche proseguire il varo fatto dall’Italia già nel 2014, quando sotto presidenza italiana riuscimmo per la prima volta ad impegnare il Consiglio Ue su un nuovo dialogo sullo stato di diritto. Un primo passo, che ci ha permesso di aprire una breccia nel muro della "ragion di stato europea”.

Da allora, vari altri passi sono fatti: nel 2016, il Belgio propose col nostro appoggio un nuovo meccanismo di monitoraggio sullo stato di diritto, il parlamento adottò una risoluzione fondamentale al riguardo, l’Italia propose per la prima volta di condizionare i fondi UE al rispetto dei valori fondamentali e dell’obbligo di solidarietà sull'immigrazione. 

Da qualche giorno, la Commissione Ue, riprendendo proprio il lavoro del 2016, ha presentato un nuovo meccanismo di valutazione dello stato di diritto che riguarda in modo obiettivo e assolutamente paritario tutti i 27 Stati membri dell’Ue. Speriamo veramente che il parlamento italiano voglia organizzare un dibattito sul rapporto relativo all’Italia, magari invitando i commissari europei responsabili: un dibattito aperto e franco è la via migliore per rafforzare il dialogo e la cooperazione tra Roma e Bruxelles e anche per intraprendere riforme sempre più urgenti, a cominciare dalla giustizia.

In parallelo, noi in Parlamento europeo ci battiamo per legare l’uso del bilancio Ue per gli anni 2021-20127 e del programma Next Generation EU al rispetto dello stato di diritto: parliamo di oltre 1.700 miliardi di euro; esigere queste condizioni per l’utilizzo dei fondi Ue è l’unica via per ricostruire la necessaria fiducia reciproca tra stati e popoli europei.  Non possiamo adottare un piano senza precedenti, emettere un debito comune europeo e poi dare soldi a paesi che perseguitano le minoranze, considerano le persone lgbt dei "senza cittadinanza", sono contro la libera scelta delle donne, controllano la magistratura, i media e vogliono chiudere le università.

Purtroppo, è quello che accade oggi in Ungheria e in Polonia, ma è parte di un cancro che rischia di espandersi in tutto il continente. Nella nostra Unione invece, non puoi scoprirti europeista quando si tratta di ricevere fondi e fare invece il nazionalista quando si tratta di cooperare sui rifugiati o di rispettare i diritti delle minoranze. La solidarietà infatti, è a doppio senso, non a senso unico, come invece si fa finta di credere a Varsavia o a Budapest.

Il rischio che corriamo è che queste sistematiche violazioni delle libertà fondamentali in Polonia e in Ungheria rimangano impunite, come chiede l'internazionale neo-nazionalista in Italia ben rappresentata da Giorgia Meloni che tenta di confondere la battaglia per la libertà di Solidarność, che fu anche di un grande europeista e mio amico come Bronislaw Geremek, con le posizioni anti-liberali e totalitarie dei suoi alleati estremisti polacchi oggi al governo.

La Germania, presidente di turno dell’UE, ha presentato un compromesso sullo stato di diritto e il Recovery Plan, ma è insufficiente: troppo difficile decidere le sanzioni da infliggere ai governi che violano lo stato di diritto e soprattutto troppo limitato il campo di applicazione, dato che le sanzioni scatterebbero praticamente solo per la violazione degli interessi finanziari dell’UE. Non basta. 

Inoltre, dobbiamo punire i governi, non i cittadini, che già soffrono della prepotenza di maggioranze che pensano che vincere un’elezione consenta di violare qualsiasi principio fondamentale; cittadini che verrebbero punti una seconda volta con il congelamento dei fondi UE. Con Renew Europe abbiamo proposto alla Commissione europea l’inserimento di alcune condizionalità “smart”, intelligenti, nel Recovery Plan: in caso di sanzioni, vanno sospesi i fondi ai governi centrali e la Commissione dovrebbe gestire direttamente le risorse europee a favore della società civile, delle municipalità, delle minoranze… Una gestione diretta in caso di circostanze eccezionali.

I primi ad appoggiare questa nostra battaglia sono stati Emmanuel Macron e Angela Merkel: adesso è fondamentale che vi sia un appoggio condiviso da parte di tutti Paesi democratici, anche per impedire che altri governi del Nord Europa che si sono effettivamente sempre battuti per il rispetto efficace e rigoroso dello stato di diritto, oggi possano strumentalizzare la questione per bloccare e far saltare l’intero Recovery Plan. Una iattura per tutti i cittadini europei in un momento storico così difficile sul piano economico e sociale.

Ci troviamo davanti a un'occasione unica di fare quello che è giusto fare, che è nell'identità europea e che i cittadini si aspettano. E da cui dipende la nostra stessa credibilità internazionale. Come ci ha insegnato proprio “il Professore” (Geremek): «l’Europa democratica può e deve agire per rafforzare il sentimento di solidarietà tra tutte le democrazie del mondo. Anzi, dovrebbe anche andare oltre e affermare che qualsiasi dittatura, qualsiasi regime autoritario, qualsiasi putsch anti-democratico minaccia l’ordine mondiale». Questo è il senso della nostra sfida.

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